Recensione n.1
Chi si è occupato della guerra in modo unico, è stato Danis Tanovic, col suo “No man’s land”. Feroce apologo della guerra serbo-bosniaca, che in un’escalation di drammaticità, gela il sorriso strappato nella prima parte, fino a lasciare completamente muto lo spettatore. La crudeltà umana, l’ipocrisia dei media e degli uomini di potere, non potevano essere descritti in modo più sottile. La guerra è riassunta in una frase semplice:”Io ho il fucile e tu no!”, così come semplice è il linguaggio e la costruzione della sceneggiatura. Non servono grandi eserciti (spietata l’accusa alle UN) per parlare di guerra, nè fiumi di sangue; bastano due uomini di opposte fazioni, ed un canto di donna che riecheggia nelle menti, senza lasciare scampo.
Maggie
Recensione n.2
Jugoslavia, o meglio, ex Jugoslavia. Una trincea. 2 soldati, uno serbo e uno bosniaco. una guerra che non si sa chi ha iniziato e non si sa quando finirà.
Girato con semplicità, e scritto da un punto di vista tutto personale, No man’s land rappresenta piuttosto fedelmente, raccontato in un piccolo episodio, il dramma della guerra etnica. commedia piena di humor nero amarissimo (gli slavi si stanno davvero specializzando, grazie alla loro drammatica storia recente) che pian piano cresce di ritmo e intensità, fino a un finale struggente, con un’immagine che difficilmente dimenticherò. ulteriore spunto di riflessione sulla guerra balcanica, anche se, mi ripeto, il punto di vista è molto personale, questo film è una bella opera prima, destinata a diventare un piccolo classico nel panorama dei film “sulla” guerra, ma non “di” guerra.
Holden
Recensione n.3
Esiste un modo per dimostrare l’inutilita’ della guerra senza cadere nelle trappole della retorica?
Impresa difficile, che pero’ riesce in modo sorprendente al regista Danis Tanovic con la sua opera prima “No man’s land”, complice una sceneggiatura perfetta che va al cuore del problema: dimostrare l’assurdita’ di un conflitto armato. Ecco quindi un serbo e un bosniaco che si ritrovano in una trincea davanti a un altro militare bosniaco, ancora vivo ma sdraiato su una mina a rimbalzo pronta a scoppiare e a spargere il suo carico di distruzione in un raggio di cinquanta metri. Entrambi si accusano di avere dato inizio alla guerra, ma da nemici pronti a uccidersi tra loro, sono costretti a sfiorare un’intesa per cercare una soluzione al problema contingente della mina. L’intervento dei caschi Blu dell’O.N.U. peggiora ulteriormente la gia’ tesa situazione, fino all’inevitabile tragedia.
Il regista riesce miracolosamente a mantenersi in equilibrio tra il grottesco e il drammatico. Tutto e’ eccessivo, comico, cinico, crudele, eppure necessario. Alcune caratterizzazioni caricaturali (il diplomatico e grossolano disinteresse degli alti ufficiali dell’esercito e dei funzionari dell’O.N.U. – la curiosita’ morbosa dei mass-media) non sono certo originali, ma il registro scelto e’ perfetto per rappresentare le deformazioni che la realta’ puo’ arrivare a subire, quando la violenza diventa la risposta ai problemi. Nessuno dei personaggi esce in modo positivo. Ognuno ha ideali che si frantumano nella concretezza degli eventi e cedono al compromesso. Ecco quindi che l’urlo di protesta contro tutte le forme di guerra arriva forte e chiaro allo spettatore, scardinandolo dal suo torpore e lasciandogli un groppo in gola difficile da digerire. Perche’, come dice uno dei personaggi, “la neutralita’ e’ gia’ una scelta!”.
Luca Baroncini
Recensione n.4
Guerre vecchie e nuove.
No Man’s Land è divertente, veloce, spigliato e giustamente amaro. Un soldato bosniaco ed uno serbo si ritrovano in una trincea abbandonata fra le due armate contrapposte. Con loro un altro soldato bosniaco costretto a rimanere immobile su una mina a rimbalzo. Del loro caso finiscono per occuparsi le forze dell’ONU (dette ‘puffi’) ed i media internazionali. Due aspetti particolari.
Primo, è un film plurilingue. Gli Slavi del Sud sono doppiati in italiano – il che copre sicuramente accenti molto diversi – ma i soldati dell’ONU ed i giornalisti parlano in francese ed in inglese con i sottotitoli, e in realtà parlano più dei soldati. Da notare che i titoli di testa riportano un numero assurdo di canali televisivi, produttori cinematografici, assessorati alla cultura e pure il Ministero degli Esteri Svizzero.
Secondo, il film mette su una situazione di apparente parallelismo (i due soldati hanno conosciuto la stessa ragazza) ma alla fine i serbi sono i cattivi ed i bosniaci i buoni. Il soldato serbo (pericolosamente somigliante a Vitoz) si rivela di gran lunga più stronzo ed antipatico del bosniaco. Il soldato francese che rischia di suo per risolvere la situazione dice che in questa guerra la neutralità è già stare da una parte, quella degli aggressori, chiaramente identificati nei serbi.
Ambientato nel 1993, il film soffre un po’ per il tempo e la scomparsa di quel conflitto dall’attenzione del mondo. Inoltre, dopo i recenti eventi che minacciano di trascinare i mussulmani bosniaci fra i cattivi (beh, avevano accettato l’aiuto dei fondamentalisti islamici, no?) certe parole d’ordine cominciano a passare di moda.
Stefano Trucco