Recensione n.1

Il terzo film della saga Matrix è suddivisibile geometricamente in due sezioni.
Una prima di circa 30 minuti che chiude in parte quello che era rimasto in sospeso in Reloaded; una seconda ben più corposa identica al secondo episodio del Signore degli Anelli (battaglia e viaggio verso il male in contemporanea).
Il paragone sembra più che palese, ma purtroppo LOT era ben altro…il tema merita un approfondimento a parte.
Matrix revolutions ha raccolto un coro così unanime di critiche (“Matrix Involutions” la più carina) da sembrare inverosimile. Perché?
La ragione è semplice, la sintesi hegeliana, necessaria nel terzo episodio della triologia (“Tutto ciò che ha un inizio deve avere una fine”), lascia l’amaro in bocca…
Per come si arriva a quel finale, con un film che alterna momenti di simil-noia, a spettacolari e roboanti combattimenti. Per il finale stesso, frettoloso e pasticciato, che lascia ancora parecchi interrogativi aperti. Probabile un ulteriore sequel.

Vito Casale

Recensione n.2

Ultimo capitolo di un giocattolone in fibra sintetica che, nel bene o nel male, ha rivoluzionato l’iconografia cinematografica, Matrix Revolutions lascia da parte le ridondanze e le vacuità del secondo episodio per stendere l’epilogo in una prosa più distesa e calibrata. Del primo Matrix, cioè della rivoluzione che fu – grazie al mix visivo, narrativo e filosofico – non c’è più traccia. Sono rimaste solo le complicate fila della trama da tirare ed intrecciare nella parola “Fine”, ma niente conserva l’istinto metafisico primordiale, affidando ai classici canoni del cinema fantastico l’onere di chiudere il sipario.
Una degenerazione stilistica che nasce proprio dalle incertezze dell’episodio precedente, allorché tutti gli ingredienti che avevano decretato il mito matrixiano venivano sbrodolati all’eccesso e al contempo diluiti dall’estensione dello spazio iconico al cosiddetto mondo reale, quello dove risiedono le macchine e la città di Zion.
Quella ibridazione così poco ispirata, altro non era se non un estremo tentativo di traghettare la dimensione scenica dalla virtualità alla realtà. E’ così che si consolida in questo capitolo finale il vero limite dell’intera epopea: non sa, non può inventare quella realtà fuori da Matrix, se non riciclando schemi ed immagini dai classici della fantasia.
In particolare fa scuola il secondo Alien, quello di James Cameron, militare e cupo, con addirittura il recupero di un personaggio, (Vasquez, la mascolina ispanica dai capelli a spazzola), ma non mancano richiami a Star Trek, Highlander e Guerre Stellari. Tutto rivitalizzato dagli sfarzosi effetti speciali, fulgido nell’apparenza ma patinato nella sostanza. A dire il vero uno spunto visivo originale c’è: è l’apocalittica incursione della trivellatrice all’interno di Zion, contrastata con un turbine di saette che schizzano verso l’alto; in quel campo lungo c’è l’unico scatto grintoso del film, paragonabile alla danza tribale che scuoteva Matrix Reloaded.
Ingabbiato in questa crisi visiva, la leggendaria potenza delle sue immagini si dissolve in un fantasy che eredita una complicatissima filosofia da sbrogliare, trascinando avanti decine di simbologie e costretto a chiamare in causa la metafora dell’equazione da bilanciare per spiegare gli intricati meccanismi di un software immenso come la vita. Alla fine Neo, il Cristo che sa negoziare il sacrificio per il quale era stato programmato, non è solo il fulcro simbolico e narrativo, ma assurge ad emblema della teologia del film; libero ma già destinato: in questo consiste l’ordine dell’universo matrixiano, dove ogni profezia si avvera secondo azioni e decisioni che sembrano negarla.
E’ su questo assunto che si struttura il terzo episodio, il quale si libera dalle pregresse frenesie d’azione per caricarsi di un pathos escatologico che non lascia traspirare alcuna previsione e sulle basi di questa attesa narra con ritmo più misurato, coi tempi e le pause giuste che erano mancati in Reloaded.
Quando il teatrino si chiude rimangono i fotogrammi – perfetti ma al giorno d’oggi non più folgoranti – di un mondo immaginario; quei corpi metallici dai movimenti sciolti, quelle navicelle spaziali così suggestive… ma quei grattacieli, oggetti della nostra contemporaneità, che si deformano come morbide Fruit Joy sotto l’impatto di un elicottero, appartengono ad un altro genere, un’altra storia, un altro Matrix.

