Scheda film

Regia: Alexandros Avranas
Soggetto e Sceneggiatura: Alexandros Avranas e Kostas Peroulis
Fotografia: Olympia Mytilinaiou
Montaggio: Nikos Helidonidis
Scenografie: Thanassis Demiris e Eva Manidaki
Costumi: Despina Chimona
Suono: Nikos Bouyioukos
Grecia, 2013 – Drammatico – Durata: 98′
Cast: Kostas Antalopoulos, Constantinos Athanasiades, Chloe Bolota, Martha Bouziouri, Rafika Chawishe, Yiota Festa, Giorgos Gerontidakis-Sempetadelis
Uscita: 31 ottobre 2013
Distribuzione: Eyemoon Pictures
Sale: 15

 L’orco

Incesto, pedofilia, violenze domestiche psico-fisiche, abusi sessuali e maltrattamenti sui minori, sono temi generalmente complicati da trattare individualmente, figuriamoci se fatti confluire in un unico plot. Per riuscirci serve una maturità non indifferente, tanto dal punto drammaturgico quanto da quello formale, elemento imprescindibile per riuscire ad affrontare indenni le dinamiche psicologiche e morali che le suddette tematiche comportano. L’ostacolo più grande da oltrepassare è senza alcun dubbio quello della spettacolarizzazione della violenza, “figlia legittima” di una reiterazione morbosa nello sguardo da parte dell’apparato filmico, di colui che lo innesca e di riflesso dello spettatore che lo subisce passivamente. Quando ciò si verifica, la fruizione assume i toni ossessivi tipici di un voyeurismo malato, in certe occasioni persino di natura pornografica. Molti film, per un modo o per un altro, non hanno saputo arginare e allontanare una simile minaccia, pagando a caro prezzo l’incapacità di non averne saputo sostenere il peso specifico, il contrario di quanto fatto da opere del calibro di Happy Together o Il sospetto. Tra quest’ultime un posto di diritto spetta a Miss Violence di Alexandros Avranas, fresco vincitore di un duplice riconoscimento alla 70esima edizione della Mostra di Venezia (Leone d’Argento per la migliore regia e Coppa Volpi per il migliore attore a Themis Panou) e reduce da un autentico tour de force nel circuito festivaliero (da Toronto a Pusan), dove l’opera seconda del cineasta ellenico ha raccolto innumerevoli consensi tra i critici e gli addetti ai lavori. Ora approda nelle sale nostrane grazie alla lungimiranza della Eyemoon Pictures, che proprio con il film di Avranas fa il suo esordio nella tortuosa distribuzione italiana a partire dal 31 ottobre. Una scelta piuttosto coraggiosa per un debutto, dato che ci si trova in presenza di quella che da tanti è considerata come una, se non la pellicola più disturbante e scioccante della stagione cinematografica in corso.
Visto il paese di provenienza dell’opera e del suo regista, dei personaggi che la animano, di alcune delle argomentazioni affrontate e dell’atmosfera che questa è capace di materializzare davanti agli occhi della platea di turno, verrebbe subito da scomodare la tragedia greca. Un’idea che il cineasta di Larissa classe 1977, senza esitazione alcuna, decide di non sposare. La struttura classica della tragedia prevede, infatti, nel suo dispiegarsi narrativo un lento processo che porta alla purificazione e alla redenzione, processo che in Miss Violence, per volontà degli autori dello script (lo stesso Avranas, in collaborazione con Kostas Peroulis), viene meno a favore di un epilogo aperto e ambiguo, che lascia tracce indelebili nella mente e nella retina dello spettatore, al quale segue un profondo senso di angoscia persistente post visione. Quella al centro del film del pluri-premiato autore di Without è una storia di orrore quotidiano, che trae inspirazione da una vicenda analoga avvenuta in Germania nel 2010, consumato giorno dopo giorno fuori e soprattutto dentro le mura di una casa asettica, nella quale vige una ferrea regolamentazione imposta da un padre-padrone ai restanti abitanti. Il suicidio di uno di questi, in occasione del suo undicesimo compleanno, crea una crepa insanabile in un “sistema” malato sorretto da anni da un ciclo di violenze che coinvolge il carnefice e le sue vittime.
Il risultato è un film raggelante che non può lasciare indifferenti, che aggredisce chi lo osserva con un fuori campo che via via viene rivelato e con esso l’orrore che inizialmente viene negato. Porte chiuse o socchiuse, così come la distanza dalla scena osservata dall’esterno e la scelta di mostrare l’azione ma non la reazione, sono la punteggiatura estetica ed empatica sulla quale Avranas punta per restituire sul grande schermo la dimensione di un terrore latente, avvolto in un inquietante e assordante silenzio fatto di omertà e paura. Il focolaio domestico, universalmente riconosciuto come luogo accogliente per coloro che lo vivono e lo percorrono, si tramuta da “avamposto” eretto per difendere da attacchi esterni chi vi si rifugia a “teatro” ove prende forma e sostanza un massacro psicologico e fisico da parte di un nemico interno, di un affetto che invece di proteggere preferisce distruggere. Lo stesso uomo che mette in atto una pressione costante su chi dovrebbe amare, che controlla in maniera maniacale tutto e tutti avvalendosi di una rigida disciplina.
Seguendo la lezione di Haneke, Avranas percorre la strada di un rigore formale basato su una messa in quadro geometrica, solida, asciutta e diretta, che alterna a frequenti campi fissi, lenti e chirurgici movimenti di macchina che sottolineano la preparazione tecnico-stilistica del regista greco, tanto nella gestione dello spazio, quanto nella conoscenza dell’hardware e nella straordinaria direzione degli attori, quest’ultimi capaci di una naturalezza disarmante. 

Voto: 8 e ½

Vito Casale