Scheda Film
Titolo originale: Solace

Regia: Afonso Poyart
Soggetto e Sceneggiatura: Sean Bailey, Ted Griffin
Fotografia: Brendan Galvin
Montaggio: Lucas Gonzaga
Scenografia: Brad Ricker
Musiche: BT
Prodotto da: Filmnation Entertainment
USA, 2015 – Thriller fantastico – Durata: 101’
Cast: Anthony Hopkins, Jeffrey Dean Morgan, Abbie Cornish, Colin Farrell, Matt Gerald
Uscita: 12 novembre 2015
Distribuzione: Leone Film Group e Adler

Gli angeli della morte

Quando tra gli addetti ai lavori è iniziata a circolare la voce che con Premonitions ci si sarebbe trovati davanti all’ennesimo tentativo kamikaze di emulazione di Seven, un brivido di terrore non poteva che iniziare a scorrere lungo la schiena. Sfidiamo chiunque dei nostri lettori, una volta venuti a conoscenza della cosa, a negare la nascita nella testa di un pensiero pregiudiziale a riguardo. Il cult di Fincher è senza ombra di dubbio, insieme a Manhunter e Il silenzio degli innocenti, fra i capostipiti del sottogenere nel quale la pellicola diretta da Afonso Poyart va per caratteristiche drammatugiche e narrative ad iscriversi, vale a dire nella variante contemporanea del cosiddetto “serial-thriller”. Ed è, infatti, da questo ormai ricco filone, le cui radici si perdono in realtà nella notte dei tempi della Settima Arte, che il regista brasiliano e gli sceneggiatori Sean Bailey e Ted Griffin hanno deciso di attingere per dare forma, contenuto e sostanza alla storia, ai personaggi che la animano e alla sua messa in scena. Lo scomodare la pellicola fincheriana, arrivando a sollevare un confronto che a conti fatti risulterà decisamente azzardato, ci rendiamo conto che è diventato quasi inevitabile per tutti coloro che di volta in volta hanno scelto di avventurarsi nel suddetto filone. Per cui se di analogie si deve parlare (e ce ne sono non poche) è solo esclusivamente in termini prettamente citazionistici. Di conseguenza, Poyart si rifà a Seven e di riflesso anche al sottogenere di appartenenza, nel quale il film del cineasta di Denver occupa una posizione centrale.
Lo script affidato al collega carioca, qui alle prese con la sua opera seconda dopo il successo ottenuto in patria con 2 Coelhos, costruisce la propria architettura drammaturgica su e intorno agli elementi imprescindibili del suddetto sottogenere, mettendoli a disposizione di un’operazione che consegna un nuovo volto efferato alla nutrita galleria di assassini seriali approdati nei decenni passati e recenti sul grande schermo. A differenza di altri, ma alla pari di Seven o Phone Booth, l’omicida di turno nasce dalla fantasia degli sceneggiatori e non dalla cronaca nera della vita reale, presentandosi però come una sorta di “angelo della morte” in missione divina. Insomma, vittime diverse, ma stesso profilo per il loro carnefice.
In Premonitions, nelle sale nostrane a partire dal 12 novembre grazie alla partnership distributiva fra Leone Film Group e ADLER, la platea si troverà di fronte a una variante drammaturgica che cambia in parte il destino del film, impedendo a questo di naufragare in quel mare di mediocrità dove si sono andate a depositare le tantissime carcasse appartenenti ai relitti di operazioni analoghe. Nello script arriva in soccorso l’elemento soprannaturale che, prendendo sempre più quota rispetto al modello pre-confezionato del thriller seriale, offre così al plot e a personaggi standardizzati una seconda vita e un motivo in più di sopravvivenza nel cartellone cinematografico. Anche se si tratta di una chiave non originale, alla quale ad esempio il trio Bava-Argento-Crispino ha puntato in più di un’occasione, in questo caso appare come una virgola determinante per dare un nuovo slancio al prodotto finale. Poyart si è ritrovato fra le mani un film camaleontico, capace di cambiare pelle al momento giusto. Anche se risulta la somma di soluzioni già viste, narrativamente e stilisticamente parlando, a conti fatti la contaminazione, l’ipercitazionismo (da Mann a Tarsem, dall’ultimo Tony Scott al già citato Fincher) e il loro mix finisce con il funzionare. Le accelerate improvvise di ritmo alzano il tasso di coinvolgimento di quello che alla fine dei giochi non va oltre la classica caccia all’uomo del killer, condotta da poliziotti e consulenti alle prese con enigmi, depistaggi e trucchi psicologici. Questi però consentono al film di rimanere a galla nonostante qualche scivolone presente sulla timeline, animata anche da un paio di colpi di scena non telefonati e da una serie di temi trattati (l’eutanasia, domande sulla vita, il destino e il diritto di vivere) che servono a stratificare il plot, sollevando un insperato dibattito tra umanità e moralità.
Da parte sua, il regista sudamericano dimostra di conoscere bene il mestiere e la varietà stilistica messa a disposizione della scrittura lo dimostra chiaramente. Tecnicamente lavora per accumulo, sovrabbonda e punta alla saturazione. L’indecisione su quale linguaggio visivo utilizzare lo spinge a sposarne di diversi. Ciò alla lunga crea una sorta di cortocircuito estetico, ma per fortuna senza ripercussioni sulla confezione e sulla buona performance del pregevole cast (uno su tutti Anthony Hopkins).

Voto: 7

Francesco Del Grosso