Francesco Rivelli

Recensione n.3

° Ormai le macchine stanno prendendo il controllo su tutto: la roccaforte di Zion si sta difendendo dentro le proprie stesse mura, mentre Neo deve tornare dentro la matrice per sconfiggere una volta per tutte l’emissario Smith. Terzo e ultimo capitolo della saga dei fratelli Wachowski, primo film a essere uscito nelle sale in contemporanea in tutto il mondo (il 5 novembre 2003 alle 15 ora italiana): siccome “ogni inizio ha una fine”, nella sua conclusione l’avventura si concentra sull’estrema resistenza umana a Zion e non tanto sugli svolazzi virtuali della coppia Neo/Trinity. All’altezza dei tempi e delle aspettative dei fan, i Wachowski innalzano la confusione narrativa al livello di idea, il bailamme orgiastico di effetti speciali a conditio sine qua non di un cinema che vorrebbe fare avanguardia ma sa bene di essere banale e prevedibile, vecchio e pauperistico: come già nel secondo segmento, non c’è più uno straccio di originalità (nella difesa contro le macchine-polipo pare di rivedere un episodio a caso di Guerre stellari), la filosofia è andata a farsi benedire ed è stata soppiantata da un apparato dialogico rozzo e inconsistente (meglio lasciar perdere le disquisizioni su “amore” e “karma” e gli sdilinquimenti sentimentali fra i due innamorati) e persino la raffinatezza trendy del prototipo è morta sotto i colpi della frettolosità commerciale. Gli appassionati di informatica diranno di essere gli unici in grado di capire o, di colpo, a mo’ di intellettuali contrari alla speculazione a oltranza, non accetteranno quella che invece era già la logica soffocante del primo sequel, i neofiti resteranno basiti: in realtà, c’è ben poco da capire (metafore sull’attualità e sui virus comprese) e meno ancora da ammirare. Dopo avere acceso la matrice, i due fratelli ci si sono protetti dietro e hanno premuto il tasto off prima del tempo: lo schermo-monitor resta acceso, ma celebra soltanto l’infinito abisso comunicativo della rete e la cupa morte della passione. E per loro è venuto il momento di dimostrare che sanno di nuovo creare: non vorremmo dover tornare al cinema con un joystick fra le mani. L’Oracolo, dopo la morte dell’attrice Gloria Foster, è qui interpretato da Mary Alice. FANTASC 129’ *

Roberto Donati

Recensione n.4

Concludere una saga come quella di Matrix poteva sembrare impresa assai ardua. Già l’idea di un sequel appariva bestemmia, offesa nei confronti di quel piccolo capolavoro che è stato il primo capitolo. Il primo Matrix era geniale, nel concetto e nella forma, una rivoluzione tecnico-linguistica, che fondeva azione e filosofia, in un tripudio di generi d’avanguardia e non.
Il secondo Reloaded è un film non giudicabile, perché cerniera, perché metà film, perché ha sulle spalle il difficile fardello del primo. I fratelli Wachoski, consapevoli dell’impossibilità di ripetere l’idea innovativa che stava alla base della pellicola del ’99, si sono concentrati innanzitutto sugli spettacolari effetti speciali (da citare almeno il combattimento con i centinaia agenti Smith e l’inseguimento in autostrada), e poi sulla storia, accentuandone i risvolti filosofici e la complessità in generale. I difetti nel secondo film sono molti, così come nel terzo, ma visti entrambi come un unico lavoro, inscindibile, il risultato finale non è poi così male.
In Matrix revolutions si assiste ad un’esplosione di effetti speciali, perfetti, straordinari. Il combattimento fra Smith/Satana/Male e Neo/Cristo/Bene ha il sapore di una battaglia apocalittica, che supera le forme, la forma: le figure buie che ballano/combattono, illuminati solo da temporanei lampi di luce, trascendono ogni concetto terreno, abbracciando l’Universale; si compie la sintesi di forma e contenuto.
Ci sono molti parallelismi metaforici che si rifanno alla cultura cristiana, a quella orientale e alla mitologia greco romana. Come ho già detto i difetti sono molti: la storia è fortemente statica, poco narrativa, ci sono semplicismi di sceneggiatura assai ingenui, così come un eccesso smoderato nell’uso degli effetti speciali, che per quanto siano stupefacenti, a lungo andare stancano.
Eppure (e non me ne voglia l’amico Roberto Donati, perfetta come sempre la sua recensione) il sapore finale è quello di una sorta di compendio fra il cinema concettuale e quello più grettamente hollywoodiano. Matrix revolutions (ma tutta la saga in generale) è il futuro del cinema, nel bene e nel male è la meta verso cui esso (e noi con lui) si sta avviando.

