Scheda film
Titolo originale: The Bag Man
Regia: David Grovic
Sceneggiatura: David Grovic, Paul Conway
Fotografia: David Knight, Steve Mason
Montaggio: Devin Maurer, Michael R. Miller
Scenografie: Kelly Curley
Costumi: Liz Staub
Musiche: Tony Morales, Edward Rogers
Usa, 2014 – Noir/Thriller – Durata: 108′
Cast: John Cusack, Rebecca Da Costa, Robert De Niro,
Crispin Glover, Dominic Purcell
Uscita: 26 Febbraio 2015
Distribuzione: Barter Entertainment
Sale: 32
O la borsa o la vita
Mai detto popolare fu così calzante come per The Bag Man, pellicola d’esordio di David Grovic, nelle sale nostrane per volontà della Barter Entertaiment, a partire dal 26 febbraio, con l’altrettanto poco originale titolo Motel. “O la borsa o la vita” è proprio il caso di dire, con la classica e immancabile valigia dal misterioso contenuto che diventa, per i personaggi di turno, tanto oggetto proibito quanto del desiderio. Da una parte troviamo un sicario incaricato di prenderla in custodia e dall’altra il boss che vuole metterci il più presto possibile le mani sopra. La consegna come vedremo non sarà delle più facili, segnata da tutta una serie di spiacevoli imprevisti a complicare la transazione. Il tutto va in scena in uno squallido e decrepito motel di quarta categoria, sperduto nel bel mezzo del nulla da qualche parte della Louisiana, con la stanza 13 designata come luogo per la consegna della valigia e della lauda ricompensa.
Detto del plot (liberamente ispirato al racconto “La gatta” di Marie-Louise Von Franz), che poco regala alla platea dal punto di vista dell’originalità, Motel si presenta ai potenziali fruitori come un’opera nella quale convergono gli ingredienti base del noir e del thriller. Grovic li mescola senza soluzione di continuità, facendo leva sull’eco di certe citazioni più o meno evidenti dal riconoscibilissimo retrogusto hitchcockiano, a cominciare dall’ambientazione (un motel in stile Bates), proseguendo per il concierge ossessionato dalla figura della madre, per finire con la presenza nel racconto della già citata misteriosa valigia dall’altrettanto misterioso contenuto, elemento che richiama – non con la stessa efficacia e potenza drammaturgica – l’escamotage del MacGuffin, del quale il celebre maestro del brivido è stato il più assiduo ed esperto fruitore. Citazioni o no, che appaiono gratuite, scontate, abusate e in questo caso persino ininfluenti, per questo non utili quanto sperato alla causa dello script, il film cavalca l’onda dei suddetti modelli per poi esserne travolto.
Con non poca fatica, Grovic e il co-sceneggiatore Paul Conway sembrano più attenti a far quadrare i conti e a trovare la giusta collocazione ai singoli elementi, piuttosto che cercare di proporre allo spettatore qualche spunto o intuizione personale che giustifichi lo sforzo autoriale e produttivo. Nemmeno la decisione di catapultare la platea in un’unità spazio temporale, con un albergo a fungere da baricentro topografico e il succedersi degli eventi nell’arco di 24 ore a delimitare i confini cronologici, serve a dare un’identità alla storia, poiché anche tale scelta ha già tantissimi precedenti (tra i più recenti Valzer e L’estate d’inverno, mentre più in là Panic Room). E allora ci chiediamo cosa dovrebbe tenere a galla la pellicola di Grovic o rappresentare un motivo d’interesse nei confronti di qualcosa che è un minestrone a base di già visto e sentito. La risposta non c’è, anzi si: pochissimo per non dire niente. Tutto questo bagaglio a disposizione, infatti, finisce con il tramutarsi in un peso insostenibile, un lusso che il regista non vuole e forse non si può permettere, incapace per quanto ci riguarda di giustificare la presenza di simili citazioni e strumenti drammaturgici, tantomeno valorizzarli come meriterebbero, all’interno di una sceneggiatura fragile, discontinua e inadeguata. Quest’ultima ha nella carenza di ritmo, nella sua non perfetta gestione, nel tentativo andato a vuoto di inserire nella timeline soluzioni da shocker old style, ma soprattutto nell’altalenante costruzione di una tensione che sfocia in un colpo di scena gettato al vento – ingredienti imprescindibili nel DNA di entrambi i generi di riferimento -, i difetti più tangibili nell’economia di un progetto nato per affondare, nonostante qualche flebile scossa che ci sveglia dal torpore (la sparatoria nella stazione dello sceriffo e il corpo a corpo nell’abitacolo della macchina) e la presenza nel cast di De Niro e Cusack (entrambi in tono minore), rispettivamente nei panni del boss e del sicario.
Ciononostante, qualcosa di positivo da salvare esiste, anche se non è sufficiente a impedire al film di andare al di sotto della sufficienza. Quel qualcosa è la costruzione dei personaggi, caratterialmente delineati stando bene attenti a non assecondare in tutto e per tutto gli stereotipi dei generi d’appartenenza. Qui ci imbattiamo in personaggi come la femme fatale, il killer e il boss, che hanno comportamenti diversi e non sempre in linea con quelli che solitamente vengono loro attribuiti da uno schema predefinito. L’eccessiva durata del film e i pochi personaggi chiamati ad animarlo, se da una parte indeboliscono e decelerano ulteriormente il racconto, dall’altra permettono agli autori di far emergere le loro sfumature e di permetterci di avere tutto il tempo per esplorarne il vissuto, così da consentire allo spettatore di maturare i motivi per cui supportare un personaggio oppure odiarlo. In questo tentativo, in parte riuscito, di portare sullo schermo le figure imprescindibili del noir e del thriller, distaccandole quanto possibile dall’immagine solita che decenni di Settima Arte ha consegnato loro sul versante iconografico, si può trovare almeno un barlume di senso in un’operazione del quale non sentivamo l’esigenza e non sentiremo di certo la mancanza, specialmente dopo esserci resi perfettamente conto che Motel è l’ennesima montagna capace di partorire solo un misero e indifeso topolino.
RARO perché… è un thriller poco riuscito.
Voto: 4 e ½
Francesco Del Grosso