Scheda film
Regia: Paolo Taviani, Vittorio Taviani
Soggetto e Sceneggiatura: Paolo Taviani, Vittorio Taviani
Fotografia: Simone Zampagni
Montaggio: Roberto Perpignani
Scenografia: Emita Frigato
Costumi: Lina Nerli Taviani
Musiche: Giuliano Taviani e Carmelo Travia
Italia, 2015 – Drammatico – Durata: 120′
Cast: Beatrice Fedi, Camilla Diana, Carolina Crescentini, Eugenia Costantini, Fabrizio Falco, Flavio Parenti, Ilaria Giachi, Jasmine Trinca, Josafat Vagni, Kasia Smutniak, Kim Rossi Stuart, Lello Arena, Melissa Bartolini, Michele Riondino, Miriam Dalmazio, Nicolo Diana, Paola Cortellesi, Riccardo Scamarcio, Rocco Di Gregorio, Vittoria Puccini
Uscita: 26 febbraio 2015
Distribuzione: Teodora Film
Al di là della cornice…
Maraviglioso: «Che suscita meraviglia, e spesso anche un senso di stupore, per le sue qualità, per i modi in cui si manifesta, perché strano, sorprendente, straordinario» e «nell’uso letter., è spesso sinon. di straordinario, grandissimo». Vogliamo partire da questa definizione di “Maraviglioso” (presa dal dizionario Treccani) perché è un elemento centrale in letteratura (ogni poeta l’ha declinato e rincorso a suo modo) e, in particolare, visto che parliamo di Maraviglioso Boccaccio di Paolo e Vittorio Taviani, in Boccaccio. In letteratura così come al cinema il maraviglioso può essere presente, anzi forse è proprio quando scatta quella miccia di “stupore” e ci si sente avvolti in quell’aurea che si può dire che un’opera ha avuto il suo effetto. Con Cesare deve morire, Orso d’oro al Festival di Berlino nel 2012, il “maraviglioso” cinematografico aveva preso corpo, toccando punte sublimi, in una fusione tra vita, forza teatrale e radiografia dei sentimenti fatta dalla macchina da presa.
In Maraviglioso Boccaccio la magia raggiunta e trasmessa nel lungometraggio precedente si è un po’ spezzata (anche se un filo li lega: la scoperta della libertà attraverso l’arte). Tutto parte da nobili e volenterosi intenti e sul piano della confezione formale, nel complesso, si raggiunge un buon risultato di “cornice” (soprattutto grazie alla fotografia di Simone Zampagni e ai costumi di Lina Nerli Taviani), ma il coup de foudre non scatta, sia per un ritorno ad alcuni schemi precedenti dei Taviani sia perché alcuni interpreti non sono molto in parte.
Non è per nulla semplice impastare le mani nella materia letteraria, tanto più quando è così vasta. Questo capolavoro dell’artista toscano è stato più volte oggetto di trasformazione e adattamento per lo schermo e su tutte non possiamo non citare la versione pasoliniana (1971) con la fotografia di Tonino Delli Colli e la scenografia di Dante Ferretti, senza dimenticare la musica curata dallo stesso Pasolini con la collaborazione di Morricone. Alberto Moravia aveva commentato così allora: «Ha accettato e fatta sua la visione del senso comune di tutti i tempi la quale considera il “Decameron” come un libro non solo privo di tabù ma anche privo del compiacimento di non averne; un libro, cioè, in cui letteratura e realtà si identificano perfettamente per una rappresentazione totale dell’uomo. Accettata questa visione […] Pasolini è passato a lavorare sui racconti del Boccaccio con tutte le risorse del suo estetismo critico e virtuosistico. Per prima cosa ha notato che nel “Decameron” la rappresentazione realistica della civiltà contadina è chiusa in una cornice umanistica e raffinata, […] essa crea quel rapporto tra gentilezza e rusticità, tra immaginazione e verità che è uno degli aspetti più affascinanti del “Decameron”. Gettando via questa cornice illustre ed elegante, Pasolini sapeva di modificare profondamente il testo boccaccesco; ma dimostrava al tempo stesso di essere un regista irresistibilmente originale ossia fatalmente infedele. Pasolini non soltanto ha gettato via la cornice umanistica ma ha anche sostituito la “favella” toscana con il dialetto napoletano»… – gli appunti di Moravia continuerebbero, ma non è questa la sede per riportarveli integralmente. Ci preme chiarire questo: lungi da noi mettere a paragone i due lavori, anzi queste riflessioni sono volte a rendere l’idea di come ogni artista possa creare il proprio “Decameron” cinematografico, partendo dalla propria poetica e da quei punti che ritiene nodali ai fini di ciò che vuole trasmettere. I registi toscani hanno puntato l’occhio di bue sulla peste, colei che rende deserte le strade, gli uomini ora crudeli, ora disperati, sarà anche colei che spingerà sette fanciulle e tre ragazzi a cercare in un altro luogo quell’amenità e quella serenità perse. È nella natura che prende corpo la cornice, i Taviani raccontano – anche solo attraverso l’inquadratura di un gesto – l’età di questi giovani, ciò che li attraversa – dall’amore alla sessualità – e le cinque novelle diventano uno strumento per esplorare il mondo dei giovani, fatto di amore, spensieratezza, pulsioni, ma anche dolore. I dieci si danno delle regole, tra cui la castità per rispetto di quelle ragazze che non sono in coppia, e iniziano a raccontare le novelle. Sono cinque: tre drammatiche – anche con qualche sfumatura tragica – e due più grottesche; a nostro parere, funzionano maggiormente quella di Calandrino (interpretato da un bravo Kim Rossi Stuart) e quella “Delle brache della badessa” con Paola Cortellesi e Carolina Crescentini – non vogliamo rivelarvi le altre che, nel caso scoprirete, ma tra il corposo cast, che appare per pochi minuti nelle storie narrate a turno da un/a ragazzo/a, citiamo Vittoria Puccini, Lello Arena, Lino Guanciale nei rispettivi ruoli di Catalina, del Duca Tancredi e di Buffalmacco.
Con Maraviglioso Boccaccio sembra di far un salto indietro nella filmografia dei Taviani, richiamando anche la messa in quadro delle fiction tv: Resurrezione (2001) e Luisa Sanfelice (2004). Chissà se non si opterà per un ciclo di puntate, dirette da loro, con la rappresentazione di nuove novelle.
Voto: 5 e 1/2
Maria Lucia Tangorra