Liberamente ispirato al capolavoro letterario “Delitto e Castigo” di Fedor Dostoevskij, questo nuovo film di Woody Allen non delude le attese. Una sceneggiatura di ferro, con continui richiami a fasi precedenti e successive, tempi e narrazione in linea con il più aulico senso del tempo che ciascun grande regista deve possedere, interpreti in stato di grazia (e di bravura).
Che dire, ci sono alcune significative differenze con il capolavoro del grande scrittore russo, soprattutto sotto il profilo della morale, ma bisogna dire che il film aggiunge qualcosa di diverso e si presta a molteplici soluzioni intellettuali nella mente dello spettatore.
E vero che il protagonista maschile cerca la scalata sociale? Oppure capita invece che una volta che si trova nell’opportunità di diventare qualcuno si trasforma in un individuo ferino ed efferato? Il Match Point è un titolo quanto mai appropriato: Chris è un tennista di successo che ha abbandonato i campi da gioco quando si è reso conto che non avrebbe potuto conquistare un posto nell’olimpo tra i migliori di questo grande sport; ma cos’è il meglio? Cos’è il meglio per lui? La vita gli offre diverse soluzioni: fare il maestro di tennis, cogliendo poi l’opportunità dell’amore con Nola, per scoprirsi complementare con lei, e quindi loro insieme bisognosi, in modo diverso, l’uno dell’altro/a.
Il “net” nel tennis (e nel volley) è un momento di autentica sospensione: per una frazione di secondo la palla può andare da una parte o dall’altra, determinando il punto contro o a favore, e talvolta la vittoria. Non tutto è però come sembra. Molte vittorie nella vita si tramutano con il tempo in sconfitte e viceversa. Un anello che viene buttato nel fiume e rimane al di qua della balaustra, fermato dal “net” di una ringhiera, diventa la possibilità che ha il giovane di venire scagionato da ogni colpevolezza di due efferati delitti. Ma questo “net” determina una vittoria o una sconfitta? Chris esce sconfitto o vittorioso eliminando l’amore di Nola dalla sua vita? Si può parlare di vittoria vivendo con dei tremendi sensi di colpa per gli omicidi compiuti? La punizione della giustizia civile è davvero il peggiore dei mali per tali orrori? O peggio è vivere?
La morale che ci si prospetta è che il “caso” domina su tutto determinando destini e fortune.
E’ davvero così?
Il film si presta anche ad un’altra interpretazione: il Match Point della vita di Chris potrebbe essere Nola, per poter costruire qualcosa con lei attraverso un diverso stile e disegno di vita, dando e ricevendo amore. L’ex tennista sceglie altro, e il resto della sua vita diventa un lungo e difficile “tie break” che non può che chiudersi con una pesante sconfitta causata dalla corrosione dell’anima.
Film eccellente.


