Scheda film

Regia: Domiziano Cristopharo, Giovanni Pianigiani e Brunodi Marcello, Paolo Gaudio, Alessandro Giordani, Paolo
Fazzini, Fratelli Capasso, Edo Tagliavini, Yumiko Sakura Itou
Soggetto: dalle opere di Edgar Allan Poe e da un’idea di Domiziano Cristopharo e Giovanni Pianigiani
Sceneggiatura: Luigi Cancrini, Andrea Cavaletto, Paolo Gaudio, Elena Lazzaretto, Antonio Micciulli, Edo Tagliavini, Marco Varriale
Italia, 2011 – Horror – Durata: 80′
Cast: Luca Canonici, Angelo Campus, Laura Gigante, Mariano Aprea, MarcoBorromei, Gianluca Russo, Lorenzo Semorile, Dario Biancone, Sara Cennamo, Alessandro Garavini, Gerardo Lamattina
Uscita: 7 giugno 2013
Distribuzione: Distribuzione Indipendente

Sale: 7

 Corvo nero avrai il mio scalpo

In attesa di vedere cosa ci riserverà l’imminente seconda raccolta, che per bocca del promotore Domiziano Cristopharo porterà sul grande schermo un autentico bagno di sangue, arriva nelle sale a distanza di circa due anni dalla sua realizzazione il primo capitolo di P.O.E. – Poetry of Eerie, film a episodi composto da otto short diretti da dieci registi del panorama indipendente italiano chiamati a confrontarsi con la pesante eredità letteraria lasciata da Edgar Allan Poe. A quest’ultimi l’arduo compito di reinterpretare e rielaborare in una veste attuale alcune delle pagine più o meno note firmate dal celeberrimo scrittore statunitense, molte delle quali già impresse sulla pellicola nei decenni che furono da cineasti di fama internazionale con non poche difficoltà: da Lucio Fulci (Black Cat) alla coppia Romero-Argento (Due occhi diabolici), da Antonio Margheriti (Danza macabra) a Roger Corman (vero e proprio estimatore di Poe con ben sette trasposizioni tra cui Il pozzo e il pendolo, Sepolto vivo e I vivi e morti), passando per Fellini, Gordon, Burton e Carpenter.
Scelto da Distribuzione Indipendente per chiudere il catalogo 2013, P.O.E. arriva nei cinema a partire dal 7 giugno (la versione integrale di 13 episodi sarà invece disponibile on demand dal 14 giugno su Own Air) nonostante sull’operazione penda minacciosa la lama della censura che, con un inspiegabile V.M. 18, proverà in tutti i modi a segarne le gambe. Vedremo come andrà a finire e come risponderà il pubblico davanti a una simile decisione, ma resta il fatto che il film collettivo voluto da Cristopharo non è di certo efferato e violento come lo sono invece i recenti Le Streghe di Salem o La casa, per i quali il divieto si è fermato ai 14 anni. Il quantitativo di sangue versato è, infatti, ben al di sotto della media degli horror contemporanei alla pari delle violenza esibita e gratuita, così come è bassissima, se non nulla (praticamente assenti i nudi), la presenza di menomazioni e squartamenti. Tutto questo perché P.O.E. non è un horror al 100%, piuttosto l’insieme di quelle sfumature che lo possono in un modo o nell’altro identificare e alimentare. Di conseguenza, tale scelta appare ancora più inspiegabile. Divieto o no, il film ha comunque trovato spazio nelle sale dopo il tradizionale tour nel circuito festivaliero che ha fatto tappa a Nizza (Fantastique Semaine du Cinéma), Calcata (Horror Maximo) e Roma (Fantafestival). Già questo è di per sé una conquista non da poco se si pensa alle difficoltà distributive che affliggono da decenni il Bel Paese.
Detto ciò, il post visione mette in evidenza un’omogeneità nella resa complessiva che a quanto pare sembra essersi fermata alla carta, ossia al progetto voluto da Cristopharo che, oltre ad esserne uno dei promotori, ha firmato la regia dei due degli episodi che lo compongono (“Il giocatore di scacchi di Maelzel” e “Canto” sotto lo pseudonimo di Yumiko Sakura Itou). Davanti agli occhi dello spettatore si palesa infatti una discontinuità di risultati dettata dalla riuscita oppure no dei vari episodi, nonostante questi siano nati tutti seguendo poche, ma precise indicazioni strutturali, produttive e drammaturgiche, che non hanno però in nessun modo imbrigliato gli autori coinvolti: budget zero, pochi giorni di riprese, durata approssimativa e soprattutto come già accennato una reinterpretazione degli scritti di Poe. Il tutto in piena indipendenza e libertà creativa. Dall’altra parte, c’è da dire che non è il progetto o il modus operandi ad essere sbagliato in partenza, visto che non è la prima volta che si mettono in pratica. Film a