Scheda film

Regia, Soggetto e Sceneggiatura: Woody Allen
Fotografia: Johanne Debas, Darius Kondji
Montaggio: Alisa Lepselter
Scenografie: Anne Seibel
Costumi: Sonia Grande
Musiche: Stephane Wrembel
Spagna/USA – 2011 – Commedia – Durata: 94′
Cast: Owen Wilson, Rachel McAdams, Kurt Fuller, Mimi Kennedy, Michael Sheen, Nina Arianda, Carla Bruni
Uscita: 2 dicembre 2011
Distribuzione: Medusa

 Gil è uno sceneggiatore…

Gil è uno sceneggiatore che sogna di scrivere un romanzo, Inez è la sua fidanzata. Prima di sposarsi i due vanno in viaggio a Parigi in compagnia dei genitori di lei. Mentre lei si appassiona alla città dei musei e dello shopping e inizia l’esplorazione in compagnia di una coppia di amici, lui si fa trascinare dalla sua fantasia e inizia a sognare, dapprima, e poi a rivivere il passato della città.
Partendo dalla nostalgia alla base di molte riflessioni metafilmiche di Woody Allen e tenendo sempre presente il rischio didascalico che le troppe citazioni possono ingenerare, ecco il nuovo film del regista statunitense prendere a prestito idee passate, come anche miti e glorie del tempo che fu, e imbastire con questi una trama esile e situazioni divertenti, certo, ma condite da battute meno fulminanti del solito.
Gil è uno sceneggiatore che incomincia a porsi il problema del significato del suo lavoro. Inez è la sua futura sposa che di domande non se na fa poi così tante, e mentre suo padre, un reazionario amante dei Tea Party, guarda con sospetto al futuro genero sinistramente artistoide, lei ne approfitta per una scappatella con un pedantissimo quanto irritante amico. A Gil, rapito più dal passato che dalla città odierna, non resta che passeggiare e perdersi tra le strade parigine.
Allo scadere della mezzanotte, moderna Cenerentola, invece di perdere la scarpetta egli smarrisce il senno e si ritrova a una festa dove Zelda gli presenta il suo Scott.
Fitzgerald dal canto suo mette in guardia l’ardimentoso Gil dal rischio di mostrargli il suo romanzo incompleto, dal momento che se fosse cattivo egli lo odierebbe, come odia tutta la cattiva letteratura, e se fosse invece un buon lavoro dovrebbe per forza invidiarlo. Quindi cosa resta di meglio da fare che non sottoporlo al giudizio di Gertrude Stein?
A questo punto si consiglia l’astensione dalla visione a tutti quelli che non amano il citazionismo fine a se stesso, dal momento che l’intero film è costellato da richiami al glorioso passato artistico di inizio secolo e dalla carrellata di personaggi più surrealista dell’intera carriera di Allen.
Il messaggio metafilmico è più che mai una scusa per inanellare gag, neanche tanto geniali, e infilare qua e là qualche frecciata al presente guerrigliero e poco umanista dell’America attuale.
Quindi mentre Hemingway si interroga sulla morte, cosa che può pure esser stata possibile, ma forse non in presenza di Gertrude Stein, Gil ne approfitta per dare suggerimenti a un Buñuel in crisi creativa e passargli la trama di una delle opere più famose che il regista abbia mai realizzato. Certo una volta presa la mano, il povero Gil decide che non è poi così male vivere la notte ciò che ormai non è più pago di sognare di giorno, e quindi molla gli ormeggi e si innamora di Adriana, musa di Picasso e di Modigliani, accompagnandola alla soglia dell’epoca sognata da lei: La Belle Epoque. Si, perché il rischio reale di considerare il passato sempre migliore del presente è che ci si possa perdere nei nostalgici riferimenti, e non trovare mai più la via del ritorno. Il surrealismo diviene così schermo bianco su cui proiettare le più folli derive mentali, e scoprire di colpo che Dalì e Man Ray potevano sedere con Bunuel e immaginare insieme, partendo dallo stesso stimolo, cose completamente differenti.
Un Owen Wilson sottotono è Gil, mentre la sua infedele compagna è un’isterica Rachel McAdams. Meglio riusciti sono senz’altro i piccoli camei d’epoca: una sensazionale Kathy Bates è Gertrude Stein, proprio come ce la potremmo immaginare, e Marion Cotillard la fascinosa art groupie Adriana. Hemingway è un intenso Corey Stoll, mentre Adrien Brody è un Dalì parecchio sopra le righe.
Si teme moltissimo per il doppiaggio che potrebbe alterare il perfetto calderone linguistico dato dalla coesistenza nello stesso gruppo di spagnoli, americani e francesi, tutti che parlano la loro lingua e che si comprendono perfettamente.
Il tutto è filmato magnificamente, in particolare le ricostruzioni d’epoca e le scene di una Parigi notturna senza tempo, come a voler sottolineare la preferenza del regista in fatto di epoche storiche, ma quel che lascia leggermente disorientati è la sensazione di esser di fronte a una fotografia antica, bellissima certo, ma un po’sfocata. Il gioco citazionista dopo un po’ stanca, e quel che risalta, oltre i i camei riusciti e non, è la volontà di infilare quante più cose belle possibili in un solo momento, purtroppo ormai passato da tempo.
Se l’intento è quello di mettere in guardia contro i rischi onanistici di una nostalgia inguaribile, non può dirsi riuscito del tutto, dal momento che la parte più vitale del film è proprio quella onirica, e al suo confronto il presente non avrà mai nessuna possibilità di appeal, neanche in presenza della Première Dame a fare da guida. Ma se invece il messaggio fosse proprio quello della vitalità di un desiderio di ritorno al passato che addirittura ha il potere di influenzare la realtà presente, allora bisognerebbe chiedersi se non è arrivato il momento, anche per Allen, di accettare il presente per quel che è, e lasciare il passato ai musei.