Gino Pitaro
                         newfilm@interfree.it

Regia e sceneggiatura firmate Woody Allen per un film che invece ha poco del regista newyorkese, o almeno di quello che in quarant’anni di carriera ha voluto trasmetterci. Match Point non ha nulla dei caratteri tipicamente alleniani: carica nevrotica dei personaggi, situazioni banalmente surreali e comiche, dialoghi sarcastici quasi irritanti. Niente di tutto questo.
Sarà forse l’aria di Londra dove è ambientato il film ad aver ispirato il regista (oltre a Delitto e castigo di Dostoevskij). Per la prima volta il regista gira lontano dalla sua amata città natale e abbandona la commedia per regalarci un vero drama thriller.
Il film è un capolavoro, sia per la solida struttura narrativa che per la messa in scena. L’interpretazione degli attori è ottima, Scarlett Johansson (Nola) come Jonathan Rhys-Meyers (Chris) appaiono sullo schermo perfettamente a loro agio nei panni l’una di una sensuale attricetta che cerca di sopravvivere al meglio, l’altro di un ex-tennista consapevole dei suoi limiti che vuole trovare un proprio posto nel mondo. Il plot narrativo è ben intrecciato, la storia d’amore tra i due è ostacolata dai rispettivi e ufficiali fidanzati (e fratelli) che li lega entrambi allo stile di vita di una ricca famiglia nobile inglese. Ma mentre Nola mantiene la sua identità e progressivamente volta le spalle a quello standard di vita, Chris ne rimane stregato e pur contro la sua vera indole (indosserà una maschera sociale in modo quasi pirandelliano), avanzerà sempre di più nella scala sociale e farà di tutto per non perdere quello che si è guadagnato.
Un guadagno del resto fortuito, provocato dalla dea bandata che all’improvviso può cambiare la vita, perché come dice Allen: “Bisogna trovarsi al posto giusto nel momento giusto”.
La fortuna guida le nostre vite. Molto accattivante e provocatoria (e qui riconosciamo il vecchio Woody) la riflessione filosofica per cui nella vita la fortuna conta al 50 per cento (concetto machiavellico) o almeno così fa credere visto che mostra metaforicamente una pallina da tennis che tocca la rete e per pura fortuna cade di qua o di là della rete. Si vince o si perde e la fortuna gioca un ruolo cruciale. Un concetto molto caro al regista che rivela come sia “pericoloso” ammetterlo. Nessuno si sognerebbe mai di dire che siamo in balia del caso, che ad un bivio, al match point di una scelta importante di vita, prendiamo una direzione rispetto ad una altra per puro caso e fortuna. Un’interpretazione fatalista della vita che si riflette nella pellicola dandole un tono di vera drammaticità.
Pur non essendoci identificazione con i personaggi, lo spettatore è portato a provare simpatia per loro, anche di fronte a efferati delitti, i quali vengono persino giustificati (anche per il fascino e bellezza degli stessi attori, come ammette lo stesso regista). E se alla fine non si sa se il protagonista ha realmente vinto (ci sono tanti tipi di vittorie: materiali, morali, sociali), quel che conta è il risultato: il crimine è rimasto impunito. Per questo la fortuna è centrale (e non certo la questione morale, come invece accade in Crimini e misfatti, film che gli è stato accomunato).
E’ chiara la denuncia del regista verso la non punibilità dei crimini, come ben visibile agli occhi degli spettatori è l’idea che spesso innocenti vengano sacrificati per un disegno più grande: forse un allusione alle guerre e un dito puntato contro i potenti.
Un film diverso insomma, di svolta (non definitiva perché Allen non lascerà mai la commedia): un match point per il regista, il cui successo per questo film, mi piace pensare, non dipende certo dalla fortuna.
Marta Fresolone

Sembra che ci siano dei filtri tra lo spettatore e i personaggi. Sono donne e uomini impalpabili i protagonisti dell’ultimo film di Woody Allen. Quello che succede sullo schermo non è infondo nulla di nuovo. Le profonde dinamiche personali, le passioni, il bisogno di sicurezza sociale, l’egoismo e la grettezza umane. Si può fare di tutto pur di salvaguardare le proprie sicurezze. I dilemmi potrebbero essere quelli di “Delitto e castigo”. Non è cambiato nulla. L’unica variabile può essere il caso. Un guizzo fortunato o sfortunato che determina l’evolversi degli eventi.
Eventi che si susseguono quasi meccanicamente. Incontri, matrimoni, gravidanze. Il ciclo della vita si ripete. Le ambizioni e le passioni sono un vortice. Eppure lo sguardo del regista è straniante. Lo sguardo si fa più ampio. Le corrispondenze diventano universali. Inquietanti, tra luci ed ombre, i personaggi rappresentano le miserie umane. E, nello stesso tempo, dimostrano l’impossibilità di vivere fino in fondo. Come se il tempo di una vita fosse insufficiente. Oppure fosse un regalo immeritato. Cosa è giusto o sbagliato non importa. Importa mettere in salvo l’istinto di sopravvivenza. Un istinto primario. Anche quando il senso stesso della sopravvivenza si identifichi nel superfluo.
Nessun moralismo. Il film segue le scelte di un personaggio che misura il suo agire su due opposti. Desiderio e sicurezza. Slancio e stasi.
La fortuna non consente la catarsi. Il delitto non ha castigo. Le dinamiche interne ed esterne non evolvono. Nell’ovatta, vince l’immobilità.
Cinzia Bovio

