Scheda film
Regia e Soggetto: Paolo Virzì

Sceneggiatura: Paolo Virzì, Francesco Piccolo e Francesca Archibugi
Fotografia: Vladan Radovic
Montaggio: Jacopo Quadri
Scenografie: Alessandro Vannucci
Costumi: Catia Dottori
Musiche: Carlo Virzì
Suono: Alessandro Bianchi
Italia, 2018 – Commedia – Durata: 125′
Cast: Mauro Lamantia, Giovanni Toscano, Irene Vetere, Roberto Herlitzka, Marina Rocco, Paolo Sassanelli, Annalisa Arena
Uscita: 8 novembre 2018
Distribuzione: 01 Distribution

Eravamo io, Ettore, Federico, Fulvio…

Nella Roma di Italia ’90, nella sera in cui l’Italia sta perdendo ai rigori la semifinale con  l’Argentina di Maradona, un’automobile cade da un ponte per immergersi nel già non più biondo Tevere. A bordo della vettura verrà ritrovato il corpo di Leandro Saponaro (Giancarlo Giannini), un produttore di lungo corso che ha spaziato dalla commediaccia più scollacciata e redditizia a film più d’autore come quelli di un tal Pontani (leggi Antonioni?). L’amante dell’uomo, Giusy Fusacchia (Marina Rocco), convocata dai Carabinieri, incolpa tre giovani promesse del cinema italiano: il livornese Giovanni Toscano (“in nomen regonem”, interpretato da Luciano Ambrogi), il siciliano Antonino Scordia (plasmato sul Tanino del film del 2002 e col volto di Mauro Lamantia) e la romana Eugenia Malaspina (asfittica rampolla dell’alta borghesia capitolina, affidata ad Irene Vetere), sceneggiatori finalisti al premio Solinas. Ripercorrere i tragicomici eventi che avevano condotto i ragazzi alla corte del cineasta sarà anche un modo per omaggiare e mostrare quel grande cinema italiano, con tutti i suoi personaggi grandi e piccoli, che nel 1990 godeva del suo ultimo guizzo…

Dopo una pellicola riuscita che lo ha consacrato Autore come Il capitale umano e dopo quella americana come Ella & John, Paolo Virzì si è sentito finalmente libero, anche in termini produttivi, di proporre quello che probabilmente sentiva come il film della sua vita. Il soggetto di Notti magiche, che come spesso accade funziona soltanto nella mente del suo ideatore, è infatti da rintracciare in un monologo, anche già abbastanza confuso, che lo stesso regista propose in occasione della commemorazione di Ettore Scola presso la Casa del Cinema di Roma nel gennaio del 2016 (chi c’era ricorderà). Fin dalla comparsa in scena dei tre “eroi” si capisce che qualcosa non va e non andrà. Non va perché i tre personaggi sono scritti malissimo, tagliati con l’accetta e stereotipati, con in bocca frasi da canovaccio e non da sceneggiatura, indi alquanto insopportabili. Non andrà quando, in una sorta di snobismo sinistroide, inizieranno a scorrere i protagonisti di quel finale di stagione chiamati tutti solo per nome, qualcuno anche cambiato per non turbarne la memoria, ma non per cognome, quasi a dire: “Io c’ero, voi no!”. Il problema è che all’ennesimo Ettore, Federico, Fulvio (leggi Furio?), se il cinefilo già arranca, lo spettatore ha già lasciato la sala imprecando altri nomi ancora, probabilmente di santi.

Virzì si avventura in un’operazione nostalgia sul tenue filo del giallo e dal sapore più che autobiografico, il che funzionerebbe pure se i tre giovani finalisti del premio Solinas (in cui non è difficile scorgere più o meno i tre sceneggiatori, Virzì stesso, Piccolo e l’Archibugi) non venissero alla fine disconosciuti e quindi “dotati di vita propria”, ripresentati in un tempo attuale in cui hanno ormai abbandonato il cinema e uno pure questo mondo.

Anche l’autore di quel seminale La bella vita, aka Dimenticare Piombino, film originato proprio in quelle notti magiche, ha insomma voluto concedersi, sbrodolandosi completamente addosso e procedendo a briglia troppo sciolta, il suo La grande bellezza, scimmiottandolo un po’, forse dimenticando che la stessa pellicola a sua volta omaggiava (e scimmiottava) La dolce vita di Federico (Fellini). Il tutto avviene sopra una martellante colonna sonora del fratello Carlo, clonata dal Rota appunto felliniano. Il risultato è che i girotondi dell’autore di 8 e 1/2 si trasformano in baraonde e in un caos per niente vitale, dove si ride un po’, ma spesso ci si annoia, con pochi momenti veramente riusciti.

Notti magiche è il ritratto di un’Italia cialtrona, non più e non meno di quella d’oggi, con la morale finale per ogni cineasta in erba, enunciata nientepopodimeno che dal carabiniere, figura storica di tanto cinema e televisione italici, col volto di Paolo Sassanelli: quel “guardare fuori dalla finestra”. Che suona falso e stonato dopo che un regista più che affermato per due ore non ha fatto altro che guardare al di qua di quella finestra.

Voto: 4

Paolo Dallimonti