Recensione n.1

Presentato al Festival di Venezia nella sezione mezzanotte, Occhi di Cristallo è tratto dal libro di Luca di Fulvio L’impagliatore e diretto da Eros Puglielli, l’apprezzato giovane autore di Tutta la conoscenza del mondo con Giovanna Mezzogiorno.
Giacomo Amaldi è un poliziotto sulle tracce di un serial killer, che non risparmia niente alle sue vittime e semina il terrore per le vie dell’ombrosa e quasi anonima città in cui vivono i personaggi. Deluso e solitario, ancora ossessionato dai sensi di colpa per non essere riuscito a salvare la sua ragazza da una morte orribile, Amaldi s’immerge con tutto sé stesso nella soluzione del caso, aiutato dalla dolce Giuditta, studentessa universitaria impaurita dagli strani eventi che hanno luogo.
Siamo dalle parti del thriller-horror, ottimamente diretto e tecnicamente perfetto, con una fotografia lucida e piena di ombre che ben si lega con le atmosfere di questa storia affascinante e piena di suspence. Interpretato da un bravissimo Luigi Lo Cascio, che qui si conferma come uno degli attori italiani più in voga del momento capace di passare tranquillamente dai fasti della Meglio Gioventù ad una storia così morbosa e sanguigna mantenendo sempre la sua recitazione decisamente naturale, Occhi di Cristallo convince e appassiona, grazie ad un ritmo che non ha mai un attimo di incertezza ed una buona costruzione della suspence che fa utilizzo di colpi di scena, suoni, rumori, lente discese negli inferi della storia sempre più concreta e palpabile man mano che ci avviciniamo alla risoluzione degli eventi. Non che sia di una perfeziona assoluta, in fondo quel che lascia è un senso di inquietudine ben presto dimenticato, ma nel mare dei film italiani già visti e troppo simili tra loro che ci ripropongono ogni stagione, Occhi di cristallo emerge come una rara perla, un buon thiller trascinante che lascia con il fiato sospeso lo spettatore, sicuramente non esente da qualche prevedibilità nel narrare gli eventi e ovvietà di fondo, ma sinceramente il coinvolgimento è al massimo dei livelli, e per questo tipo di thriller è tutto quello che chiediamo. Voto: 7

Claudia Scopino

Recensione n.2

Ritorna il cinema italiano di genere?

Luigi Lo Cascio è un detective dal passato losco, a caccia di uno spietato serial killer, i cui omicidi sono legati da un filo rosso che il protagonista cercherà di dipanare tra donne mozzafiato (la Jimènez) e traumi passati che si intrecciano a quelli presenti. Potrebbe essere la trama del nuovo Dario Argento ed invece si tratta del primo thriller del giovane Puglielli, alle prese con un’opera ambiziosa e dalla vocazione internazionale, con la quale il filmaker cerca di sprovincializzare una cinematografia dall’immaginario sempre più televisizzato. E Puglielli ce la mette proprio tutta, cura con grande attenzione l’aspetto tecnico del film, dominato da improvvise accelerazioni della macchina da presa, lenti e sinuosi carrelli, e soprattutto una fotografia davvero suggestiva, la cui lucidità attribuisce al film un’anima decisamente “noir”.
Trattandosi di cinema italiano il risultato è interessante, ma pur se superiore alla media il film non è esente da difetti. Per chi “mastica” il genere, l’assassino lo si scopre dopo una mezz’ora scarsa, i tentativi di sviare i sospetti dello spettatore sono patetici – il vicino di casa di Giuditta ed i suoi scherzi sadici – inoltre la bella di turno si leva i vestiti esattamente dove lo spettatore se l’aspetta. Trattandosi poi di un thriller puro, almeno nell’impianto narrativo, i momenti di omicidio dovrebbero essere curati nei minimi particolari, e possibilmente le esecuzioni possedere una qualche originalità, cosa che qui non accade. Nella sequenza dell’omicidio della collezionista di bambole c’è una inquadratura che mostra una statua con alle sue spalle, su una parete tappezzata di velluto rosso, un coltello; poi c’è uno stacco sulla vittima predestinata, e di nuovo si ritorna alll’inquadratura precedente, in cui è sparito il coltello. L’assassino sorprende la donna alle spalle e la uccide; capirai…
Impressionante la mole di riferimenti cinematografici: la scritta col sangue sul muro scoperta quando si da luce alla stanza proviene da Seven, al quale il regista pare ispirarsi nell’atmosfera malata del film, ambientato sempre di notte oppure in giornate piovose. Le macabre operazioni di cucitura della pelle delle vittime riportano alla mente, in prima battuta, Il silenzio degli innocenti, anche se il progetto finale dell’assassino è evidentemente frankensteiniano. L’evento scatenante la pazzia del mostro, e risalente alla sua infanzia, è presente in tutti i primi film di Argento; purtroppo Puglielli pare ispirarsi maggiormente alla produzione più recente del maestro italico del brivido, ed infatti l’ambiguità del protagonista ricorda quella di Asia Argento ne La Sindrome di Stendhal o quella di Stefania Rocca ne Il cartaio.
Certamente, trattandosi di un thriller, ciò che conta è l’impianto visivo, e da questo punto di vista l’operazione è sicuramente interessante. Puglielli pecca un po’ di cerebralismo, vuole presentare le proprie immagini come materializzazioni delle inquietudini dei personaggi, mentre la fantasia visiva, nel genere, andrebbe lasciata completamente a briglia sciolta, anche a costo di eccedere in barocchismi e virtuosismi inutili. L’essenza del cinema italiano di genere stava proprio in questa anarchia visiva che gettava lo spettatore in un universo onirico magari dalla messa in scena sopra le righe, ma di sicura suggestione. Consigliamo a Puglielli, se volesse ancora cimentarsi col cinema de paura, di non limitarsi a trarre ispirazione dai thriller americani (e dagli ultimi Argento), e di (ri)vedersi qualche buon vecchio film di Bava o di Fulci. VOTO: 6 –