Match Point è piaciuto a tutti, anche a quelli che non sono mai stati dei fan di Woody Allen.
Il film è ben confezionato sotto ogni aspetto. Interpreti in forma, buona fotografia, costumi eleganti e location londinese di alta classe. Allen non gode più di buon pubblico nella sua New York, essendo un artista iper produttivo ha collezionato diversi flop negli ultimi tempi. Di conseguenza, anche le case di produzione americane non sono state entusiaste delle recenti creazioni del genio. La scelta di ambientare Match Point ed anche il prossimo “Scoop” a Londra non è quindi del tutto casuale. Allen abbandona la passione per il Jazz e cala i suoi personaggi in una realtà quasi operistica. Le aree di Donizetti e Verdi sottolineano ed accompagnano fortune e miserie di Chris Wilton, Nola e Chloe in una struttura narrativa che non segue le improvvisazioni e le atmosfere jazzistiche bensì quelle più solide, classiche e compatte di un opera lirica. Come un personaggio di Dostoevskij, Chris, maestro di tennis con un passato da professionista, si inserisce nella hig society londinese. Sposa Chloe, giovane ereditiera e perde la testa per Nola, sua cognata e aspirante attrice. In bilico tra un rapporto “sicuro” ed un insana passione, Chris compirà un gesto estremo per conservare ciò che ha ottenuto dalla vita e consolidare la sua apparente tranquillità che in effetti sa tanto di rassegnazione e castigo.
La fortuna, essere al posto giusto nel momento giusto, la decadenza della condizione umana sono i temi che Allen ha voluto affrontare in Match Point. I personaggi sono tanto eleganti quando sgradevoli nel cercare di realizzare i propri obiettivi, sfrontati ma nel contempo alla continua ricerca di sicurezza e protezione. E’ cosi Nola, una Scarlet Johansson versione bambola che sprigiona eros da ogni poro, è così Chris, Jonathan Rhis – Meyers , che non poteva non esserne fatalmente attratto. Due personaggi che si rapportano diversamente alla ricca famiglia della quale entrano a far parte, e che forse avrebbero potuto vivere una storia sentimentale più vera con un po’ di fortuna in più se solo non avessero aspirato ad elevare la loro condizione sociale. Non è vero che non c’è tanto Allen in Match Point, non manca il suo sarcasmo, la feroce ironia è soltanto più compassata e fa capolino in tanti dialoghi. Il regista non lesina neanche il suo sdegno verso una società che sacrifica i suoi più alti valori in virtù del denaro e dell’ arrivismo attraverso la realizzazione di “Crimini e misfatti”. Ben tornato Woody.
Francesco Sapone

Mah, boh.
Cioè, io amo Allen in ogni sua “forma”, comica o drammatica che sia. Ma questo film… mah, boh.
Non è per il fatto che tra i protagonisti non ci sia lui, per carità: “Un’altra donna”, ad esempio, è una delle sue vette cinematografiche e non è certo una commedia, però lì c’era qualcosa da raccontare di profondo e toccante, ma qui… mah, boh.
Non fraintendetemi, non fa schifo, solo che… mah, boh.
Il fatto è che dovrebbe essere una storia sentimental-drammatica con venature noir, però… mah, boh.
Cioè, si lascia anche seguire, ma il tutto è piattino, senza grandi guizzi, una storiellina di corna come tante, vista e stravista e… mah, boh.
Certo, il cast è valido, pur avendo come protagonista principale un glaciale Jonathan Rhys-Meyers che pare il clone di Joaquin Phoenix ed una sexyssima Scarlett Johansson che gioca a fare la solita Scarlett Johansson, tuttavia… mah, boh.
E poi leggere le recensioni di qualche critico con evidenti problemi di squilibri mentali che questa sarebbe la migliore pellicola di Allen da almeno dieci anni a questa parte… mah, boh.
Magari lo stesso critico si esalta per il fatto che, “finalmente”, Woody Allen abbia lasciato New York per girare a Londra, forse scordandosi che in passato ha fatto di meglio tra Venezia e Parigi… mah, boh.
Davvero, sono uscito dalla sala molto perplesso, soprattutto dopo averne letto un gran bene quasi ovunque; eppure le mie aspettative non erano sovradimensionate, è un autore che posso dire di conoscere a menadito da anni e, insomma… mah, boh.
Purtroppo non so proprio che altro aggiungere.
Ah sì: mah, boh.
Voto (da 1 a 5): **
Ben SG

La musica in Match Point

“Una furtiva lagrima” da L’elisir d’amore di Donizetti ricorre quando l’eroe è da solo e tormentato, alludendo al suo reale tormento e allo stesso tempo facendone un controcanto ironico (“Si può morir d’amor”, dicono i versi). Nella scena dei delitti c’è il finale del secondo atto dell’Otello di Verdi per alludere al tradimento; nel sottofinale, prima e durante le apparizioni delle due vittime, Macbeth di Verdi, una delle tragedie più sanguinose. Nelle scene degli incontri adulterini, una spensierata canzone napoletana.
Curiosa la scelta di affiancare al canto solo il pianoforte e non l’orchestra.
Paradossale commento su Loyd Webber da parte Cloe nel film.