Scheda film

Regia: Federico Brugia
Soggetto e Sceneggiatura: Federico Brugia, Giovanni Robbiano
Fotografia: Tóth Widamon Máté, Gergely Poharnok
Montaggio: Vilma Conte, Marco Bonini
Scenografie: Maton Ahg
Costumi: Anikó Virág, Ali Tóth, Panka Bojtor, Melinda Doman
Musiche: Corrado Carosio, Pierangelo Fornaro, Rossano Baldini, Stefano Brandoni
Italia/Ungheria, 2011 – Drammatico – Durata: 104′
Cast: Sebastiano Filocamo, Orsi Tóth, Benn Northover, Cat Marlon, Zsolt Arpad Meszaros, Janos Papp, Zsolt Anger
Uscita: 24 agosto 2012
Distribuzione: Maremosso in collaborazione con Lo Scrittoio

Sale: 4

 L’uomo invivibile

Un uomo incolore ed anonimo (Sebastiano Filocamo) lavora per un’organizzazione criminale internazionale, portando a spasso per questa attraverso l’Europa merci ed esseri umani, soprattutto donne da avviare alla prostituzione d’alto bordo. Alle spalle ha un passato da dimenticare, che ha deciso di rimuovere scegliendo questa vita da uomo invisibile. Finché un giorno gli viene chiesto di condurre da Budapest in Italia la giovane Nora (Orsi Tóth), ragazza fragile che spera ingenuamente in un futuro migliore. Quando però l’organizzazione cambierà i propri piani e chiederà all’uomo di eliminare la donna, egli rimetterà in discussione l’intera sua esistenza, ricominciando a compiere delle scelte che, per quanto difficili e pericolose, cambieranno la sua vita e quella di Nora…
Curioso debutto nel lungometraggio di finzione quello di Federico Brugia, regista di spot poco più che quarantenne formatosi al DAMS di Bologna. Numerose tematiche, molteplici registri ed in particolare differenti stili sembrano confluire in maniera interessante nel tessuto narrativo da lui tracciato, almeno sulla carta: la criminalità organizzata, il traffico di esseri umani, esistenze rinnegate e poi riemergenti; il thriller ed il minimalismo; l’essenziale, il barocco, lo sperimentalismo ed il surrealismo. Il problema è che un tale meltin’pot una volta sullo schermo non sembra affatto amalgamarsi, ma piuttosto sfocia nello stridere di tutti gli elementi verso una direzione che difficilmente riesce a definirsi, sembrando in più momenti un maldestro film italiano d’exploitation di venti-trent’anni prima, invece che la raffinata opera d’autore che in partenza sarebbe voluta essere.
Basti infatti pensare al nume tutelare di Pirandello che domina su tutto, riconducendo a “Il fu Mattia Pascal” la figura stessa del protagonista e venendo citato nel finale con dialoghi tratti da “L’uomo dal fiore in bocca”, quali presagi di una morte annunciata, ma ancora lungi dal palesarsi.
O ancora all’ottima fotografia di Tóth Widamon Maté e Pohárnok Gergely che desatura – anzi “denatura”, come ha dichiarato il regista stesso – tutti i colori verso un virato seppia, a simboleggiare l’aridità degli animi dei personaggi principali, limitando per scelta sempre nello stesso senso pure i movimenti di macchina.
Poco più che sfiziosi e narrativamente inutili i cammei della signora Brugia, ossia la cantante Malika Ayane nel ruolo di una dark lady in bianco e nero in un film trasmesso in televisione, di Rocco Siffredi – della consistenza di qualche fotogramma – nei molto succinti panni di un superstite ad una nottata di sesso e, nel finale, del celeberrimo caratterista Mimmo Craig.
Nulla più di un’occasione mancata per il talentuoso ed eclettico Brugia, che, toltosi il dente dell’opera prima – malgrado la seconda non sia molto meno gravosa – attendiamo fiduciosi al varco del prossimo film.
RARO perché… è un’opera prima dagli interessanti tratti sperimentali, ma non del tutto riuscita.

Voto: * *½

Paolo Dallimonti