Matrix Reloaded film fantastico – fantascienza
di Larry & Andy Wachowsky
Anno: 2003 Durata: 138 – Produzione: Joel Silver
Cast: Keanu Reeves, Laurence Fishburne, Carrie-Anne Moss, Hugo Weaving, Matt McColm, Jada Pinkett Smith, Monica Bellucci
Sceneggiatura: Andy Wachowski, Larry Wachowski
Distribuzione: Warner Bros
Fotografia: Bill Pope
Costumi: Kym Barrett
La profezia è vicina ad avverarsi, lo scontro finale tra l’eletto Neo e il Sistema è ormai imminente. Questo è almeno quello che crede Morpheus, che organizza la spedizione per recuperare le chiavi del main frame di Matrix e poter così staccare definitivamente la spina.
Nel frattempo, le macchine organizzano una controffensiva che porterà, nel giro di 72 ore, alla distruzione della città di Zion, ultima roccaforte dei ribelli. Inquietato da strani sogni premonitori sul destino di Trinity, Neo si accinge a seguire il proprio destino e a liberare l’umanità dalla schiavitù di Matrix.
Recensione n.1
Matrix: secondo episodio. Il film culto dell’ultimo millennio torna a quattro anni di distanza come un’apparizione fugace, con una visione volutamente incompleta che serve da anello di congiunzione con l’ultimo film che chiuderà la trilogia, l’attesissimo Matrix 3.
Ecco perché è lievemente amaro il sapore che lascia questa ennesima battaglia contro il male, contro le macchine che dominano l’uomo. Perché ancora non c’è certezza su chi vincerà l’interminabile sfida. Una sfida cominciata nel 1999 da Thomas Anderson (Keanu Reeves), normale impiegato che lavora in una normale ditta di una qualunque cittadina statunitense e che improvvisamente si ritrova a vestire i panni di Neo(acronimo di One, uno e unico), spericolato hacker il cui losco affare è contrabbandare dischetti contenenti svariate realtà virtuali alternative ( prima contrapposizione questa tra realtà e apparenza che si riflette spesso nelle visioni del mondo che ha il film, tangibile e ordinaria l’una, vera ma invisibile l’altra).
Come in “The Truman Show” anche in Matrix alberga l’incomprensione della realtà o meglio, delle infinite realtà di cui si colora il mondo.
Matrix è una porta aperta su tanti mondi possibili, è eccesso, anzi iper-realtà, ipertesto. Una struttura portante complessa, un universo tecnologico che genera finzione. In questo esperimento cyber punk non mancano le citazioni e i simbologismi. La concezione di due realtà, una visibile e tangibile, l’altra invisibile ed intangibile è infatti un tema ricorrente nella Bibbia. La fede in qualcosa che non si può né vedere né toccare è alla base del cristianesimo.
E non a caso la donna guerriero amante di Neo e parte della triade, si chiama Trinità.
Nonostante gli incredibili effetti speciali, la trama non rivela nulla di eccezionale rispetto al primo Matrix.
Dopo sei mesi dalla vittoria di Keanu Reaves-Neo, l’eletto ha una nuova e pressante missione: salvare la città di Zion, ultimo baluardo di umanità, dalle 250.000 sentinelle nemiche in sole 72 ore.
E tutto questo senza sacrificare l’amore, il suo amore, la coraggiosa donna guerriero alla quale riesce a ridonare la vita in un ultimo, disperato gesto.
E’ la scelta la chiave di tutto. La scelta che si ripropone a Neo tra la salvezza del mondo e di ciò che dà un senso al mondo (l’amore) e la scelta che viene posta all’umanità di continuare a credere nella realtà così come ci viene presentata o andare oltre con il rischio di scoprire la verità, bella o brutta che sia.
Il film è e rimane quindi l’intelligente metafora del dilemma tra la percezione di una realtà fittizia che cela il mondo intero sotto un dominio sconosciuto, e la realtà vera, intuibile solo da pochi “illuminati”.
