Titolo originale: Madagascar
Nazione: U.S.A.
Anno: 2005
Genere: Animazione
Durata: 80′
Regia: Eric Darnell, Tom McGrath
Sito ufficiale: www.madagascar-themovie.com
Sito italiano: www.madagascar-ilfilm.it
Voci originali: Ben Stiller, Chris Rock, David Schwimmer, Jada Pinkett Smith, Cedric the Entertainer, Sacha Baron Cohen
Produzione: Teresa Cheng, Mireille Soria
Distribuzione: UIP Data di uscita: 02 Settembre 2005 (cinema)

Recensione n.1

Dopo il trionfo di “Shrek 2” e il buon esito di “Shark Tale”, la Dreamworks continua ad attentare al ruolo di leadership della Pixar nella computer grafica applicata al cinema di animazione. Lo spunto del nuovo lungometraggio è molto simpatico e promette scintille. Ci sono infatti alcuni animali dello zoo di New York che, stimolati dalla voglia di libertà di una zebra e dal piano di evasione di alcuni pinguini, scappano dalla lussuosa prigionia per ritrovarsi a contatto con la vita vera nella giungla del Madagascar. Le caratterizzazioni dei personaggi seguono uno schema tanto classico quanto efficace: l’attribuzione di un aggettivo per ogni animale. Ecco quindi il leone narciso, la giraffa ipocondriaca, l’ippopotama esuberante (un punto di vista femminile non può mancare), la zebra idealista e i pinguini psicopatici. Peccato che tanta vibrante materia narrativa si perda poi nella piattezza della sceneggiatura. Dopo una prima parte scorrevole e brillante, infatti, con l’arrivo in Sud Africa nel racconto prevale l’avvicendarsi di gag, in parte sottotono, rispetto allo sviluppo della storia, che si arena rigirandosi su se stessa fino allo scontato, quanto sbrigativo, “happy end”. Il copione cerca soprattutto la risata ma non rinuncia (incautamente) a problematiche seriose, come la ritrovata aggressività del leone ai primi crampi di fame, che rischia, ovviamente, di incrinare il rapporto di amicizia con la zebra. Peccato che i conflitti trovino soluzione nella superficialità, accontentandosi di un facile buonismo tutt’altro che graffiante. Si proclama ovunque e in continuazione di diventare ciò si è ma si finisce sempre con l’uniformarsi a un punto di vista banalmente omologato, in cui ciò che si è corrisponde in modo meccanico a ciò che tradizione e cultura impongono. Discorso a parte per la tecnica, sempre più sofisticata nell’abbinare la rigidità dei pixel alla morbidezza dei cartoon bidimensionali, ed innovativa nel trovare un risultato molle e pastoso nonostante gli spigoli della stilizzazione dei personaggi. La ricchezza visiva, però, non supplisce alla carineria di una storiellina esile esile, non sempre ritmata, in cui anche la colonna sonora, che si affida perlopiù a vecchi hit, non trova quella fluidità e quella forza necessarie per entusiasmare. La sensazione è di una bella idea, curata nelle premesse ma sviluppata in fretta per rispettare il rigido calendario delle uscite estive americane, capaci più di gonfiare le tasche di produttori e distributori che non di imprimersi nella memoria.

Luca Baroncini de gli spietati

Recensione n.2

L’ultima fatica Dreamworks ci mostra un gruppetto di animaliumani imbolsiti, snaturati, compiaciuti e illustri protgonisti di un Grande Fratello eterno. Un leone, un zebra, un giraffo e un’ippopotama si aggirano in una city posticcia, tra show gloriosi di sè e pochi rimpianti. I rimpianti vengono dal “cervello” del gruppo, come di consueto, dalla pulce errante sotto forma di zebra che tanto ricorda il petulante ciuchino di Shrek.
Secondo il classico “attento a desiderare: il tuo desiderio potrebbe avverarsi”, il gruppo viene catapultato nell’amata odiata naturalità, complici i tempi ipocritamente ambientalisti. Su di un isola che sembra troppo piccola e troppo ben definita i quattro amici scoprono la ferinità perduta, con evidente sconcerto, e con una sofferenza intensa e stemperata dagli ammiccamenti di quella comicità adulta che pervade i cartoon digitali come un avechia formula. La parodia di un mondo lontano da quello “reale” per i protagonisti prende di mira un’ipotetico mito del buon selvaggio, deridendo gustosamente una comunità sovrappopolata di lemuri discotecari e drogati di reteirate idiozie, che si concretizzano in un tormentone di sicuro effetto. I nemici sono meno tratteggiati, somigliano alle iene sconclusionate del re leone e colpiscono per sgradevolezza più che per crudeltà.
Il re leone in questione, la superstar Alex che incede fluttuante di pixel e peli, si ritrova smarrito e vittima della sua natura killer, nelle esilaranti scene che lo vedono immaginare amici e compari come succulente bistecche, che parlano a bocca protesa e lo ricoprono come i petali (con tanto di musica fluttuante) che incorniciavano le fantasie di Kevin Spacey in American Beauty. Altro riferimento filmico, e altre bizzarrie gustose come la vecchietta energica e i pinguini sfortunati, ma tutto un po’ lasciato in abbozzo, con un finale amarissimo senza esserlo nè disturbare nessuno, se non per la sua furiosa rapidità. Si critica l’omologante come il richiamo ad una “vera natura”, che può far del male e rischia di far regredire, ci si butta a capofitto nello smarrimento dato dalla sostanziale inesistenza di questa “natura”, che può appellarsi solo a sbiaditi ricordi, a calchi di istinti altrui che somigliano a droghe. Però nell’omologante si ricade, con la martellante canzoncina che annuncia la velocissima “fine”.

Chiara F