Due ragazzine si incontrano e nasce un sentimento profondo. Per una sara’ un grande amore, per l’altra un semplice gioco. Il regista Pawel Pawlikowski (anche cosceneggiatore insieme a Michael Wynne, dal romanzo di Helen Cross) sceglie la strada del minimalismo, sia nella scrittura che nella messa in scena, ma fallisce in entrambe. Difficile, infatti, lasciarsi coinvolgere da personaggi forzatamente sottotono, che fanno e dicono poco, come se il loro attraversare lo schermo fosse gia’ un valido motivo di interesse. Il maggior difetto del lungometraggio e’ nella sua pretenziosita’. Sembra in apparenza sfuggire i luoghi comuni calandosi con sincerita’ nell’intimo delle due protagoniste, invece si limita a raccontare gli stessi contrasti forti di sempre (una ricca, l’altra povera, entrambe con qualche trauma alle spalle) senza evitare scelte banali (lo scambio di vestiti, i giochi nell’acqua, il ballo a due, silenzi e capricci). Cosi’ come non basta muovere a mano la macchina da presa, frugare nei visi, cercare il dettaglio, per creare un’atmosfera di verita’. Suona poco credibile anche la matura consapevolezza sessuale delle due ragazze, che sembrano vivere il loro rapporto con estrema serenita’ e senza i tanti interrogativi che galvanizzano e incupiscono la difficile eta’ dell’adolescenza. Ulteriore colpo di grazia e’ la storia parallela del fratello di una delle due (il pur bravo Paddy Considine) ossessionato dalla propria redenzione attraverso il ritrovamento della fede cattolica, perche’ al limite del grottesco e anch’esso, come tutto il film, privo di reale approfondimento.
Luca Baroncini (da www.spietati.it)