Nella Georgia ancora razzista, calda e piena di gente col fucile, una storia d’amore quantomeno atipica fra una donna nera che ha perso marito (giustiziato) e figlio (investito) e un uomo bianco con una storia familiare di razzismo e brutalità alle spalle. L’uomo (Billy Bob Thornton) fa la guardia carceraria nel braccio della morte, e guardacaso e` proprio l’individuo che ha organizzato gli ultimi istanti di vita del marito della donna (lei è Halle Berry).
Il film è bello; questo non credo si possa mettere in discussione. E` dotato di una magnificenza visiva quasi irritante: dissolvenze incrociate con effetto onirico; contrasti al massimo e grandangoli che restituiscono immediatamente l’atmosfera torrida della Georgia; teleobiettivi ravvicinati quando si tratta di dipingere l’interiorità dei personaggi. Forster ci sa fare e lo sa bene. L’inizio addirittura, onirico, ricorda “La promessa”. La musica e` perfetta, non invade ma accompagna e suggerisce, e integra le immagini.

E tutto cio` senza contare che gli attori sono al top. Anzi di piu`. Thornton da il meglio di se’, cane bastonato, Bogey dopoguerra, americano che di piu` non si puo`; Halle Berry e` straordinariamente bella, affascinante nella sua condizione da subproletaria; maiuscolo Peter Boyle (il mostro di Frankenstein Junior, fra l’altro!) nella parte del vecchio padre invalido, razzista, cattivo, arido. Oscar alla Berry meritatissimo. Critica sociale a piene mani: la pena di morte ripresa in tutto il suo orrore (ma un tantino insistito ed eccessivo, come in “Dancer in the Dark” per esempio); il razzismo come colpa dei padri che ricade sui figli a catena; la stessa puttana per due generazioni di poveracci; cibo orribile, grasso, disgustoso, che tutti mangiano a profusione.
Pero`, che dire, il film a me non e` piaciuto come avrebbe potuto. E` una macchina da oscar, e lo dico senza caricare il termine di negativita`; ma anche e soprattutto, e` *troppo*. Troppo bello, troppo visivo, troppo caricato nella recitazione e troppo tirato via nella sceneggiatura. Insomma, sospendere la credulita` e` ok, il melodramma pure, ma non e tutto troppo finto, talmente finto e forzato da non stare piu` in piedi se non per dare modo agli attori di recitare alla grande?
Tutto massimale: Sonny che si spara dicendo “io invece ti ho sempre amato”; Hank con la mania del gelato col cucchiaio di plastica che torna nel finale; Leticia perennemente disperata — ma del resto non potrebbe essere altrimenti, visto quel che le capita — e d’improvviso rinfrancata da un bianco che, opla`, se la scopa in una delle scene di sesso piu` calde mai viste al cinema. Salvo poi incazzarsi a morte per le parole del padre, salvo poi ricredersi in 4 e 4 8, salvo… E poi scusate, non so come suona in italiano, ma lei e lui sul divano, Hank le posa una mano sulla schiena, lei dice “I just wanna feel good, just make me feel good”, si cala il body e via! E le e` morto il figlio qualche giorno prima! Ma dai!
Insomma, “Monster’s Ball” vira parecchio dalle parti del polpettone sentimentale. Ed e` troppo visto, troppo sbattuto in faccia. Suggerire o elidere sarebbe stato decisamente meglio, secondo me, come anche dare qualche sfumatura di ambiguita` ai personaggi. Torna in mente ancora una volta “La promessa”, film da cui prendere esempio. Peccato.

Claudio Castellini