Recensione n.1
1941. Il sole, oscurato completamente in una fetta del mondo occidentale dagli orrori di una guerra, splende in tutta la sua luminosità sulle isole Hawaii dell’Oceano Pacifico, dove le truppe americane trascorrono le giornate in camicia hawaiana tra la spiaggia e qualche addestramento, in una quiete inconsapevole della tempesta (di fuoco) che sta per avanzare.
Protagonisti in questo sfondo due militari ed un’infermiera, che daranno vita alla tipica storia d’amore, al relativo tradimento con migliore amico e via dicendo fino al solito finale eroico e strappalacrime che conclude generalmente film del genere.
A conseguenza di tutto ciò, lo spettatore in sala non può non cominciare a sbadigliare fin dall’inizio, quando i soliti cliché vengono fuori uno dopo l’altro, senza alcunché minima variante, neanche infinitesimale, e le scene dei protagonisti si risolvono in un collage di battute e situazioni già fin troppo viste e riviste.
Quasi a convincersi (o a convincere) che non si può raccontare nient’altro che qualcosa di già raccontato, vengono riproposte la storiella dell’eccellente Top Gun degli anni ’40, innamorato dell’infermierina, che una volta sparito dalla circolazione per presunta morte, vede soffiarsi la ragazza dal migliore amico, col quale però non può che unirsi all’arrivo del cattivo e bla, bla, bla…
Tutto ciò risulterebbe disgustoso se non si fosse pagato un biglietto e si cercherebbe in ogni modo, con la sola forza della propria volontà, di trovare un piccolo semplice motivo per cui valga la pena continuare la visione. Il motivo tarda ad arrivare, ma alla fine sospiratamene arriva. I giapponesi, per fortuna, attaccano Pearl Harbor (l’unica cosa che gli sceneggiatori non si sono dovuti inventare e, non per niente, è l’unica gradevole parte della storia), gli americani, forse risvegliati da qualche scatto patriottico che li vede pur sempre i padroni del cinema mondiale, capiscono che è il caso di tentare di risollevare il film e ne esce fuori, così, uno spettacolare bombardamento aereo, dove gli effetti speciali si sprecano e le fiamme s’innalzano, di pari passo con il morale dello spettatore.
La descrizione dell’assedio è terrificante, tanto che la mente è sospinta a tornare indietro nel tempo, ricostruendo la Storia con le immagini del film. Il pensiero corre, di pari passo con lo schermo cinematografico, alle morti, ai feriti, all’isteria che in casi di tragica emergenza si impadronisce dell’ospedale. Si comincia lentamente a dimenticare la storiella d’amore, questa ormai diventata sfondo dell’evento, mentre le bombe cadono, le navi si piegano in due e gli aerei sfrecciano a pochi millimetri dallo schermo cinematografico.
Concluso il film, tutto sommato, si esce guardandosi tutti, chi più chi meno, con aria soddisfatta. Alcuni avranno apprezzato la storiella d’amore, come quei bambini che amano farsi raccontare, prima di addormentarsi, sempre la stessa fiaba, altri avranno trovato conforto nel vivere dal cielo e dalla terra insieme (è questa la magia del cinema) un evento sepolto nel passato.
Francesco Rivelli
Recensione n.2
M. Bay e’ sicuramente un fan dei vari Pallottola spuntata. Se li guarda, ride, li riguarda ancora sul suo megascreen finché un giorno decide di fare anche lui un fakefilm di simpatico sfottò ai colossal senza risparmio di mezzi. Si alza dal suo letto nel cottage in Connecticut, accarezza i labrador scodinzolanti, si dirige nel suo ufficio e chiama a se i suoi collaboratori in quanto pronto. Ma se quella mattina per caso era serio, e’ riuscito a fabbricare un film più finto di Truman show (con automobili e persone sempre nel corretto movimento a sfondo, i negozi, i cinema appena finiti di pitturare, i fiori sempre in corretta altezza), peggio di The beach (a proposito di spiagge), più prevedibile di Autunno a NY (parlando di retorica), più telefonato e tonto di Cruel Intentions (a proposito di schifezze), da fare impallidire Spielberg in quantità di denaro sprecato, peggio di Armageddon suo stesso e medesimo e quindi vive e sincere congratulazioni, perché non era affatto facile.
Libetta