Recensione n.1

Ci sono film che tutti negano di aver visto e che incassano decine di miliardi. “Merry Christmas” rientra tra questi. I dati parlano chiaro: il film piu’ visto delle festivita’ natalizie capace di raccogliere, in una decina di giorni, qualcosa come 26 miliardi. La curiosita’, ispirata dalla visione, e’ di capire un fenomeno, piu’ di costume che cinematografico.
Proviamo quindi a scoprirne pregi e difetti cercando di evitare facili crociate a favore, ma soprattutto contro. Per quello che riguarda i pregi, si fa abbastanza presto. “Merry Christmas” riesce a non deludere il suo vasto pubblico che, infatti, trova esattamente quello che si aspetta: un prodotto basato sulla verve degli interpreti e su una comicita’ perlopiu’ greve e priva di ironia. Tra i pregi, anche l’affiatamento del duo protagonista che, nonostante non faccia ridere granchè, non risparmia energie e riesce comunque a rendersi simpatico.
Ma veniamo ai difetti. Se Christian De Sica pare perfettamente a suo agio nei panni dell’italiano qualunquista e Massimo Boldi ripropone tutta l’ormai usurata varieta’ di smorfie che lo hanno portato al successo, i co-protagonisti lasciano alquanto perplessi. Enzo Salvi urla sguaiato e senza tregua per tutta la durata del film e Biagio Izzo si dedica all’ennesimo teatrino dell’impiegato gay, con annesso tutto il corredo di mossettine e facili doppi sensi (ma davvero fa ancora ridere qualcuno?). In confronto i Fichi d’India giocano di sottrazione, relegati ad un ruolo comico-grottesco probabilmente ideato per attirare anche un pubblico infantile. Quanto alle donne, di solito debordanti seminude nei manifesti, la loro presenza, sia nei personaggi che nelle interpreti, e’ davvero scialba: Emanuela Foliero ha sempre la stessa espressione da banditrice di televendita, mentre Paula Vazquez (probabilmente imposta dalla co-produzione con la Spagna) non lascia traccia, anche per colpa di un asettico e stridente doppiaggio.

Ma veniamo agli aspetti tecnici. La regia e’ al completo servizio degli interpreti, la colonna sonora e’ quasi assente (a parte il tormentone Anastasia) e i pochi effetti speciali (l’esplosione della bomba) davvero terribili.
La sceneggiatura, invece, e’ più strutturata del solito, ma rimane comunque poco più di un’idea. Parte con la classica situazione di un luogo unificatore in cui si intrecciano varie micro-storie, l’hotel Plaza di Amsterdam, per poi disperdersi nelle solite gag usa e getta.
Nella prima parte, l’esile filo conduttore viene mantenuto e si ha la sensazione che sullo schermo si racconti una storia, non certo originale, ma pur sempre una storia. Presto, però, la commedia degli equivoci sfocia nella sequenza di gag, non sempre volgari, quasi sempre becere, perdipiù in ritmata successione a mo’ di barzelletta.
Basta pensare alla lunga e illogica sequenza in cui Boldi pedina il futuro genero Izzo affiancato da una silente “stuffilona” in minigonna o lo scambio di valigette identiche (giuro!) tra Boldi e un attentatore. L’unico momento riuscito e’ lo stratagemma adottato da De Sica per sfuggire alle due mogli (ignare l’una dell’altra) in ascensore.
Ma allora cos’e’ che continua ad attirare il pubblico?
Intere schiere di sociologi, critici e studiosi, hanno dato la loro teoria al riguardo: il pubblico natalizio e’ diverso da quello del resto dell’anno, la promozione e’ stata massiccia con comparsate in ogni trasmissione televisiva, quest’anno la gente cercava la comicita’ (non certo la leggerezza) per evadere da una situazione internazionale poco rassicurante. Tante le ipotesi, nessuna certezza. Sicuramente e’ un tipo di comicita’ di derivazione catodica che molti spettatori trovano efficace. Del resto accade lo stesso in ogni paese e si tratta di fenomeni che difficilmente possono essere apprezzati altrove, proprio perche’ radicati nella “cultura” del paese di origine. Basta pensare, tanto per fare un esempio, al terribile “Fusi di testa” con il duo Mike Myers e Dana Carvey, che in America, sulla scia del televisivo “Saturday Night Live”, ha fatto sfracelli, mentre in Italia, nonostante un discreto lancio pubblicitario, e’ stato giustamente ignorato.
L’unica cosa che disturba, non e’ il successo di un film in fondo innocuo, ma il fatto che una numerosa fetta di pubblico vada al cinema una sola volta all’anno per ritrovare i suoi beniamini televisivi in formato gigante, per di più in una storia poco originale che ricicla gag vecchie, o solo aggiornate alle mode dei tempi (vedi, ad esempio, la trovata del piercing). Forse potrebbe essere strategico distribuire all’entrata del cinema biglietti gratuiti per altri film, in modo da dimostrare al pubblico che c’e’ dell’altro.
Quanto al tipo di comicità, basata piu’ sulla fisicita’ che sul contenuto, e’ solo questione di gusti. Ad alcuni vedere Boldi che canticchia saltando su un divano “monio monio monio monio” genera un riso grasso e incontrollabile, mentre per il sottoscritto risulta soltanto una sequenza priva di interesse. Ma la stessa cosa succedeva anche ne “Il mostro” di Benigni (tanto per fare un esempio di film invece applaudito dalla critica) quando il comico toscano parla per un minuto buono un giapponese casalingo, e cioé nei casi in cui e’ la fedeltà totale all’attore ad avere il sopravvento sul racconto.
Come dire, semplicemente questione di gusti!
O di gusto?

