Scheda film

Regia, Soggetto e Sceneggiatura: Michael Gunton, Martha Holmes
Fotografia: Hugh Miller
Montaggio: David Freeman
Musiche: George Fenton
USA, 2011 – Documentario – Durata: 85′
Voce narrante: Daniel Craig (Mario Biondi)
Uscita: 19 novembre 2012
Distribuzione: DNC

 Tra terra, cielo e mare

Per i produttori, i distributori e i registi che si dedicano al documentario a carattere naturalistico, ambientalista o animalista a tuttotondo, il preconcetto più difficile da scardinare dalla testa dello spettatore medio è quello che si tratti sempre e comunque di opere di studio o di divulgazione scientifica. Osservare l’universo animale e vegetale, entrare in contatto e analizzare l’evoluzione e la mutazione dell’ecosistema o del clima, possono dare vita a operazioni cinematografiche in grado di andare ben oltre la missione scientifica. Mostrare di fatto che la Settima Arte è capace con le tecnologie e le competenze professionali in suo possesso di potere estirpare l’idea diffusa che parlare di documentario significa automaticamente trovarsi di fronte a un reportage naturalistico e via dicendo, significa riuscire ad abbattere una sorta di pregiudizio imperante.
Eppure documentari e documentaristi hanno dimostrato che in realtà un simile preconcetto doveva essere estinto già decine di anni fa, ciononostante continua imperterrito a sopravvivere nel pensiero comune. A riprova basta tornare un po’ indietro nel tempo per imbattersi sin dal 1949 nell’affascinante The Secret Land di Orville O. Dull. Il film, prodotto dalla MGM, documenta la più grande spedizione mai intrapresa per esplorare l’Antartide che ha coinvolto 13 navi, tra cui un sottomarino, 23 aerei e circa 4700 uomini. Immagini spettacolari e coinvolgenti al servizio di uno dei più pregevoli progetti cinematografici dedicati all’ambiente, quella stessa “creatura” dal cuore pulsante messa seriamente in pericolo dall’inquinamento come tristemente annunciato in An Inconvenient Truth (2007) di Guggenheim, nel quale l’ex vicepresidente degli Stati Uniti d’America, Al Gore, passa in rassegna i dati e le previsioni degli scienziati sui cambiamenti climatici che porteranno a veri e propri cataclismi. Mari e oceani sono stati in molti casi gli habitat naturali scelti da alcune opere premiate con l’Oscar di categoria, capaci di regalare a coloro che hanno avuto la fortuna di vederli istantanee sublimi e spettacoli naturali da mozzare il fiato: dalle avventure poetiche del dittico Le monde du silence (1957) e Le monde sans soleil (1965) di Jacques-Yves Cousteau che trascinano lo spettatore nelle profondità oceaniche inesplorate al seguito di intrepidi palombari e speciali batiscafi, a The Sea Around Us (1953) di Irwin Allen, che racconta la vita sopra e sotto la superficie marina di uomini e animali che sfocia nell’eterna lotta per la sopravvivenza. Lotta che nel vincitore della stretta del 2009, The Cove, si tramuta in barbara e ingiustificata mattanza, quella di migliaia di delfini ad opera di spietati pescatori in una baia sperduta nell’arcipelago nipponico. Boicottato dal governo giapponese e costruito sapientemente con il ritmo serrato di una spy-story, il film ha spopolato nel circuito festivaliero internazionale rivelando al mondo intero un problema sul quale si era preferito tacere per chiari interessi economici.
Ma quello diretto da Psihoyos è solo l’ultimo documentario, di una ricca filmografia dedicata al “mondo” animale, ad aver trovato riscontro fra i membri dell’Academy. Ad inaugurare la lista ci pensa nel 1954 James Algar con il suo The Living Desert, racconto per immagini e suoni di una giornata come tante nella vita della fauna locale in un deserto del sud-ovest degli Stati Uniti. Classico per approccio e stile di narrazione, criticato per le sue manipolazioni antropomorfiche, ma comunque brillante e suggestivo, il film del regista americano habitué di casa Walt Disney entra a far parte della serie inaugurata nel 1949 dal titolo “True Life Adventures”, che regalerà al suo autore altre due statuette: nel 1955 con The Vanishing Prairie e nel ’59 con White Wilderness. In entrambi Algar, che ad oggi è ancora il regista più premiato nella categoria documentari (ben 3 Oscar), abbandona lo sguardo scientifico per la sperimentazione tecnica e una messa in quadro più elaborata. Risultato due autentiche perle del genere che nel primo caso mescola dramma e favola per seguire il parto di un bisonte durante la