Scheda film

Regia: Giorgio Bruno
Soggetto: Giorgio Bruno e Davide Chiara
Sceneggiatura: Riccardo Trovato e Davide Chiara
Montaggio: Angelo D’agata
Scenografie: Mirko Miceli
Costumi: Elisabetta Riccioli
Musiche: Marco Werba
Italia, 2013 – Horror – Durata: 82′
Cast: Francesca Rettondini, Rosario Petix, Riccardo Maria Tarci, Giuseppe Calaciura, Giovanna Crisciuolo, Enzo G. Castellari, Ruggero Deodato, Claudio Fragasso
Uscita: 23 maggio 2013
Distribuzione: Nedioga Entertainment

Sale: 5

 L’uomo che odia le donne

Dopo la visione di un film come Nero infinito viene per l’ennesima volta da chiedersi perché un regista all’esordio nel lungometraggio decida di privarsi dell’opportunità di sperimentare e cercare strade drammaturgiche diverse o alternative da quelle già battute, percorse e frequentate in passato fino allo sfinimento, a maggior ragione se ci si trova davanti alla spietata realtà produttiva tricolore che non offre spesso una seconda chance? Ciò significa brutalmente che il debutto dietro la macchina da presa potrebbe essere allo stesso tempo il primo e l’ultimo film di una carriera cinematografica. Tuttavia le risposte esistono e sono molteplici. Nel caso di Giorgio Bruno la scelta è legata a una passione viscerale per il cinema di genere nostrano degli anni Settanta-Ottanta e per i suoi più illustri esponenti, che hanno contribuito alla sua formazione di spettatore prima e di regista poi. Una passione che lo ha portato a dirigere un lungometraggio nelle cui arterie scorre il sangue contaminato del B movie old style, al quale il regista siciliano rende omaggio dal primo all’ultimo fotogramma utile di Nero infinito. Il tutto ovviamente dopo essersi misurato con quegli stessi generi, ossia l’horror e il thriller, nella produzione breve. Non è un caso, infatti, che la suddetta opera prima sia l’evoluzione e la metamorfosi in passo lungo di un suo cortometraggio omonimo, ripreso e ampliato per l’occasione.
Nero infinito, nelle sale a partire dal 23 maggio con Nedioga Entertainment, è il risultato di un collage iper-citazionista che non può giocoforza prestare il fianco all’originalità. Bruno preferisce puntare sull’usato garantito, ma esserne all’altezza è ben altra cosa (i vari Infascelli e Puglielli ne sanno qualcosa). Musicalmente parlando, se il regista siculo fosse stato un cantante, allora avrebbe scartato l’idea di una compilation di brani originali a favore di una raccolta di cover. Questione di gusti e di scelte, non di certo di facilità, perché il misurarsi con il repertorio non è meno impegnativo; al contrario. Bruno dissemina citazioni e omaggi senza soluzione di continuità in un gioco inarrestabile di rimandi a ciò che è stato e che ha già lasciato il segno. Costruisce situazioni (dall’omicidio nel bosco alla rapina) e personaggi (dallo sbirro alla scrittrice di gialli in crisi) con la cartacarbone, restituendo alla platea di turno un falso non d’autore. Lo script fa leva sugli ingredienti riconoscibile e stereotipati del cinema di genere e non solo (trama alla mano, tornando ai giorni nostri, viene persino in mente il primo Basic Instinct, con il serial killer che si ispira per i suoi efferati delitti alle pagine del romanzo di una scrittrice, per non parlare del Doe di Seven che saccheggia a piene mani dalla Bibbia e da Dante), pescati dalle filmografie del passato e messi a disposizioni della pellicola per portare sul grande schermo un serial thriller dalle venature horrorifiche. Il piatto della bilancia pende più dalla parte gialla, anche se Bruno non risparmia alla platea qualche dettaglio macabro che però, pensando al recente filone del torture porne, smuove poco e destabilizza zero.
Bruno ha optato dunque per qualcosa di codificato e pre-esistente, rimaneggiato e rielaborato a proprio piacimento secondo una pratica piuttosto diffusa che ha in Tarantino il più noto esegeta. Non stiamo qui a imbastire impari confronti, ma è inutile dire che il regista siculo classe 1985 non ha le capacità né il potenziale del celebre collega statunitense, capace come pochissimi altri di dare nuova vita e un’altra personalità filmica alla materia originale. Bruno simula ed emula senza cercare mai di plasmare ciò che ha voluto prendere in prestito. Presenta l’opera associandole una natura caricaturale, ma il tono e le atmosfere appaiono decisamente più seriose. Un bluff drammaturgico che prova a mascherare, ricorrendo a una manciata di scene che vorrebbero, senza riuscirci, mescolare le carte in tavola. Il risultato ha un solo vincitore: la noia. Rispetto al ricco e interessante panorama indi, il risultato finale abbassa di molto la media. Prende forma così un plot che per un pubblico di appassionati e conoscitori della materia è un libro aperto che non ha segreti. Tutto è così ovvio dal rendere il colpo di scena tanto telefonato quanto prevedibile. Prevedibile come l’autore delle barbare esecuzioni che colorano di rosso sangue la messa in scena (siamo ai livelli de Il cartaio).
Steso un velo pietoso sul cast, nel quale ci sentiamo di salvare Enzo G. Castellari, Ruggero Deodato e Claudio Fragasso, impegnati in tre riusciti camei, Bruno dimostra invece di avere una certa personalità stilistica e un buon gusto per le inquadrature (vedi l’uso della steady), oltre a un evidente senso del ritmo. Peccato che non basti a evitare che il suo film d’esordio vada a picco.
RARO perché… è un fiacco horror d’esordio. 

Voto: 3

Francesco Del Grosso