Recensione n.1

Alla base di questo lungometraggio americano sembra esserci l’idea che tutto ormai è già stato raccontato e l’unica soluzione è raccontare la stessa storia in modo diverso. Se non puoi convincerli, confondili. Ed è quello che riesce a fare, con una certa abilità, il regista e
co-sceneggiatore David Twohy.
Il film comincia come un classico di fantascienza (l’atterraggio di fortuna su un pianeta sconosciuto), prende i risvolti di un thriller (dell’equipaggio fa parte anche un pericoloso omicida) e sfocia nell’horror (il buio nasconde creature spaventose e carnivore).
I modelli di riferimento sono tantissimi, da “Alien” a “Tremors” passando per i due soli di “Guerre Stellari”, e non c’è nulla di veramente originale, ma i colpi di scena e i momenti ad effetto si susseguono con un buon ritmo che incolla allo schermo.
La cosa piu’ stereotipata è forse la situazione di partenza che vede un gruppo di varia umanità destinato a unire le proprie forze per fronteggiare un terribile pericolo. E nel gruppo c’è veramente di tutto: bianchi e neri, ragazzini e adulti, atei e credenti, omicidi e cacciatori di taglie, insomma l’ormai logoro melting-pot a cui il cinema catastrofico ci ha da decenni abituato: personalità diverse, caratteri contrapposti, in modo da creare contrasti forti e spettacolari.
Ma di nuovo c’è la contaminazione dei generi che rende il film di difficile catalogazione permettendo allo spettatore il lusso, di questi tempi, di non sapere chi si salverà e come. Le scelte di sceneggiatura non sempre reggono, ma il divertimento è assicurato.

Luca Baroncini de “gli Spietati”

Recensione n.2

Un’astronave con 40 passeggeri viene colpita da una tempesta di meteoriti e precipita su un pianeta desolato. Riddick e’ un detenuto di massima sicurezza, un assassino, imbarcato sull’astronave, e approfitta della confusione poer fuggire. Ma forse il pianeta non e’ cosi’ deserto come sembra… “Pitch Black” e’ una sorprendente via di mezzo tra “Cube” e “Alien”: col primo condivide la fotografia perennemente virata in colori innaturali (in maniera diegetica, come in “Cube”, visto che al pianeta vengono forniti 3 soli di colori diversi) e il sublime approccio alla storia e ai personaggi (anche qui non c’e’ nessuna retorica e nessuna forzatura, i personaggi sono estremamente credibili e lo svolgimento non scontato); del secondo riprende l’aspetto e la personalita’ degli alieni. Di solito di film di questo genere si dice “il solito clone di Alien”, ma “Pitch Black” invece e’ ben di piu’: sfrutta le limitazioni imposte dal basso budget (23 milioni di dollari contro, ad esempio, i 70 milioni di “Alien: Resurrection” e i 95 milioni di “Mission to Mars”) per crearsi una sua estetica che lo rende “diverso” dagli altri, in maniera piu’ che positiva. E anche la sceneggiatura non tenta di sfruttare i colpi bassi ormai inevitabili nei film americani, come ad esempio la tecnica di spaventare lo spettatore con falsi pericoli prima dell’arrivo di quelli veri: in “Pitch Black” potete stare certi che se vi spaventate un motivo c’e’. Non bisogna cercare verosimiglianza scientifica, perche’ di appunti in questo senso se ne potrebbero fare diversi (ma in fondo il film la verosimiglianza non la cerca nemmeno), ma a parte questo Pitch Black si candida come uno dei migliori film di fanta-horror degli ultimi anni, imperdibile per gli amanti del genere. L’ultima eclissi.

Graziano Montanini

Recensione n.3

Una nave da trasporto spaziale atterra in emergenza su un pianeta sconosciuto. I sopravvissuti tentano di salvarsi ma l’oscurità totale incombe, facendo uscire dal sottosuolo orde di alieni. Solo un uomo, un assassino a cui è possibile vedere nel buio, potrà trascinarli fuori di lì. Già oggetto di culto negli Stati Uniti (e nel resto del mondo), PITCH BLACK è un geniale e inventivo film di fantascienza che saccheggia – rielaborando – clichè e atmosfere del suo genere, evitando con cura ogni tipo di citazionismo ruffiano (anche se la bambina ricorda la Ripley di Alien). La trama piuttosto povera è solo un pretesto per mostrare quanto di meglio si possa fare utilizzando intelligentemente quel marchingegno strano che è il cinema. E’ così che quella che poteva sembrare una prevedibilissima pellicola, diventa un piccolo gioiello, assolutamente imperdibile. Personaggi credibili (perlomeno i tre protagonisti) costruiti con una logica inconfutabilmente razionale, sempre sul filo del conflitto psicologico e del paradosso, tendono la suspense per l’intera durata, costringendo lo spettatore – di fronte a improvvisi ribaltamenti di punti di vista – a identificarsi con figure mai pienamente positive in un ambiente claustrofobico, dove ognuno è comunque vittima del massacro generale. Il perno su cui gira tutto il meccanismo è Riddick, assassino pazzoide e misterioso che diviene in seguito indispensabile guida: può bastare la fiducia con uno come lui? Si erge così come una figura antinomica per eccellenza, reggendo sulla sua forza il peso drammaturgico del film. Ritmo serrato senza interruzioni dell’azione di nessun tipo: qualsiasi cosa compiuta è sempre fondamentale allo svolgimento narrativo della successiva sequenza, e non si ricorre mai a trucchetti o facili espedienti per andare avanti o per creare suspense. Le scenografie, che spaziano dal claustrofobico allo sconfinato, sono di un impatto visivo notevole, grazie naturalmente anche alla fotografia, stupefacente, tutta giocata sui colori nella prima parte, spinta – in sintonia con le digressioni narrative – sul contrasto tra luce e oscurità nella seconda. I difetti sono pochi e trascurabili, le interpretazioni sempre ottime, la regia si pone ad un livello qualitativo molto alto, l’ironia colpisce il segno. A modo suo è un b-movie quasi perfetto.

Andrea D’Emilio

Opinioni sul film:

La cosa più bella del film è l’assoluta “impurità” dei protagonisti principali: Lui è un assassino senza scrupoli, Lei debutta nella pellicola cercando di fare una cosa moralmente molto discutibile. In tutto il film è completamente assente la figura del “buono” classica.
A.

E’ un ottimo e raro esempio di film “politicamente acorretto”. Termine inventato per dire che non e’ ne corretto ne’ scorretto, semplicemente non gli frega niente della cosa: i personaggi fanno quello che devono fare e basta.
G.

Da notare il “muezin” tutto d’un pezzo… che fa predicozzi niente male
(per la prima volta un personaggio del genere non e’ un rabbino o un prete).
Gi.