Recensione n.1

Deve essere una prima europea quantomeno, questo film brit a basso budget girato in Canada; pochissimo noti gli sceneggiatori e gli attori (guardate l’IMDb, é tutta gente di televisione o poco più) mentre il regista é attivo da una decina d’anni ma nulla di memorabile. E allora sono fiero di comunicarlo: “My little eye” é un gran bel film.
Cinque individui, reclutati su Internet, accettano di vivere per sei mesi alla Grande Fratello in una baita sperduta, sorvegliati 24/7 da web-camera e web-microfoni. Al termine dei sei mesi riceveranno un milione di dollari, ma solo se saranno ancora tutti insieme; se solo uno decide di defezionare, niente quattrini, per nessuno. Tutto procede alla grande, fino a che mancano pochi giorni alla scadenza (ed é qui che si apre il film). Al posto dei soliti pacchi di cibo e sigarette, arriva un pacco di mattoni, poi una pistola con cinque pallottole. Quindi il riscaldamento va in palla, la radio si scopre non funzionante, etc. etc. Qualcuno giura di vedere gente aggirarsi all’esterno, qualcun altro trova un martello insanguinato nel proprio letto. Alla via così, le piacevolezze si sprecano, annegate in un’atmosfera gelida e tagliente di suo, resa intollerabile dalle piccole ostilità montanti.
C’e` una bella review del film della quale potrei tradurre un brano così: siamo alla fine del Grande Fratello; nasce un battibecco fra Marina e Taricone; a un tratto Taricone afferra un’ascia e ZAC!, stacca la testa dell’odiosa ragazzetta in un sol colpo. Questo film in effetti é ciò che il Grande Fratello vorrebbe essere — e naturalmente é finzione. C’é materia per riflettere.
Finalmente tecnica applicata funzionalmente: tutto girato in digitale per sembrare visto attraverso le web cam. L’idea é buona e arriva al parossismo (alla fine pure un po’ irritante, dico la verità) di farti sentire il motorino dello zoom ogniqualvolta un personaggio riceve un primo piano. Inizia piano piano, poi accelera e arriva a una mezzora finale davvero bella. I colpi di scena si sprecano ma arrivano tutti al momento giusto e senza calcare troppo la mano. Forse é un po’ carente sulle dinamiche dei personaggi, ma la tensione é perfetta. Alcuni momenti “facili” con le solite impennate di musica e rumore non rovinano il prodotto: é un thriller modernissimo, assolutamente godibile, che vi farà saltare sulla poltrona a ragion veduta più di una volta. Splendide le riprese in finto infrarossi. Da non perdere, specialmente se vi é piaciuto “The Blair witch project”, con la grande differenza che qui il punto di vista non e` quello del personaggio intrappolato, ma quello molto più classico (ed efficace, se lo si sa manipolare), profondamente voyeuristico, hitchcockiano, dello spettatore che sa (o crede di sapere) e vede qualcuno che non sa.

Claudio Castellini

Recensione n.2

Cinque ragazzi in una casa isolata. Telecamere dappertutto a filmare costantemente la noiosa convivenza per sei mesi. In palio un milionedi dollari per chi arrivera’ fino alla fine, ma le regole del gioco prevedono che nessuno possa lasciare in anticipo la casa, pena l’esclusione di tutti.
Agatha Christie abbraccia “Il Grande Fratello” nell’interessante e spietato lungometraggio di Marc Evans, in cui vengono messi alla berlina, sia i teledipendenti in astinenza di Floriana & C., che gli stessi concorrenti con smisurate ambizioni e limitato talento. Non e’ la prima volta che un format televisivo ispira il cinema (“Contenders – Serie 7” di Daniel Minahan nel 2001) e si teme, nel passaggio da uno schermo a venti pollici ad uno di venti metri, un ingigantimento delle sgranature e niente altro. Invece il regista, elaborando con arguzia temi gia’ trattati e immagini gia’ viste, riesce a riciclare un immaginario consolidato aggiungendo nuova linfa al genere. Sara’ l’assenza di un finale conciliatore, oppure la sensazione di essere parte integrante di un gioco al massacro di cui si e’ volontari testimoni, sta di fatto che “My little eye” risulta emotivamente devastante. Si’, certo, lo sappiamo che siamo tutti un po’ voyeur e in molti ce lo hanno gia’ raccontato. Alfred Hitchcock ha aperto le porte con “La finestra sul cortile”, Michael Powell le ha spalancate con “L’occhio che uccide”, estremizzando il nostro morboso bisogno di contemplare, poi in tanti hanno sfiorato il tema mentre la televisione se ne e’ appropriata. Uno dei film più disturbanti del genere e’ sicuramente il belga “Il cameraman e l’assassino”, in cui siamo diventati complici delle brutture di un serial-killer, ma il lungometraggio grondava irritante autocompiacimento.
“My little eye”, invece, riesce, con una certa onesta’ di intenti e risultati, a criticare la TV verita’ e a mettere a nudo il piacere di osservare gli altri dal buco della serratura: il sottile godimento che solletica qualsiasi spettatore nel vedere, comodamente seduti su una poltrona nella quiete apparente del vacillante microcosmo casalingo, cose mai viste, nel ricercare e riconoscere la verita’ di uno sguardo e di un’emozione. La regia sfrutta con abilita’ i limiti di un unico luogo alternando i punti di vista e all’incedere della tensione contribuiscono in maniera determinante gli effetti sonori, quanto mai curati e appropriati. Le numerose riprese al buio, realizzate grazie a telecamere ad infrarossi, non sono una novita’ (“Il silenzio degli innocenti” e “Hotel” tra gli altri) ma contribuiscono a creare tensione e ad aumentare il senso di colpa trasmesso dalle immagini; in fondo a noi e’ concesso vedere cio’ che ai personaggi e’ negato e possiamo ipotizzare con anticipo il loro destino. La sceneggiatura rischia piu’ volte di impantanarsi nelle paludi dell’incoerenza, ma riesce a suggerire senza dire troppo, glissando sugli aspetti meno logici (che restano comunque poco chiari e di variabile interpretazione) e caratterizzando in modo credibile, con pochi tratti, i personaggi. Gli attori sono perfetti nella loro anonima fotogenia e appaiono bellocci e slavati proprio come i concorrenti di un “reality show”.
Nulla di nuovo, alla luce della ragione, ma uscire dal cinema impauriti e pensierosi, con la voglia di discutere per mettere a tacere i propri fantasmi, e’ cosa rara e da non sottovalutare.

Luca Baroncini