Il mondo ama le storie di ragazzi bloccati sottoterra. Come raccontato da Hollywood, queste storie parlano spesso di trionfo sulle avversità. #Manhole è l’interpretazione più caustica ma non meno melodrammatica del regista Kazuyoshi della psiche umana sottoposta all’ansia intollerabile di una crisi psicologica incentrata sul essere costretti dentro un buco. Qui, l’abisso conduce direttamente all’interno, confrontando il suo personaggio con la sporcizia della sua anima. Dopo essere uscito barcollando ubriaco da un addio al nubilato a sorpresa in ufficio, Shunsuke entra direttamente in un tombino scoperto. Quando si riprende, scopre di essere atterrato su un terreno relativamente soffice. Ma durante il suo inconsapevole precipitare si è squarciato la gamba sulla scala rotta, il che gli rende ancora più difficile la fuga.

Fortunatamente, come farebbero praticamente tutti, Shunsuke ha il suo smartphone con sé. Manhole non cerca di mettere a tacere i dubbi sulla sua premessa, vale a dire che rimanere bloccati in un tombino urbano sembra impossibile nell’era dell’ubiquità digitale. Piuttosto, ne fa il fulcro del suo dramma. Incapace di condurre né i poliziotti né Mai, un’ex ragazza che a un certo punto prende il telefono, nella sua posizione, Shunsuke apre un account sui social media con il nome “Manhole Girl”. Il problema è che il localizzatore GPS sul suo telefono si rivela impreciso. Presto un esercito di tizi eccentrici molto online sta setacciando le poche informazioni che “Manhole Girl” per cercarla. La sorprendente svolta finale mette chiarezza al tutto e rimane quindi il sapore di un bel giallo thriller con ottima tensione, buon ritmo e una buona capacità di intrattenere lo spettatore.

Voto 7

VC