I soldati Neo, il capitano Morpheus e Trinity sono tornati per smascherare e sconfiggere le onnipotenti intelligenze artificiali che controllano la nostra mente. E lo fanno con spettacolari combattimenti, mosse di Kung Fu in volo e scene di evidente suspance come quella dell’inseguimento in autostrada, che a livello di costi ha fatto tremare le casse della Warner (solo per quello sono stati spesi ben 40 milioni di dollari a garanzia dell’effetto panico).
La continuazione del cyberthriller dei fratelli Wachowski permette di evadere dall’ovvietà reale e concreta del mondo mettendo in dubbio la realtà stessa. Lo spazio reale e quello virtuale si confondono tanto abilmente da rendere difficile l’intuizione della verità. Il dramma sta nel credere o nel non credere, avere fiducia e rischiare o abbandonarsi all’apparente ma più rassicurante evidenza.
Giorgia Zamboni
Recensione n.2
Avviso: ci sono alcuni spoiler sparsi qui e la’… nulla di particolare, ma
siete avvisati…
Questa non e’ una recensione.
E’ una disquisizione su come i Wachowski Bros. prendano un’idea originale, ci regalano un capolavoro di filosofia spicciola, con innovazioni visive da mozzare il fiato, una trama accattivante e intelligente, poi, per bearsi maggiormente del (giusto) successo che hanno avuto con il primo, si glorificano con un seguito che e’ un insulto all’intelligenza dello spettatore.
Questo perche’, a differenza di molta gente che sbandiera la magnificenza degli effetti speciali, la strisciante Aristotelia nei dialoghi, la sontuosa iconoclastia, il calibrato messaggio filosofico/politico nascosto nei dialoghi, io rispondo con una sonora risata. Innanzitutto, hanno stereotipato i cliche’ del primo rendendo il tutto un non ben comprensibile calderone di rutilanti dialoghi presi in prestito da qualche guru fumato, intervallati da combattimenti in puro stile Playstation. L’unica scena che vale la pena del biglietto e’ a mio parere quella dell’autostrada, assurda quanto volete, ma talmente fatta bene da sembrare vera.
Per il resto siamo di fronte ad uno sproliloquio di oltre due ore in cui si alternano *alcuni* dialoghi efficaci con situazioni totalmente fuori dal contesto “Matrixiano” (o almeno, e’ quello che mi e’ sembrato “a pelle” prendendo in considerazione il primo episodio). Vero, ci sono risposte che non sono state date nel primo, ma allo stesso tempo spuntano fuori nuovi interrogativi. E la mia paura che la terza parte sia identica a questa, anche perche’ ho l’impressione che abbiano allungato il tutto apposta per costringere gli spettatori a tornare al cinema, piu’ che per raccontare in effetti qualcosa che poteva rimanere circoscritto in questo episodio.
I tempi sono stati calcolati malissimo: ci sono momenti di noia assoluta, con dialoghi soporiferi al limite dell’incomprensibilita’ seguiti da interminabili combattimenti poco ispirati (quello che segue poco dopo; l’unico degno di nota e’ quello nel salone con le scale). Poi altre scene ridicole (la scena di ballo tribale intervallata dalla “congiunzione carnale” dell’eletto, francamente, oltre ad essere inutile e gratuita, e’ troppo lunga, per non parlare di tutto il discorso del Merovingio, della richiesta della Bellucci a Neo per presentargli il mastro di chiavi…eccetera). E poi ci sono degli errorini sparsi qui e’ la’ nel film, ma rischio di dilungarmi troppo.