Mauro Tagliabue

Recensione n.3

“PENSAVO FOSSE RISORTO INVECE ERA UNO ZOMBI”
Dice bene il viso da Gioconda di Lucia Jimenez, verso la conclusione del film: “A volte succedono cose che non hanno senso!”. Il lungometraggio di Eros Puglielli ha infatti il sapore della nostalgia, ma per fare rinascere il cinema di “genere” in Italia (anche se trattasi di co-produzione) non basta scopiazzare in malo modo la fortunata stagione degli anni Settanta. Gli elementi ci sono tutti: un assassino seriale, una colonna sonora invadente, una rosa di sospettati male assortiti, ambientazioni di ricercato squallore urbano e fasto decadente suburbano, enigmi complicatissimi disseminati tra un delitto e l’altro e, soprattutto, il pedale dell’accelleratore sulle truculenze. Purtroppo le buone intenzioni cozzano con una sceneggiatura involontariamente ridicola, che accumula gli eventi con il solo scopo di raccordare in qualche modo le sequenze. Il sangue scorre a fiotti ma la soluzione del mistero, con la scoperta di assassino e relative motivazioni, non aggiunge granche’ al racconto, anzi, e’ la prima cosa a dissolversi nel ricordo. Sono proprio i personaggi a non godere di sufficiente spessore e ad aggrapparsi come possono ai pochi aggettivi cuciti loro addosso dal copione: poliziotto violento e triste, studentessa ingenua, madre autoritaria, malato terminale preveggente, chirurgo possessivo, dottoressa porcona, e cosi’ via. Tra le chicche di umorismo involontario, la dolorosa confessione del trauma (ma va?) subito dal protagonista, con battute di dialogo cosi’ rifritte da poter essere facilmente anticipate (provate, puo’ essere divertente). Quanto alla messa in scena, il videoclip si affaccia piu’ volte sul luogo del delitto e il soffermarsi della macchina da presa su armi, parti del corpo, dettagli scenografici, ricorda non poco la morbosita’ e il rigor di Dario Argento. Il problema, pero’, e’ che l’imitazione di un modello non garantisce un risultato apprezzabile. I brividi, infatti, sonnecchiano alquanto, perche’ l’atmosfera e’ piu’ imposta che indotta e la paura non ha mai il tempo di uscire allo scoperto, sempre bruciata dal prevedibile evolversi degli eventi. Di pari passo la bassa resa recitativa del cast (in questo Puglielli coglie in pieno lo spirito seventy), a partire da Luigi Lo Cascio, completamente fuori parte e con un’unica espressione catatonica a sostenere la rabbia del suo personaggio. Il finale scimmiotta “Seven”, ma senza il coraggio di scelte radicali, anzi!

Luca Baroncini da “Gli Spietati”