Recensione n.1
Un film epico e con gli stilemi del cinema marinaresco classico che però non convince pienamente.
Farà probabilmente incetta di Oscar.
Weir punta chiaramente a realizzare un buon film di genere, e senza dubbio centra l’obiettivo.
Emozioni e spettacolo non mancano, soprattutto per gli appassionati del genere “navale”, ultimamente rinverdito (si vede anche “La maledizione della prima luna”).
Quello invece che non riesce perfettamente al regista è delineare in maniera approfondita i personaggi, che rimangono un po’ troppo sfumati. Inoltre purtroppo i tecnicismi marinareschi non favoriscono certo una fruizione immediata e completa del film a tutti.
Questo favorisce un certo effetto “straniamento” negli spettatori troppo “terraioli”.
Il film di genere però riesce perchè Weir sa distribuire con maestria le immagini e sa dare ritmo e tensione alle scene più “topiche”.
Un film però che per lungo tempo sfila in una normalità quasi appesantita: i personaggi, dal medico al bambino che sogna di essere uno scienziato, sono lì a dare contorno alla storia, ma nello stesso tempo gli tolgono il ritmo, cioè la sua vera anima.
I legami con Star Trek, la cui saga avrebbe ispirato, sembrano piuttosto lontani.
Crowe più che Kirk a tratti sembra Kahn in Star Trek 2…
Vito Casale
Recensione n.2
Peter Weir, il buon artigiano australiano, vuole l’Oscar. Gli è sfuggito per ben tre volte, nel ’86 per Witness – Il Testimone, nel ’91 per L’Attimo Fuggente, nel ’99 per The Truman Show, raccogliendo soltanto tre nomination. Questa volta, per centrare l’obiettivo, si affida alla superproduzione corazzata Miramax – Universal (che producono) e 20th Century Fox (che distribuisce) e alla superstar Russel Crowe, che la preziosa statuetta ha già conquistato per A Beautiful Mind. Il gladiatore Crowe veste questa volta i panni dell’ammiraglio Aubrey, alla guida della nave inglese Surprise. Siamo nel 1805, in piena età napoleonica, e missione del marinaio inglese è proprio una caccia spietata alla nave francese Acheron, fregata ottocentesca assai moderna che domina nell’oceano. L’inizio del film di Weir è folgorante. Dopo una breve introduzione che ci cala nel racconto utilizzando schematiche sovrimpressioni, la musica extradiegetica tace e la nave francese appare all’orizzonte. Con un crescendo di tensione silenzioso e quasi hitchcockiano il primo scontro è servito, ed è uno schiaffo allo spettatore, catapultato accanto ai cannonieri, nella nebbia, in mezzo al mare. L’imbarcazione napoleonica colpisce nella nebbia e il capitano Crowe fugge. Ma sarà la sua ossessione, la sua Moby Dick. L’altra star del film è l’astro nascente Paul Bettany, già visto recentemente in Dogville, che interpreta il medico di bordo Maturin. La coppia Maturin-Aubrey è il centro dell’intera saga di romanzi di Patrick O’Brian, una ventina in tutto, da cui Peter Weir ha tratto il film. Per l’esattezza Master and Commander è imperniato sul decimo romanzo della serie, pubblicato nel 1984 con il titolo di Far Side of the World (che è anche il sottotitolo originale inglese del film). Curioso notare come nel romanzo di O’Brian la napoleonica Acheron sia in realtà la nave statunitense Norfolk, corsara e predatrice dei mari del sud e ingorda di baleniere inglesi. Ma i dollari Miramax e Universal hanno verosimilmente corretto la struttura di partenza.