Non c’e’ niente di nuovo, e’ tutto riciclato. Solo piu’ “gonfiato”. Se fosse stato meno pretenzioso, forse avrebbe fatto una figura migliore. Invece, nella spasmodica attesa di trovarmi di fronte un nuovo capolavoro, le mie aspettative sono state decisamente vanificate… Con questo non voglio dire che e’ un film brutto, ma, personalmente, trovo che sia alquanto “forzato” (nei dialoghi), e che siano stati fatti salti mortali per dare un *minimo* di logicita’ ad un seguito che non doveva esserci… Per me non e’ un film cosi’ intelligente come vuole dare a credere, e’ solo un tentativo di chiamare in causa degli aspiranti filosofi per fargli trovare qualcosa di cui parlare. Poi, se alla gente piace farsi queste pippe mentali, nulla da ridire… Ma vorrei tanto conoscere il significato e le motivazioni del sottotesto (se mai ce ne fosse uno). A dire il vero, forse, era molto meglio lasciare Matrix (il primo) li’ dov’era, come unico e irripetibile gioiellino contemporaneo… Matrix Reloaded e’ solo un’involuzione dell’evoluzione…
Voto: 5/6
Wolf
Recensione n.3
C’era una volta l’atmosfera magica e misteriosa di un film che sapeva tenere insieme, come un collante indispensabile e meraviglioso, la filosofia che ne reggeva la trama e gli spettacolari combattimenti che lo animavano. Eroici dissidenti e invincibili repressori si scontravano in un’epopea spettacolare e grandiosa, con la scusa che potremmo non essere altro che la proiezione della nostra mente. Questo era Matrix.
Dimentichiamoci invece tutto ciò. Matrix 2, a dispetto di tutto ciò, cambia inaspettatamente registro, abbandona l’epica e si trasforma in un fantasy curatissimo ma senz’anima.
Il primo errore è sicuramente quello di trasportare i personaggi, nel primo episodio sospesi tra realtà e irrealtà, di fatto collocati in un mondo che non vedevamo, in un luogo descritto con dovizia di particolari.
E’ un passo indietro: inglobandoli in uno spazio strutturato, la città di Zion, con tanto di Consiglio supremo, comandante dell’esercito, capitani di navicelle, per quanto splendidamente rifinito, il film perde gran parte delle sue peculiarità, non cammina più sul sottile filo tra la finzione di un software e una realtà sconosciuta, ma scopre un mondo a metà tra gli immensi spazi di Guerre Stellari, la città sotterranea di Alien 2 e Mad Max. L’intero film, a questo proposito, è un gran minestrone di reminiscenze: Neo vola come un Superman virtuale, l’agente Smith crea un proprio esercito di cloni (come al solito, Guerre Stellari docet), gli agenti della sicurezza si impossessano continuamente dei corpi come novelli Terminator, si intravedono uomini incapsulati in robot, tali e quali a quelli di Alien…Non è tutto, dopo averlo spogliato del suo rivestimento epico, i fratelli Wachowsky aggrappano il loro film a un miscuglio di generi: thriller, fantasy, avventura, game-movie, oltre ai film giapponesi naturalmente. A dispetto delle potenzialità della scelta, sembrano poche le idee, tanto che anche i combattimenti, che nel primo episodio lasciavano senza fiato, vengono inghiottiti dal flusso di pesantezza che scorre inesorabilmente, dilungandosi e ripetendosi senza sosta. Lo stesso inseguimento in autostrada, di per sé spettacolare, difetta per prolissità, sull’impronta dei dialoghi, sempre eccessivamente lunghi.
Davanti a questo polpettone, arriviamo a salvare proprio l’unica sequenza che con il film poco c’entrava. Il rave party di Zion, la città dove risiedono gli unici uomini liberi da Matrix, è infatti una vera perla, nella quale il film si divincola per un attimo dalla prigione di generi e contaminazioni (dimenticando anche di essere Matrix), per regalarci una moltitudine di corpi in libero movimento, che si librano al rallenty a ritmo di musica. In parallelo, ad accompagnare il tutto, l’atto sessuale di Neo e Trinity, animale e insieme liberatorio, concluso in allontanamento con una posa sensuale e pittorica. Emozione unita ad estetismo di grande livello, per un film che nelle successive due ore avrà poco altro da dire.
Sopravvivono le scenografie e l’estetica del primo Matrix, ma tutto è arido, niente volge in sussulto. All’uscita, ci sorregge solo la speranza riposta nel terzo episodio.
