Regia, soggetto e sceneggiatura: Ahn Byeong-ki
Cast: Ji-won Ha , Yu-mi Kim, Woo-jae Choi, Ji-yeon Choi, Seo-woo Eun
Corea del sud, 2002 Durata: 100′
Recensione n.1
Phone è un’horror lucido ed elegante, che gioca a confondere lo spettatore, com’è usuale regola del genere, ma conserva un’ambivalenza che ne fa un oggetto prezioso ed atipico. Non capita spesso di vedere nei normali circuiti di distribuzione un film coreano, anche se ad onor del vero gli asiatici film dell’orrore stanno acquisendo una qualche visibilità al di là della terra del Sol Levante soprattutto grazie al remake americano di Ringu. Le prime sequenze di Phone ricordano da vicino un altro prodotto recente, quel The Eye tanto celebrato ma tutto sommato trascurabile, ma a differenza di quest’ultimo, la nuova sfida del cinema dagli occhi a mandorla acquista con il passare dei minuti un discreto fascino, e soprattutto raggiunge alla perfezione l’obiettivo “elementare” del genere: mettere i brividi. Ho parlato di oggetto prezioso, perché dopo un inizio di chiara impostazione paranormale, con il consueto armamentario di visioni ed eventi inspiegabili, la storia acquista sempre più il sapore dell’intrigo giallo, collocandosi nella zona ambigua del thriller-horror, quella per intenderci dell’Argento prima maniera, ragion per cui mi esimerò dallo svelare gli elementi della storia. Certo la differenza, in quanto ad immaginario, col cinema di papà Dario è notevole, qui la fanno da padrone i colori chiari, i muri bianchi, le superfici bagnate, le argentate lame di coltello, predominano poi gli interni, per lo più case eleganti e signorili, con le loro architetture geometriche, tra le quali il regista dimostra di muoversi con una certa raffinatezza di stile. Grazie a dio ci è risparmiato il montaggio frenetico e le inquadrature sghembe, anzi Ahn Byeong-ki muove dolcemente la macchina da presa, si aggira per gli spazi familiari d’una normale casa borghese che potrebbe trovarsi a Tokyo come a New York, spesso con suggestivi carrelli circolari. Il bianco come detto imperversa, si pensi alle sequenze nell’ascensore, nelle quali la tensione è creata proprio dalla contrapposizione tra la tensione ed il bianco candido ed all’apparenza innocuo di quelle superfici.
Certo il tema dell’orripilante che si nasconde tra le pieghe del quotidiano è vecchio come il cinema (per la verità come la letteratura…), si pensi alla usualità di oggetti quali il cellulare, il computer, gli interni rassicuranti delle abitazioni dei protagonisti, ma soprattutto si pensi alle ruolo giocato dalla bambina, che peraltro ci regala una performance davvero notevole. E’ l’aspetto più riuscito ed inquietante del film, tutte le scene dove compare la piccola sono efficaci ed alcune davvero inquietanti (la sequenza alla galleria d’arte), come lo sono le improvvise apparizioni di personaggi forse reali, forse immaginari, forse tornati dal regno dei morti, che mantengono l’opera in bilico su di un filo teso tra realtà da un lato e finzione, sogno o visione dall’altro, tanto che alla fine ci si può persino convincere che la vicenda sia verisimile, e che gli elementi paranormali siano solamente sogni dei protagonisti, oppure loro allucinazioni. Poi certo il tema più sbandierato probabilmente è quello della demoniacità del cellulare, ed è comunque una tendenza affermata nel genere dotare gli aggeggi della tecnologia di uno spirito malvagio, dalla Macchina infernale di King e Carpenter alla videocassetta del citato film di Hideo Nakata.
I topos del genere sfilano generosi, non ultima la casa maledetta; la regia insiste a lungo sul corridoio lungo e velato di ombre che cela forse in una delle sue stanze dei terribili segreti, memore di tanti altri celebri corridoi (uno su tutti il lynchano Strade perdute). Impressionante è la sequela di citazioni: l’ossessivo squillare del telefono (Scream), la protagonista che, mentre suona il pianoforte, scopre di essere spiata dalla finestra (Profondo rosso) la già citata sequenza dell’ascensore (The eye ma anche L’ascensore di Dick Maas) la ragazza murata (Il gatto nero) la bambina demoniaca (Poltergeist) il carrello dietro alle protagoniste alla galleria d’arte (Vestito per uccidere). Ad un tratto udiamo pure una melodia infantile che ci riporta alla memoria la celebre lagna fanciullesca del capolavoro argentiano.
Un’ultima parola la spendo sulla musica, utilizzata in maniera narrativa, nel senso che l’ossessiva melodia della beethoveniana Sonata al chiaro di luna ha una precisa collocazione nella storia. A mio modo di vedere si tratta di una scelta felice, anche se a lungo andare potrà apparire noiosa e ripetitiva, ma contribuisce a dare un tocco di alterigia a questo film non eccezionale, ma proprio per tali stravaganze decisamente godibile.
Mauro Tagliabue
Recensione n.2
Sorvolando sul flano che recita le solite, scontate frasi per far gola al pubblico “piu’ sconvolgente di The Ring, piu’ inquietante de The Eye…” eccetera, in effetti nel film si susseguono alcune sequenze ad effetto, pero’ dovute piu’ che altro all’accompagnamento del Dolby. Sulla trama, ci sarebbe da discutere parecchio. Nonostante a grandi linee verso la fine si incastrino le tessere del mosaico, rimangono alcuni svarioni di sceneggiatura che ridicolizzano un po’ il tutto, facendone risentire all’atmosfera che non riesce ad angosciare fino in fondo come dovrebbe. Va da dire comunque che il film e’ piu’ che onesto, gli attori sono piuttosto superficiali, ma la bambina e’ veramente agghiacciante, alcuni dialoghi sono piuttosto improbabili, ma credo sia anche colpa del mediocre doppiaggio italiano (alcune battute erano addirittura visibilmente fuori sincrono e non era un problema di pellicola!). La regia e’ di discreto livello, forse come ho detto prima, si sarebbe dovuto prestare maggiore attenzione a certe facilonerie che hanno reso questo film un po’ troppo “all’acqua di rose”. Non fa molta paura, il difetto maggiore di questo tipo di thriller asiatici e’ di inserire dentro la storia una componente drammatico/fantastica che a volte c’entra come i cavoli a merenda. Pero’ nonostante tutto, non mi sento di bocciarlo, perche’ la trama, se sviluppata meglio, poteva essere abbastanza interessante. Cosi’ com’e’ resta solo la sensazione di un’altra occasione sprecata. Avanti il prossimo. Voto: 6
Wolf