Il nodo centrale del film, in ogni modo, è proprio il virile rapporto d’amicizia tra i due marinai, tra Aubrey e Maturin, che si snoda attraverso tutta la vicenda e rende sicuramente atipico questo epico action-movie. Infatti, il concetto di “azione” vero e proprio è stravolto dalla sorprendente e integrale aderenza al concetto d’unità di spazio, al limite della claustrofobia. La nave è il teatro su cui si svolge la vicenda con una sola, breve incursione a terra a metà del film. Naturale quindi che il fuoco della narrazione si sposti sul nucleo di rapporti sottesi dalla lunga convivenza forzata dei marinai, dalle scene di vita di bordo, dal ritratto della mentalità dei marinai. Ma spesso Weir impenna ulteriormente il piano contenutistico ragionando attorno a due concetti, quello del comando e dell’autorità, e quello della superstizione. Il primo tema è ben cucito attorno alla sapiente interpretazione di Russel Crowe, capitano coraggioso, energico ed umano, che nel rapporto con i suoi marinai e con l’amico dottore subisce le contraddizioni del comando, in bilico tra scelte scomode e concessioni, tra emotività e razionalità. La superstizione rientra nel dissidio cuore-ragione che spesso emerge nei film del regista australiano, e il rapporto con il soprannaturale è accentuato dalla natura stessa della vita di mare, che nel diciannovesimo secolo è sempre in balia dell’elemento naturale. Ed ecco che per illustrare questi temi Weir ricorre ad un pilastro della letteratura inglese, La Ballata del Vecchio Marinaio di Samuel Taylor Coleridge, citata e ripresa ben due volte, nella calma piatta che costringe la Surprise ad una forzata sosta, fino al barbaro suicidio del capro espiatorio Hollom e alla riconciliazione con il Creatore, e nella successiva, un po’ didascalica e fine a se stessa, apparizione dell’Albatros, puntualmente attaccato da un marinaio che per errore, tuttavia, colpisce Maturin.
Dal punto di vista tecnico e formale Weir padroneggia con bravura e precisione la storia, raccontata con vigore, con inquadrature preziose ma sempre funzionali alla vicenda, con punte liriche e talvolta oniriche (si veda l’attraversamento della coperta del futuro suicida Hollom, presunto iettatore-Jona della nave). Molto positiva la sequenza dello scontro finale tra le navi nemiche, misurata e non prolissa, ed emozionante al punto da lanciare lo spettatore all’assalto al fianco del capitano Crowe. Eh sì, perché questo è uno dei maggiori pregi del film, di Weir, di Crowe, di Bettany: il rapporto che si crea tra lo spettatore e i personaggi, di gran complicità, ad evidenziare un lavoro di squadra per la caratterizzazione psicologica dei personaggi vincente e fruttuoso.
Simone Spoladori
Recensione n.3
Film squisitamente tecnico, nel senso piu’ classico del termine, e’ uno di quei film kolossal in cui la maestosita’ dell’insieme regge tutto sebbene non cia sia una vera e propria storia. L’artefice, l’immenso Peter Weir porta sullo schermo una manciata di giorni concisi ma intensi di una nave inglese, nelle acque del pacifico, nei primi anni del 1800 a combattere con una misteriosa e fantomatica nave francese. Le riprese particolareggiate nei minimi dettagli, la sontuosita’ delle scene d’azione circoscritte in un ambiente “stretto” come una nave, la ricercata caratterizzazione dei vari personaggi, lo rende un film quasi unico. Russel Crowe mostra tutte le potenzialita’ carismatiche del suo personaggio di capitano, duro e spietato quando occorre, ma anche capace di mostrare il suo lato gentile verso la ciurma quando serve, che lo rendono squisitamente reale e credibile. Ed e’ questo che fa la differenza dai soliti film baraccone targati USA: la capacita’ di raccontare una storia epica in poco spazio, farci affezionare a dei personaggi magistralmente tratteggiati che hanno sempre viva in se’ la capacita’ di non perdere la fede nei momenti piu’ duri, anche quando sembra che tutto sia perduto. Elegante e raffinato nella fotografia, se vogliamo questo film ha un’unica pecca: quella di essere troppo formale verso lo spettatore. Ne risulta cosi’ un quadro bellissimo da vedere, ma per certi versi povero di emozioni. La sensazione e’ quella di uscire con il dubbio di aver assistito solo ad una parte della storia. Ma cio’ non incrina minimamente l’indiscussa bravura del regista e la maestosita’ della messa in scena.
Voto: 7 e 1/2
Wolf