Regia: Dagur Kari
Interpreti:Tòmas Lemarquis, Anna Fridriksdòttir
Islanda/Germania/Regno Unito/Danimarca 2003, durata 97’
Recensione n.1
Noi e’ un diciassettenne che vive in un piccolo villaggio. La madre e’ assente, il padre e’ anche troppo presente e tra una sbornia e l’altra riversa sul figlio la mancata realizzazione delle sue velleita’ artistiche; i compagni di scuola sono solo figure indistinte, gli adulti entita’ lontane con cui e’ impossibile stabilire un contatto. Unici barlumi di affetto, la nonna taciturna, un bibliotecario bizzarro e la nuova graziosa ragazza che lavora al distributore di benzina. Il sogno di Noi e’ ovviamente la fuga, magari in coppia e verso lidi tropicali. Purtroppo l’unico punto di interesse del lungometraggio del debuttante Dagur Kari sta nell’ambientazione islandese, che consente di sfogliare una geografia poco conosciuta attraverso la gelida realta’ di un microcosmo chiuso tra le pareti ghiacciate di un fiordo e lontano da tutto cio’ che e’ considerato mondo. Se, infatti, proviamo ad immaginare la vicenda in un qualsiasi altrove con le stesse caratteristiche (non tanto climatiche quanto relazionali) scopriamo di avere gia’ visto le medesime dinamiche da racconto di formazione “borderline” in tantissimi altri film (ad esempio “My name is Tanino”, per restare in Italia, o “Buon compleanno Mr. Grape” per andare oltreoceano). La solitudine, l’incapacita’ di aderire ai binari del quieto vivere, la voglia di fuggire, l’inadeguatezza di un percorso deciso da altri, vagano nello stereotipo e non trovano un punto di vista personale a cui aggrapparsi. Anche il taglio narrativo, greve con brio, ricalca con un sospetto di calcolo la stravaganza finnica di Kaurismaki. Qualche momento grottesco funziona (la fallita rapina in banca), la magica luce degli antipodi e’ filtrata con gusto, ma i tempi dilatati, uniti all’insistito e opprimente accordo musicale che sottolinea la maggior parte delle situazioni, non si ammantano della necessaria purezza. Di sincero si sente solo un fondo di rabbia di probabile derivazione autobiografica (il regista e’ anche sceneggiatore). Il risultato, tutt’altro che illuminante e un bel po’ noiosetto, non va quindi oltre il compitino d’autore in odore di esportazione.
Luca Baroncini (da www.spietati.it)
Recensione n.2
Una piccola comunità islandese immersa, evidentemente, nella neve, ed un giovane che fisicamente dimostra più anni di quanti se ne possa dedurre dalla visione della pellicola. Una storia di ordinaria solitudine e di normali e condivisibili sogni di fuga. Ma a ben vedere il sogno del protagonista (Nòi) è un po’ il sogno di tutti noi (nòi) spettatori, ed è molto semplice: è il sogno dell’amore.
L’opera prima di questo giovane autore islandese si carica di una valenza ironica, sottolineata attraverso le figure dei vari personaggi che di volta in volta capita d’incontrare al protagonista. Si tratta di una galleria di stravaganti caratterizzazioni che connota tutto il film: dalla nonna che sveglia Nòi con un colpo di fucile, ovviamente sparato al vento, all’esilarante professore di cucina e francese, passando per il libraio che recita poesie insensate ed il prete con tanto di moto da neve ipertecnologica. La narrazione si sviluppa in maniera semplice e lineare: il giovane protagonista vaga per il perennemente deserto paesello senza alcuno scopo, frequenta la scuola unicamente per dovere ma non ascolta le lezioni, non ha amici né alcun tipo di svago. In tutto il film non c’è una sequenza collettiva, vediamo esclusivamente Nòi che incontra di volta in volta questo o quel personaggio; unica eccezione, l’aula di scuola, ma anche qui gli studenti sono muti ed unici attori (nel senso di personaggi che agiscono) sono i professori ed il ragazzo. Il film non si solleva dalla media di prodotti simili, ma alcune trovate sono esilaranti, due per tutte quella del ragazzo che sommerge di sangue (animale) padre e nonna e quella dov’egli si arrampica per raggiungere la finestra dell’amata trovandovi il padre. Le tematiche cardine della pellicola vengono appena accennate: in una delle sue passeggiate serali, Nòi invita a fargli compagnia il suo compagno di banco, ma questi ha un padre severo che non gli fa nemmeno oltrepassare la porta di casa; la solitudine è totale, combatterla è impossibile. Il disfacimento e lo scacco esistenziale nel quale la più parte dei personaggi sprofonda si palesa ottimamente nella sequenza in cui il padre di Nòi fa letteralmente a pezzi il pianoforte con un’ascia, forse perché le vivaci melodie che crea suonano alle sue orecchie alla guisa di una beffa, deridono la sua grigia esistenza. Ed il grigio e il bianco sono ovviamente i toni dominanti del film, colori naturali della neve durante il giorno e poi avvolta nel buio della notte, naturalmente riflettenti un’odiernità scialba quando non alienante, che forse il regista vuole porre in contrasto con il tono stralunato ed a tratti divertente delle vicende (probabilmente una materializzazione dell’arguta immaginazione di Nòi), anche se non sempre vi riesce. L’amarezza esploderà incisivamente nel finale, financo in maniera eccessiva, sottolineando come il regista sia insicuro su quale direzione prendere e realizzi un’opera discontinua e contraddittoriamente sospesa tra l’amaro della realtà e la variopinta stravaganza del sogno e dell’immaginazione. Non trionfa in originalità nemmeno la storia d’amore con la cameriera dello spoglio bar cittadino,che lascia intravedere uno spiraglio di salvezza al ragazzo, anzi si materializza ai suoi occhi, ed a quelli dello spettatore (a Nòi ed a noi), in maniera limpida nell’immagine della hawaiana spiaggia. Ma la sequenza dell’incontro clandestino dei due nel museo possiede la tenerezza giusta perché il cuore dello spettatore cominci a battere in sincrono con quello del protagonista, facendo in modo che anch’egli desideri una prossima redenzione, negata dal drammatico finale che, proprio per questo motivo, acquista un sapore ancora più amaro. Buon film per essere un esordio, ma il fatto che l’elemento più originale dell’intera pellicola sia l’ambientazione nella terra delle renne la dice lunga sui suoi incontestabili limiti.
Mauro Tagliabue