furia di un alluvione, mentre nel secondo si rimane incollati alla poltrona per scoprire come un gruppo di roditori artici detti lemmings riusciranno a sopravvivere lontani dal loro habitat naturale. La sopravvivenza in ambienti ostili è l’incipit sul quale si appoggia un altro indimenticabile documentario di impronta naturalistica, quel La marche de l’empereur di Luc Jacquet che nel 2006 è stato in grado di catturare il cuore di milioni di spettatori compresi quelli dei membri dell’Academy. Sospeso nel silenzio visivo e sonoro del Mare Antartico, questa co-produzione franco-americana segue l’annuale avventura dei pinguini attraverso una narrazione arricchita da divertenti e commoventi folate drammaturgiche in un valzer continuo di cambi di registro che lo trasformano persino in una commedia sentimentale. Caratteristica che lo accomuna con Serengeti darf nicht sterben (1960) di Bernhard Grzimek e The Horse with the Flying Tail (1961) di Larry Lansburgh. Entrambi, anche grazie a meccanismi tipici del cinema di finzione, fanno della commistione equilibrata tra favola, sentimento e dramma epico, l’arma in più a propria disposizione. Lansburgh costruisce una variante del cosiddetto “American Dream”, ma applicata al “mondo” animale. Quella che narra è l’avvincente storia di un successo inaspettato, la storia di un cavallo salvato dalla morte che porta lo US Olympic Equestrian Team ad una favolosa vittoria. Proveniente dalla Germania dell’Est e splendidamente fotografato, invece, il documentario diretto da Grzimek conduce per mano in uno dei più grandi paradisi del mondo, il Serengeti National Park in Tanzania, con l’unico scopo di dare forma e sostanza ad un film che raccontasse al resto del pianeta l’assurda chiusura del parco, con il conseguente sfratto di specie animali in pericolo di estinzione, per mano di stupidi burocrati. Da un macrocosmo si passa poi al microcosmo popolato da insetti di The Hellstrom Chronicle (1972), intorno e dentro al quale si muovono le cineprese della coppia di americani formata da Walon Green e Ed Spiegel. Non siamo ai livelli di Microcosmos dei colleghi transalpini Claude Nuridsany e Marie Pérennou, inspiegabilmente assente nella cinquina del 1997, ma meritevole di attenzione per le tesi avanzate: lo scienziato Lawrence Pressman spiega come la ferocia e l’efficienza del mondo degli insetti potrebbe portare addirittura alla conquista di quello umano.
Insomma, quanto basta per dimostrare che nella mente dello spettatore medio è maturata un’idea sbagliata e non sono serviti documentari come quelli sopraccitati a cambiarla totalmente. Per fortuna ci sono registi, produttori e distributori che, nonostante ciò, continuano a portare sul grande schermo opere come One Life, nelle sale nostrane in una imperdibile tre giorni dal 19 al 21 novembre 2012 nel circuito The Cinema Space. Grazie al lavoro inesauribile dell’Unità di Storia Naturale della BBC, il documentario di Michael Gunton e Martha Holmes ci offre la possibilità di assistere a un film, appositamente concepito per il grande schermo, fatto di sequenze mozzafiato sulle sfide della natura nel suo epico viaggio verso la vita. La coppia di registi mette in quadro temi universali come cercare cibo, trovare un rifugio, conquistare l’anima gemella, proteggere i piccoli e lottare per la sopravvivenza, dimostrandoci quante analogie avvicinano l’uomo al resto del mondo animale.
Ribalzando da un angolo all’altro del pianeta, con riprese inedite e spettacolari che si traducono in una letteratura visiva sospesa tra terra, cielo e mare, è possibile ammirare una drammaturgia che si compone frame by frame davanti ai nostri occhi, ma che resta tuttavia meravigliosamente reale e mai artificiale. Gunton e Holmes catturano e spiano senza mai interagire lo spettacolo della natura che si manifesta senza filtri. Ci conducono in micro e macrocosmi inesplorati o messi diversamente sotto la lente d’ingrandimento di sofisticati obiettivi e hardware fotografici, in un viaggio visivo e sonoro che si lascia armoniosamente accompagnare da un sound effect da brividi, da musiche avvolgenti e da una voce narrante che sottolinea, commenta, racconta senza però invadere e che nella versione italiana è stata affidata al cantante Mario Biondi.

Note: il film esce solo tra il 19 ed il 21 novembre 2012 esclusivamente nel circuito di sale The Space Cinema.

Voto: * * * *

Francesco Del Grosso

Alcuni materiali del film:

Trailer