Luca Baroncini

Recensione n.2 – Non-recensione di Eugenio

Qualcuno pensa che ci voglia del fegato a spendere denaro per vedere in prima visione Merry Christmas.
In effetti…. Siccome le gozzoviglie natalizie mi avevano già fatto venire un fegato così, ho pensato bene di dare la botta finale invitando Viviana al cinema per l’ultima prodezza del Neri Parenti.
La scelta della data è stata cruciale, avendo notato che nei giorni di punta festivi l’afflusso di pubblico era proibitivo. Chiamo Viviana la mattina del 28.
– Ci vieni a vedere Merry Christmas? –
– EEEHHHH??????? –
La decisione viene lungamente ponderata al telefono e alla fine ci accordiamo per il primo spettacolo della sera, a cui prospettiamo di far seguire una pizza e una birra al pub.
Nonostante la bella pensata, fuori dalla sala c’è un bel codazzo di ciucchi, forse il più variopinto ed eterogeneo visto quest’anno per un film di cassetta. Coppie, coppie di coppie, famiglie, ragazzetti urlanti, pensionati e chi più ne ha chi ne metta. Come spesso accade in questi casi, in attesa di introdurci, dobbiamo sorbirci battute e dialoghi che tutti già hanno imparato a memoria, grazie ai trailer. Il cloù si verifica quando un sessantenne con cappotto e cappello, al termine di una serie di sghignazzate con gli amici, spara una ragliata clamorosa ad imitazione del Fico d’India che sbuca dal tacchino arrosto. L’evento da un lato suscita l’ilarità di qualcuno lì in coda, ma dall’altro
procura un soprassalto generale.
Viviana mi fa: – Ma perchè ‘sto scemo ha urlato? –
E io: – Stava rifacendo una scena del film. –
– Sti cazzi – mi risponde lapidaria.
Facciamo il biglietto, entriamo con la mandria e troviamo posto a metà corsia. Il classico rituale della sistemazione di cappotti e sciarpe ci tiene occupati per dieci minuti, al termine dei quali sono già scoppiati sei o sette focolai di rissa. Il bello è che poi tutti si devono tenere la roba in braccio, perchè quello davanti sta scomodo, quello di fianco si incazza…. e quello dietro fa incazzare te, dato che ti piazza un eskimo gigante con cappuccio impellicciato proprio sullo schienale. Quando si spengono le luci per un attimo sembra che le acque si calmino. In realtà si tratta di un falso allarme, perchè tutto si riaccende dopo cinque secondi, lampeggiando come un’insegna al neon difettosa. Mormorio in sala, qualche risatina. Le luci si rispengono e stavolta mi sprofondo nella poltrona, dando una pacca sulla mano di Viviana. Ok. Sembra che la pellicola parta, ma è una falsa partenza: le luci zompano allegre come sull’albero di Natale.
– Ma che caz… – dice uno vicino a me
Il vocio cresce. E nel vocio emerge inconfondibile il megafono di quello che fuori aveva fatto l’imitazione di Arena dei Fichi d’India. Tiene banco tra gli amici, intrattenendoli in attesa del film.
