Ma davvero essere giovani (pronunciato con la “g” piu’ dolce che mai e la “o” aperta allo spasimo) significa avere rischiato, almeno una volta nella vita, di morire? Davvero per essere giovani (sempre con la dizione dilatata di cui sopra) bisogna scavalcare il cancello di una villa, farsi a sbafo il bagno nella piscina, trombare come ricci “en plein air” e addormentarsi sul prato? E, ancora, e’ cosi’ essenziale, sempre per essere giovani ovviamente, buttarsi in un viaggio in autostop con destinazione ignota?
Basta!!!
Non se ne puo’ davvero piu’ di questa omologazione dell’immaginario collettivo che vuole le mille sfumature di un’eta’ difficile e contraddittoria come l’adolescenza, appiattite in ritratti stereotipati e senz’anima. Manichini che fanno, dicono e pensano quello che qualcuno ha fatto, detto e pensato per loro, nonostante ostentino l’esatto contrario. La realta’ e’ molto piu’ stimolante e/o avvilente, in ogni caso piu’ ricca di fermenti vitali e sfumature. Certo, di sicuro la gioventu’ rappresentata da Lucio Pellegrini esiste veramente da qualche parte, ma perche’ continuare a spacciarlo come l’unico modello a cui riferirsi quando si parla di chi frequenta l’Universita’ o ha finito la scuola dell’obbligo e si trova nella complicata fase in cui dare un’impostazione alla propria vita?
Il quadretto descritto nel film e’ plastica allo stato puro e nonostante il tentativo di mettere in scena una pallida contraddittorieta’ dei personaggi, in abissale contrasto tra gli slogan di cui si ricoprono e la concretezza delle scelte che fanno ma piu’ che altro impongono agli altri, non ci sono motivazioni forti, a parte la differenziazione tra destra e sinistra con cui distribuire qualche facile etichetta o il fatto che “tira di piu’ un pelo …”.
I protagonisti si trincerano dietro look alternativi (in realta’ tutti uguali), qualche frasetta ad effetto, un po’ di sballo di maniera, una protesta che fa tanto spregiudicatezza e il gioco e’ fatto. Ma il film non mette mai questi elementi in discussione, si limita a descriverli con enfasi e compiacimento allineandosi alla superficialita’ dei “giovani, carini e disoccupati”. Della sostanza del movimento pseudo rivoluzionario, delle proteste cosi’ variopinte e briose, del succo delle manifestazioni, insomma, non sappiamo quasi nulla. Solo poco prima della partenza per il G8 di Genova (alla cui immagine disubbidiente il film non fa un gran servizio) qualche cosa viene accennata. Ma e’ davvero troppo poco per costringere lo spettatore a sorbirsi l’ennesimo amorazzo tra bellini e la piu’ che scontata metamorfosi del “nerd” in leader. Le psicologie sono di conseguenza assottigliate al minimo, come gli strascichi emotivi delle non facili decisioni. I pestaggi nella caserma di Bolzaneto arrivano con evidente stridore e appaiono un di piu’ per dare al lungometraggio una connotazione precisa, uno stratagemma narrativo per ammantare di verita’ la blanda rappresentazione giovanile, per trarre un po’ di traino pubblicitario dalla possibile polemica. Ma anche quei tragici eventi passano senza lasciare traccia nei personaggi, ne’ tantomeno nello spettatore. Bravi, comunque, gli interpreti, tra cui si distingue Elio Germano, gia’ protagonista di “Liberi”. Lucio Pellegrini, alla sua terza regia dopo il simpatico “E allora mambo” e il disequilibrato ma sottovalutato “Tandem”, conferma una certa agilita’ nei tempi della commedia, ma la sceneggiatura, a cui lui stesso ha collaborato, e la voglia di non scontentare nessuno, rendono “Ora o mai piu'” un ritratto dei tempi poco significativo. Mai piu’, quindi.
Luca Baroncini (da www.spietati.it)