Voto: * * * *

Anna Maria Pelella

 #IMG#La magia di Parigi secondo Woody Allen

Dopo cadute e risalite, dopo il cambio di rotta di Match Point e la “trilogia” londinese, dopo gli intrighi amorosi nel sensuale Vicky Cristina Barcelona, il ritorno alla commedia esistenzialista con Basta che funzioni e all’introspezione con il non troppo riuscito Incontrerai l’uomo dei tuoi sogni, l’osannato e prolifico Woody Allen, che al momento dell’uscita di Midnight in Paris ha già da tempo terminato le riprese del successivo Bop Decameron, ambientato e girato a Roma, recupera quella sfera onirica e fantastica che era diventata la cifra stilistica di alcuni suoi capolavori come Provaci ancora, Sam o La rosa purpurea del Cairo.
Il protagonista di Midnight in Paris, un convincente Owen Wilson nel ruolo di un Allen più giovane, scrittore in crisi creativa e sentimentale, non vede Humprey Bogart e non fuoriesce da uno schermo cinematografico, ma durante un soggiorno a Parigi con la fidanzata di cui non è completamente innamorato (Rachel McAdams) scopre di poter viaggiare nel tempo, trovandosi magicamente trasportato nella Ville Lumière degli anni ’20. L’evasione diventa l’occasione per riflettere su sé stesso e sul suo lavoro, quasi una metafora di ciò che accade a un regista quando si allontana dalla realtà immaginando storie sempre diverse.
Deve essere un po’ ciò che è accaduto ad Allen: gli estimatori del suo cinema rivedranno in Midnight in Paris toni e situazioni che, ormai da troppo, mancavano nell’opera del regista newyorchese, rielaborate in un’ottica più matura e ponderata.
Gil sembrerebbe un uomo che non ha nulla da chiedere alla vita: è uno sceneggiatore hollywoodiano richiestissimo e strapagato, ha una fidanzata sexy che sta per sposare, una vita agiata. Ma non è felice. Vorrebbe fare lo scrittore, ma l’ispirazione necessaria a portare a termine il primo romanzo latita, e di certo non lo aiutano la sua donna, i suoi suoceri e gli amici, che lo scoraggiano ritenendo la carriera di sceneggiatore preferibile e più sicura rispetto a quella di romanziere squattrinato.
Lui vorrebbe vivere a Parigi, ricordando il fiorire d’arte e letteratura che caratterizzarono la Ville Lumière negli anni ’20, il suo periodo storico preferito. Così, quando il suo scorbutico suocero si reca in Francia per lavoro, ne approfitta per andare alla ricerca della concentrazione perduta. La vacanza però non sembra andare come dovrebbe: lui e la sua compagna Inez, piuttosto che riavvicinarsi, si allontanano sempre più tanto che una sera, mentre lei va a ballare con un amico piuttosto saccente, Gil preferisce una passeggiata, nel tentativo di schiarirsi i pensieri. Complice un bicchiere di troppo, si perde per i vicoli della città.
In un vicolo alcuni amichevoli sconosciuti gli offrono un passaggio, in un’automobile decisamente retrò. E’ così lo scrittore si ritrova trasportato proprio negli anni ’20, dove incontra celebri personalità del calibro di Gertrude Stein, Ernest Hemingway e Salvador Dalí, ricevendo da loro dritte e consigli, per il suo romanzo e per la sua vita. Qui si innamora follemente di Adriana (Marion Cotillard), che a sua volta sogna di vivere durante la Belle époque. Così, Gil si rende conto che l’idealizzazione di un passato glorioso e perduto è comune a ogni età storica e non è altro che un modo per sfuggire dai nostri problemi.
Imparerà allora ad affrontare sé stesso e ad abbracciare un futuro più incerto ma reale.
Se Match Point ci è piaciuto e abbiamo comunque apprezzato la volontà di Allen di esplorare strade nuove nel corso delle ultime fasi di carriera, lo spirito ironico, intelligente, pungente e riflessivo delle sue prime opere ci è mancato.
Anche se in parte lo abbiamo ritrovato in Basta che funzioni, ma solo con Midnight In Paris il regista di Brooklyn ritrova in pieno il suo equilibrio. Non si tratta del suo capolavoro, ma chi conosce e apprezza il primo Allen lo apprezzerà sicuramente, così come coloro che hanno lasciato il cuore a Parigi, a cui è dedicata la sequenza d’apertura con gli splendidi scorci della Ville Lumière. Divertente Owen Wilson, soprattutto durante le sue scorribande nel passato e negli incontri con gli artisti più importanti del 900.
Menzione speciale per il cameo di Adrien Brody nei panni di un eccentrico Salvador Dalì. Tra una fugace apparizione di Carla Bruni nei panni di una guida turistica e una riflessione sull’utopia dei tempi andati, la pellicola si lascia guardare con gran piacere, e ci saluta con un sorriso e una pioggia battente tipicamente francese.
Midnight in Paris recupera lo stile che da tempo Woody Allen aveva abbandonato, arricchito da una visione romantica e dalla maturità dell’età che avanza. Piacciono l’elemento fantasy e la ritrovata verve ironica, mentre i meno “acculturati” o i meno appassionati di arte in generale, potrebbero restare infastiditi o annoiati dal compiaciuto gioco citazionista-intellettuale, e leggermente snob che da il via a tutto il film.

Voto * * *½

Giada Valente