Scheda film
Regia: Zack Snyder
Soggetto: David S. Goyer e Christopher Nolan
Sceneggiatura: David S. Goyer
Fotografia: Amir Mokri
Montaggio: David Brenner
Scenografie: Alex McDowell
Costumi: James Acheson e Michael Wilkinson
Musiche: Hans Zimmer
USA/Canada/G.B., 2013 – Fantascienza – Durata: 143′
Cast: Henry Cavill, Amy Adams, Michael Shannon, Diane Lane, Russell Crowe, Antje Traue, Harry Lennix
Uscita: 20 giugno 2013
Distribuzione: Warner Bros. Pictures
Stasera mi rebooto
Tanto per cominciare, possiamo affermare quanto sia praticamente inutile soffermarsi sulla risaputa sinossi del film: meglio invece puntare a questioni più congrue!
La domanda nasce spontanea: L’uomo d’acciaio è il secondo tentativo di reboot della saga cinematografica ispirata a Superman o è il sequel del primo, tentato nel 2006 con relativo insuccesso in patria da Bryan Singer? Forse tutt’e due: la salomonica via di mezzo.
Sì, perché dopo il fallimento del regista de I soliti sospetti – a chi scrive però Superman returns non era dispiaciuto così tanto – la produzione capitanata tra gli altri da Christopher Nolan, anche autore del soggetto, ha assegnato ad un altro cineasta esperto di fumetti, Zack Snyder (che sta a 300 e soprattutto al mastodontico Watchmen come Singer sta agli X-Men), il ritorno sul grande schermo del personaggio creato nel 1932 da Jerry Siegel e Joe Shuster e pubblicato nel 1938 per i tipi della DC Comics. Non c’è Lex Luthor (presente però nel film di Singer), ma, come nel secondo (e in parte del primo) capitolo dell’ironica quadrilogia firmata da Richard Donner, Richard Lester e Sidney J. Furie a cavallo tra gli anni settanta e gli ottanta, il cattivissimo di turno è rappresentato dal generale Zod, che ha qui il volto duro ed enigmatico di Michael Shannon (e che ai tempi fu di Terence Stamp).
Tra Christopher Reeve, indimenticato interprete di quelle quattro pellicole, ed Henry Cavill, che ha il compito di incarnare per gli anni dieci il supereroe per eccellenza, c’è stata una serie televisiva creata da Alfred Gough e Miles Millar e rispondente al nome di Smallville (2001-2011), che Singer decise di ignorare, in favore di un lato più “maturo” del personaggio, vedendolo anche come padre di famiglia. Il serial, che affrontava gli anni giovanili di Superman, viene qui omaggiato ed in qualche modo sfruttato sia utilizzando il nome della cittadina, sia raccontando ampiamente le vicende del giovane Clark, allevato da un padre terrestre col meraviglioso volto di Kevin Costner.
Ed è qui che L’uomo d’acciaio funziona in assoluto, alternando in un montaggio ricco di flashback – per quanto non sempre accurato – quelle storie, umane ma non troppo, con quelle della fine di una Krypton mai così dettagliatamente e sontuosamente mostrata sullo schermo come ora. Ed il film, nella sua magniloquente durata di quasi due ore e mezzo, ben si nutre di queste contrapposizioni, come quella tra i due padri, alieno/biologico e terreste/putativo, entrambi sacrificatisi per il bene del loro figliolo, reggendo nella sua struttura e regalando al pubblico spettacolo e, ancora una volta, emozioni.
I problemi iniziano a porsi a due terzi della pellicola, quando l’arrivo di Zod si riduce all’ennesima invasione/distruzione terrestre da parte aliena, l’ennesima in quest’ultima manciata d’anni – Maledetto 2012! Maledetti Maya! – e ad una infinita serie di scazzottate, botti e macerie, amplificati dal solito 3D.
Da quel momento in poi Snyder, che aveva rinunciato pure ai suoi tic costituiti dai proverbiali ralenti in favore di una più “umanizzante” macchina a mano e di zoomate in stile “reportage telegiornalistico”, imbocca una china discendente che ha il suo apparente culmine nel finale, in cui l’eroe riesce a far(si) giustizia in maniera che è eufemistico definire banale e scontata.
Forse con la distruzione di New York a suon di schiaffi, calci e pugni si voleva omaggiare il dimenticabile Superman IV, in cui Reeve andava in giro per il mondo a frantumare folkloristici panorami da cartolina nel tentativo di lottare contro l’improbabile Nuclear Man, o forse il non (altrimenti) disprezzabile sceneggiatore David S. Goyer ha voluto credere che gli spettaroi non si sarebbero accorti della sua improvvisa mancanza di idee, in quanto tramortiti dall’interminabile sequela di esplosioni tridimensionalmente arricchite. Fatto sta che l’incredibile – ahinoi! – ancora non sia stato mostrato, poiché, nell’ultima scena, uno con due spalle da giocatore di football americano che fin lì si è fatto passare con discreto successo attraverso varie identità come un lavoratore della lower class pensi di fare il salto di qualità inforcando un paio d’occhialini e spacciandosi per giornalista, suffragando inoltre in toto la delirante e divertente ipotesi sollevata da Quentin Tarantino in Kill Bill – Vol. 2, secondo la quale, diversamente da tutti gli altri supereroi, Clark Kent sarebbe il travestimento di Superman e non il contrario.
È proprio vero: l’incredibile esiste. Lo stesso non si può certo più dire del mito di Kal-El, l’eroe ultimo sopravvissuto del pianeta Krypton.
Voto: 5
Paolo Dallimonti
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