Con “Monster” ci troviamo di fronte, come spesso accade quando le pubbliche relazioni di una casa cinematografica funzionano a dovere, a un film che probabilmente non sarebbe stato nemmeno notato ma che per l’eccezionalità di qualcosa che è al di fuori dello schermo, diviene immediatamente un’attrazione. L’oscar vinto dalla Theron per la sua interpretazione non è il vero elemento di richiamo, ma lo è avere fatto ingrassare di 20 kg una delle donne più belle del mondo per farla apparire sullo schermo un vero mostro. Il regista avrebbe tranquillamente potuto fare una scelta di casti differente, proponendo il ruolo a un’attrice con un phisique du role più idoneo alla parte. Non è comunque da sottovalutare il fatto che, avere dato la possibilità alla splendida Charlize di prendere le vesti di una donna, piacente in passato, e oggi distrutta dall’alcool, è stato uno stimolo, una sfida per chi ha fino ad oggi vissuto e guadagnato sulle meravigliose fattezze del proprio corpo. Dopo lo sproloquio iniziale, che ritengo fondamentale per leggere ilfilm,veniamo al dunque. Monster è una storia vera, una vicenda di disperazione e di disillusione totale di una donna, Aileen, che non vede vie d’uscita se non quella di vendersi agli uomini per sopravvivere. La provincia americana non offre molto se non dei bui pub dove bere whisky e birra, e un giorno in uno di questi luoghi incontra una ragazzina, Selby, che scopre essere lesbica, dalla quale è respinta e attratta allo stesso tempo. Fra di loro nasce un’amicizia (e anche qualcosa di più) che Aileen trasforma attimo dopo attimo in un rapporto morboso che la induce a ritornare con la mente alla sua adolescenza violenta, germe di un sentimento d’odio verso gli uomini che sfogherà drammaticamente con i suoi clienti.
Il problema del film è proprio la presenza ingombrante di Charlize Theron che recita oltre la sua parte fagocitando ogni luogo o persona che incontra. Dietro di lei esiste qualcosa, e sono presenti delle tematiche che sarebbe stato interessante analizzare in modo più approfondito. Selby, infatti rappresenta l’amore, con la A maiuscola, quello che Aileen non ha mai avuto prima, che è l’unico appiglio alla vita che le rimane prima di cadere nel baratro. L’omosessualità non esiste realmente nella relazione che lega le due protagoniste (le uniche immagini di amore fisico sono una conseguenza di quanto appena scritto), e se Aileen tenta di recuperare la sua esistenza, la ragazzina è attratta dalla fragilità recondita e dall’ingenuità che si nasconde in qualcuno che appare avere avuto ogni tipo di esperienza e che lei idealizza nella figura di “maestra di vita”. Christina Ricci è molto brava nel recitare con minimalismo la sua posizione di follower, che segue e muta in base alle circostanze e ai comportamenti della Theron, esternando le proprie esigenze di scoprire cosa c’è all’esterno oltre agli zii e al padre che vive lontano.
La regista e autrice, Patty Jenkins sembra affascinata dalla presenza e dalla via crucis di Aileen e si preoccupa di esasperare la drammaticità della situazione, chiudendo le porte alla trama che è per questa ragione discontinua, composta da scene “solitarie” che non hanno legami fra loro (facendo un’analisi semiotica verrebbe da dire che un legame non esiste in tutto il film…). La storia può essere potenzialmente interessante e piena di spunti (qui non risolti), ma il risultato è un lungometraggio scontato.
Il consiglio, se andrete a vedere “Monster”, è di immedesimarsi nella opacità della provincia americana per percepire le emozioni claustrofobiche che il film trasmette, nascoste dalla mastodontica e talvolta fastidiosa recitazione della Theron, che, bisogna ammettere, ha provato a se stessa in primis che la bellezza non è la sua unica qualità.

Mattia Nicoletti