Francesco Rivelli
Recensione n.4
Il primo “Matrix” ha rivoluzionato il modo di fare cinema d’azione, introducendo sofisticati effetti speciali poi imitati ovunque. Il merito, oltre che dei fratelli Larry e Andy Wachowski e dei tanti supervisori tecnici, e’ stato anche del maestro d’arti marziali Yuen Wo Ping, che ha coreografato i combattimenti permettendo ai personaggi di superare qualsiasi legge fisica, librandosi in aria con forza e leggerezza. Ma il primo episodio della trilogia riusciva anche a raccontare una storia capace di intrigare e appassionare, un punto di vista attuale, venato di bagliori crepuscolari e carico di suggestione. Nel nuovo “Reloaded”, di tutta quasta fascinazione d’insieme resta soltanto il forte impatto delle immagini. Comincia scimmiottando “Guerre Stellari”, con una Resistenza, un Consiglio, i buoni e i cattivi chiaramente distinti e, soprattutto, descrivendo questi ribelli come una sorta di “new barbarians”, con un look tribal-chic di irritante banalita’. La noia fa subito capolino, tra dialoghi pretenziosi e sibillini e personaggi poco interessanti. Poi, gradualmente, si arriva a capire che e’ meglio accantonare gli sviluppi previsti dalla debole sceneggiatura e concentrarsi sulla potenza delle immagini. Una volta preso atto del nonsense narrativo, si riesce anche a godere un po’. Certo, gli elaborati combattimenti sortirebbero un coinvolgimento assai diverso se supportati da un rapporto meno elementare di causa ed effetto, ma per gli occhi e’ comunque un vero piacere restare intrappolati nella rete di “Matrix”. Peccato per le tante, troppe parole che intervallano l’azione, pesanti come macigni e di inconcludente ingenuita’. In un contesto cosi’ tecnologico, gli attori sono pedine al servizio del videogioco, con un’espressivita’ limitata al minimo. Tra i patiti e mai cosi’ sciupati Keanu Reeves e Carrie-Ann Mosse e la bolsaggine di Laurence Fishburne, non sfigura nemmeno l’immobilita’ di Monica Bellucci, ancora una volta icona di mediterranea bellezza che potrebbe almeno decidersi a fare un serio corso di dizione per snellire il fraseggio, come al solito (unica eccezione “Ricordati di me” di Muccino) di stridente stonatura. Di tutto il rutilante immaginario riciclato, masticato e vomitato dai fratelli Wachowski, restano in mente alcune sequenze: il combattimento che anticipa l’incontro con l’oracolo, una sorta di danza di estrema eleganza e bellezza; la prima rissa tra Neo e gli Smith clonati, realizzata attraverso la nuova tecnica denominata “cinematografia virtuale” che, nonostante tradisca piu’ volte la sua natura di sintesi, e’ davvero “bigger an bigger” e lo spettacolare inseguimento in autostrada, con incredibili movimenti della macchina da presa e duelli tanto sopra le righe quanto divertenti. Tra i personaggi, una certa simpatia e’ suscitata unicamente dall’incredulo fabbricante di chiavi, gli altri si prendono troppo sul serio. Determinante, nella costruzione delle sequenze, il commento sonoro, con scelte musicali quanto mai azzeccate e trascinanti, che diventano parte integrante della narrazione. Piu’ che un film, alla fine, un fenomeno di costume, un rito collettivo a cui abbandonarsi senza cercare uno spessore che sembrava ci fosse, ma non c’e’. All’accendersi delle luci in sala, dopo i lunghi titoli di coda e il poco promettente trailer del successivo “Revolutions”, la sensazione che si prova trova appigli nelle parole di Merovingio. E’ un po’ come “essersi puliti il culo con la seta”. Effimero piacere che spreca gratuitamente indiscutibili talenti.
Vedere (o provare, a seconda dei gusti) per credere!
Luca Baroncini