Viviana mi fa: – Non urlerà mica di nuovo? – Si spengono le luci, si riaccendono. A questo punto dalla galleria l’immancabile nostalgico dell’avanspettacolo dice la sua: –
PRRRRRRRRRRRRR!!!!! –
Sortendo una risata generale. Meglio che niente.
Finalmente il film comincia senza problemi. Me lo godo tra le righe, perchè in sala è tutto un cazzeggio, tra gente che sghignazza, gente che mangia e beve, gente che parla dei cazzi suoi, gente che si slingua…. insomma, il bello di questi film di Natale è che fanno il pienone, sbancano il botteghino e fondamentalmente nessuno li vede veramente. Ci vai perchè è un irrinunciabile appuntamento di costume.
Dopo un quarto d’ora inizia la manfrina di un ragazzetto che fa a papà: – Ma pà…. ma quando c’è il cane che piscia nella scatola? – Ah, il potere dei trailer! Questo è venuto solo per vedere quella scena, che ovviamente non c’è. E la smenazza per mezz’ora al padre che si sta smarronando chiedendogli: – Ma quando c’è il cane che gli piscia in testa? – Frase che già alla terza volta ispira un tizio dietro di me: – Se me la tengo ancora un po’ gliela faccio io una pisciata in testa a sto rompicazzo. –
Nel frattempo, però, io comincio anche a realizzare che quando ci sarà davvero sullo schermo la scena del tacchino arrosto, il ragliatore di prima non mancherà di sottolineare la sua presenza. E vivo il resto del film con la tensione addosso per l’attesa di qualche altro urlo.
Viviana mi fa: – Ma cos’hai? –
Io: – Sono un po’ nervoso? –
E lei: – Ma per sta cagata qui sei nervoso??? –
Fortunatamente l’incauto imitatore alla scena fatidica si limita a ridere sonoramente come tutti.
Vabbè. Finisce il film e la prima cosa che vedo alla luce dei neon è il tappeto di cartacce, patatine, lattine, cartoccini, caramelle succhiate, cannucce, ecc. che ricopre il pavimento. Che vergogna.
Uscire dal cinema è un’impresa titanica. Tanto che aspettiamo un po’ prima di avventurarci verso le porte.
Intorno non sento altro che commenti rincoglioniti e ripetizioni delle battute, nonchè apprezzamenti su tette e culi ormai d’obbligo in queste pellicole.
Usciamo.
Usciamo convinti che il delirio sia finito lì. Quando varchiamo la soglia principale e ci troviamo sui gradini, però, assistiamo alla scena più clamorosa della serata. Il tizio con cappotto e cappello, circondato dagli amici, si è messo accovacciato, quasi a quattro zampe, sul gradone di marmo che fiancheggia il cinema; e complice un altro tizio esaltato e sghignazzante rifà la scena del tacchino arrosto con tutta la mimica. L’urlo da Fico d’India risuona nella via, mentre quello strabuzza gli occhi e stramazza al punto che gli casca il cappello.
La gente lo guarda allibita, qualcuno divertito, noi completamente basiti. Una tesi di laurea, bisognerebbe farci su Boldi e Neri Parenti! Una tesi di laurea!

Eughenios