episodi tratti o reinterpretati da scritti di Poe, infatti, sono, cinematograficamente parlando, apparsi sul grande schermo in passato, dimostrandosi non sempre all’altezza della situazione: dal già citati Due occhi diabolici a Tre passi nel delirio (per diritto di cronaca e per meriti salviamo il frammento felliniano dal titolo “Toby Dammit”, al contrario di quelli diretti da Roger Vadim e Louis Malle che rivelano la tipica stanchezza dei lavori su commissione), passando per I racconti del terrore. Persino cineasti di assoluto livello hanno perso la bussola confrontandosi faccia a faccia con una delle penne più avvincenti e complesse della letteratura di tutti i tempi, per questo le pretese non possono e non devono essere giocoforza troppo elevate, ma giuste e senza pregiudizi. Questo non significa che il film non possa essere analizzato e giudicato solo perché parte da uno spunto impegnativo, che richiede uno sforzo creativo non indifferente. Tuttavia si deve recriminare l’assenza quasi totale in tutti gli script di alcuni degli ingredienti chiave della letteratura poeniana, a cominciare dalla decadenza che è uno dei tratti distintivi della sua bibliografia alla pari dall’errore nella percezione, per fare spazio ad altri decisamente secondari. Per carità, nulla da dire sulla scelta di distaccarsi dai testi originali, partendo però da un elemento chiave presente in ciascuno degli scritti scelti per l’occasione, ma a nostro avviso è ampiamente contestabile la scelta di non assecondare quantomeno il DNA. Diversamente, va sottolineata l’estromissione dagli episodi di veri e propri stereotipi come il castello o le vergini di ferro, a favore di altri spazi e personaggi.
Di fatto, la direttrice non invasiva con il quale si è impostato il lavoro del collettivo ha dato origine a una manciata di corti che spiccano sui restanti, ossia “Silenzio” dei fratelli Capasso, “La verità sul caso Valdemar” di Edo Tagliavini e “Il gatto nero” di Paolo Gaudio. Quest’ultimo in particolare è senza ombra di dubbio il più riuscito, con uno dei racconti più celebri dello scrittore americano, precedentemente rimaneggiato con esiti altalenanti da Corman nel 1962, Fulci nel 1981 e da Argento nove anni dopo, che nelle mani di Gaudio si tramuta invece in un grottesco saggio breve sulla superstizione animato attraverso un pregevole lavoro in stop motion che vede protagonista lo stesso Poe. Umorismo nero sul quale punta ancora una volta Tagliavini che, avvalendosi di attori in carne e ossa rilegge “La verità sul caso di Mr. Valdemar” a distanza di ventuno anni dal mediometraggio targato Romero e da Corman sempre nel trittico I racconti del terrore del 1962, con la solita commistione di toni, generi e registri che caratterizza il suo modo di fare cinema (Bloodline). Su altre traiettorie si muovono invece i Capasso, che contribuiscono alla causa con un frammento che mescola la classica ghost story allo shocker old style giocato sul filo della tensione dilatata destinata a esplodere, al quale spetta il compito di aprire le danze e consegnare alla platea il tassello tecnicamente e registicamente più convincente dell’intero puzzle. Il resto dei tasselli che compongono il mosaico di P.O.E. si differenziano l’uno dall’altro per qualche guizzo qua e là di natura tecnica, ma no di certo drammaturgica: vedi ad esempio la fotografia e la cura nella messa in scena del duo Pianigiani-Marcello, Giordani e Itou/Cristopharo nei rispetti riletture de “Le avventure di Gordon Pym”, “La sfinge” e “Canto”. In tal senso, solo Fazzini, nonostante riesca a dare una forma cinematografica a uno dei testi più criptici di Poe, non riesce a prendere le misure su entrambi i fronti, appoggiandosi per portare a termine la sua versione de “L’uomo della folla” a una scialba estetica da videoclip che si limita a frullare versi, note e immagini notturne.
L’esecuzione finale si tiene dunque a galla grazie a pochi acuti che non bastano però a raggiungere la sufficienza in pagella. Ne viene fuori un impasto di sfumature orrorifiche di parapsicologico, grottesco, demoniaco e horror fantastico con ingredienti da giallo e incursioni nello zombie movie, che rivelano un potenziale purtroppo non espresso quanto avrebbe dovuto sia sul versante del progetto in sé sia delle capacità autoriali di alcuni degli autori coinvolti. 

Voto: 4

Francesco Del Grosso