Andrea Fontana

Recensione n.5

In principio fu un inaspettato successo mondiale, capace di cambiare le coordinate del cinema di fantascienza. Con “Reloaded” i geniali fratelli Wachowski hanno ridisegnato i confini del marketing, creando un evento mediatico dal forte impatto ma vuoto di sostanza. Con l’ultimo (a questo punto si spera!) “Revolutions”, si amplificano i difetti della gia’ scricchiolante seconda parte: un lungo e noioso prologo dell’azione e un gran finale, roboante e tecnicamente ineccepibile, ma poco coinvolgente. A meno di non essere fan sfegatati della saga, e’ davvero difficile riuscire a muoversi con agilita’ tra i personaggi e le loro motivazioni, e purtroppo la sceneggiatura non si accontenta di dare indicazioni di massima sulla elementare contrapposizione tra buoni e cattivi, ma pretende anche di filosofeggiare. Il risultato sono lunghi e vuoti dialoghi in grado di tediare anche lo spettatore meglio predisposto, che all’ennesimo botta e risposta infarcito di misticismo d’accatto (un concentrato grossolano di saggezza zen in pillole e riferimenti biblici), spera in una strage rapida e risolutiva ad opera delle seppie meccaniche.
Conversazioni tipo “Dove devo andare?” “Tu lo sai dove!” “Se io non sono io allora chi sono?” “Io voglio quello che vuole lei” rimbalzano sibilline per almeno meta’ film svuotando di contenuto (e riempiendo d’aria) i presupposti dell’azione. Una figura carismatica come l’Oracolo, che doveva il suo fascino anche alla parsimonia delle sue apparizioni, svaluta il suo ruolo di guida onnisciente diventando invadente protagonista. I monosillabi di Neo sono infarciti di un irritante afflato guru e Keanu Reeves vaga pallido e stordito cercando di credere (almeno lui) al ruolo di novello Santone Informatico. La Trinity di Carrie-Anne Moss e’ sempre piu’ scipita e secca e la sua storia d’amore con Neo sempre piu’ appiccicata. Per non parlare del Morpheus di Laurence Fishburne, determinante nel primo episodio, poi via via ridotto a massiccio figurante ed ora a legnosa comparsa. Il ritorno di Monica Bellucci regala un generoso decollete’ ed una sola battuta, ma forse e’ meglio cosi’. L’unica che dimostra un minimo di vitalita’ e’ la Niobe di Jada Pinkett-Smith. Poche le new-entry, una bambina indiana, dolce ed enigmatica quanto basta, e “L’uomo del treno”, sul cui spessore e’ bello tacere. Se la narrazione latita, anche l’azione, purtroppo, delude le aspettative. Yuen Wo Ping e’ ormai come l’Oracolo, onnipresente, e le coreografie dei suoi combattimenti non sono piu’ garanzia di stupore. Ha creato uno stile antigravitazionale, originale ed elegante, ma la sovraesposizione (da “La tigre e il dragone” a “Kill Bill”) lo sta affondando. Anche l’occhio, quindi, si limita a osservare, ma non gode come vorrebbe. Se “Reloaded” poteva vantare alcune superlative sequenze, come lo spettacolare inseguimento in autostrada o la lotta tra Neo e gli agenti Smith clonati, in “Revolutions” l’assedio alla citta’ sotterranea di Zion sperpera miliardi senza emozionare. Non convince nemmeno l’utilizzo del digitale nell’infuocata resa della cecita’ di Neo o nel faccione seppiato e scomponibile del Dio delle Macchine. Tutto avviene nel rispetto delle previsioni, dai salvataggi in extremis alle vittime sacrificali, e nessuna vera sorpresa chiude degnamente la forzata trilogia, partita bene, segnando l’immaginario collettivo, ma ridotta a futile contenitore di slogan, loghi e glamour. Si affaccia pure lo spettro di un’ulteriore puntata ma il pubblico, nonostante il boom dell’esordio, sembra gia’ dare segni di stanca (auscultare, al riguardo, i commenti post proiezione).
Vedremo cosa l’onnipotente Dio Dollaro decidera’!

Luca Baroncini (de www.spietati.it)

Un tentativo di interpretazione del terzo film
(solo per chi l’ha già visto!)

Per capire Matrix Revolutions è necessario rivedersi anche i corti di Animatrix.

Neo è un uomo con inculcato il programma di debug di Matrix e di tutto il software delle macchine dall’Oracolo.
Potrebbe essere mezzo uomo e mezzo macchina, d’altronde l’impianto l’hanno tutti gli uomini. Vedendo Animatrix non è da escludere.
Per questo ferma le seppie, ha il loro programma di debug!

Guardando il secondo film, sembrava che il mondo presunto reale altro non fosse che un’estensione di Matrix. Il terzo film sembra smentire tutto:
se così fosse infatti perché Neo non fa resuscitare Trinity in Revolutions quando muore? se la realtà Zion fosse solo un sottolivello di Matrix, perchè Neo non lo fa, visto che lui è il programma di debug?
Probabilmente (salvo prossimo sequel) a quanto sappiamo finora il mondo di Zion/Zero One è reale, e a esso può accedere da Matrix solo Neo, perchè mezzo uomo e mezzo programma di debug. L’agente Smith vi accede solo DOPO che Neo gli ha passato la conoscenza sul come.

Il finale è in realtà un non finale: gli uomini restano intrappolati in Matrix, con la sola promessa delle macchine che chi vorrà potrà uscire.
Le macchine non distruggono gli uomini, perchè a loro gli uomini servono, e poi perché in realtà non li odiano. La guerra infatti non è iniziata a causa delle macchine, ma degli uomini (animatrix).
Neo è apparentemente morto, ma nelle ultime scene di accenna a un suo prossimo ritorno, probabilmente in un altro corpo umano, essendo lui mezzo uomo e mezzo macchina.

Che ne dite?
Scriveteci!
centraldocinema@centraldocinema.weblink.it