Recensione n.1

Un film sul rock che, deliberatamente, evita lo stile del rock: un ritmo tranquillo, classico (ma non lento), dialoghi intelligenti e spiritosi, caratteri umanamente credibili.
Basato sulle esperienze di Cameron Crowe, giovanissimo giornalista rock nel 1973, è una ricostruzione d’epoca filologicamente accurata ed al tempo stesso affettuosa, visivamente soffice.
C’è molta musica, naturalmente: invece di usare i brani ruffianamente più ovvi, riconoscibili anche da un profano come me, la colonna sonora – pre-prog, pre-punk, pre-disco – colpisce continuamente con bellezze sconosciute. La musica della fictional band al centro della storia, gli Stillwater, è giustamente mediocre (anche se può apparire splendida oggi): si tratta di gente che non è mai divenuta famosa, dopo tutto.
La storia è relativamente complessa e certi snodi, verso la fine, appaiono un po’ meccanici. Occasionalmente il tono calmo ed intelligente non rende completamente lo spirito dell’epoca – ma forse non era questa l’intenzione di Crowe, più attento allo sviluppo dei personaggi ed alla splendida recitazione degli attori, forse la cosa più notevole del film.
Frances McDormand è oggi la migliore mamma che il cinema americano possa offrire. La professoressa di sinistra che vuole crescere dei figli non mediocri ma che tende ad imporre le sue scelte di vita è un personaggio splendido, quasi una risposta parodistica allo stereotipo dell’intellettuale repressivo che non capisce il rock protagonista di migliaia di brutti film e spot pubblicitari. La sua conversazione telefonica con il leader del gruppo è un momento di grande cinema.
Kate Hudson (figlia di Goldie Hawn) è meravigliosa da ogni punto di vista, una icona di femminilità eterna e primi anni 70, saggia e delicata, disinvolta e misteriosa – abbiamo paura che venga usata e rovinata per sempre, noi spettatori senza illusioni, e la nostra paura in parte si avvera, in parte no.
Peter Fugit, il giornalista di 15 anni, è una promessa – un sorriso contemporaneamente astuto ed imbarazzato come il suo personaggio. Il rigore della madre lo fa partire meno sprovveduto della sua età ma naturalmente dovrà crescere e fare le sue esperienze (mentre la band cerca di usarlo per i suoi scopi).
Bill Crudup è la rockstar carismatica e fisicamente attraente, il genere di persona a cui spontaneamente attribuiamo più intelligenza e personalità di quanto sia in realtà il caso.
Philip Seymour Hoffmann – come al solito fantastico – è il famoso critico rock Lester Bangs (che subito ci informa che il rock è moribondo) ed il suo manifesto degli sfigati, i veri creatori nell’arte e nella vita, per una volta appare autentico e profondo e non, come è usuale, espressione di invidia e risentimento.
Battuta scontata ma divertente, quando il nuovo manager cerca di spiegare alla band la realtà dello showbusiness: ‘Credete forse che Mick Jagger a 50 anni sculetterà ancora così su un palco?’

Stefano Trucco

Recensione n.2

Ho visto Almost Famous. Devo dire che mi è piaciuto, come in generale mi piacciono i film americani. Generalizzo? Forse, però il cinema americano è costruito in modo tale da avere la stessa forza rassicurante di un brunch da Mc Donalds o di una casa IKEA. E’ un cinema che da sicurezza, che ti mette in pace con te stesso, un cinema dove tutti gli elementi sono stati provati e riprovati, come la salsa rosa nel big mac.
Il cinema americano piace perché è prevedibile. Già Bunuel raccontava di aver sviluppato un sistema ad incastri, che gli permetteva, definiti i personaggi ed il contesto, di conoscere la fine di un qualunque film. E’ la ricetta della nonna, abbellita di volta in volta con la tecnologia più moderna.
Nel buio della sala, pur vedendo i limiti e la banalizzazione ero attirato dai personaggi e coinvolto dalla musica. E allora ecco: siamo agli inizi degli anni settanta, il movimento rock, doppiato il capo dell’arte pura si sta dirigendo verso il nuovo mondo decadente.Da un lato il bene: un ragazzino appassionato di musica e proto-giornalista (con una visone immacolata della vita e con madre maniaco-ossessiva) viene inviato dalla rivista cult “Rolling Stones” al seguito di un gruppo emergente della scena rock, The Stillwaters. Missione: fare un reportage sulla loro tourne’. Durante il tour, i rapporti tra il neo giornalista ed i membri del gruppo evolvono. All’indifferenza iniziale per il nemico giornalista (the enemy), subentra una sorta di rilasciamento, e la patina dorata che circonda il gruppo, lascia spazio a tutta una serie di bassezze e meschinità. Poichéla costruzione filmica impone un controaltare dieletico-narrativo et voilà spuntare dal cilindro magico il male.
La sfida all’Ok Corrall può allora cominciare. Signore e signori, alla nostra destra il bene.mamma e figlio.un applauso prego. Alla nostra sinistra, il maleeeeeee.clap, clap, clap (il lato oscuro della forza è rappresentato dal chitarrista del gruppo e dalla sua ninfetta). La lotta tra i due fronti si gioca allora su piu’ livelli:

1) Il rapporto di sudditanza psicologica tra la rock star e la sua amante (entrambi cattivi ma in quest’ottica, la ragazza si scopre indifesa e schiacciata dalla macchina dello star system, dove il mondo non è reale e le persone sono oggetti da scambiarsi durante una partita di poker)
2) Il rapporto tra la rock star e il giornalista ragazzino, temibile proprio perché giornalista
3) Il rapporto (impossibile) tra il giovane e la ninfetta, ed in particolare la (di lei) fascinazione per tutto ciò che luccica e che non è concreto.
4) Il rapporto tra il figlio che parte alla scoperta della vita e la madre che lo vorrebbe proteggere dai pericoli del mondo

Ovviamente tutte le antinomie si ricostituiscono nel finale all’americana ; i buoni vecchi valori della solidarietà dell’onesta’ e della fiducia trionfano, mentre la musica accompagna i titoli di coda.
Happy end. Il tutto mi fa venire in mente George Bush Jr., però’ ho passato due ore piacevoli.

Giancarlo Rizzo

Recensione n.3

***1/2 spoiler alert: level 1

Film di formazione? Film nostalgico sui “favolosi” anni ’70? Film “giovanilistico”? Film musicale?

Se per forza di cose dovessi dare un’etichetta a questa pellicola di Cameron Crowe, mi troverei in difficoltà. Questo film è tutto quello che ho elencato qui sopra e molto di più. Sicuramente è un bel film, davvero un bel film. Forse un po’ troppo perfettino, senza alcuna sbavatura, come se fosse un compitino in classe scritto dal secchione di turno; probabilmente manca di quella “sana sporcizia” tipica di un certo modo di vivere il rock suonato in quegli anni (o almeno del ricordo che possiamo avere di esso o dell’idea che ci è stata in qualche modo inculcata da qualcuno più vecchio, ma non poi così tanto, di noi), ma è anche vero che il regista ha deciso di narrare un fatto a lui realmente accaduto quando era poco più che quindicenne. Perciò per forza di cose tutto viene filtrato da un velo di nostalgia che per una volta non guasta. In una frase: è lo sguardo incantato di un ragazzino in cerca di un disincanto professionale sul tramonto di un’epoca che mai più ritornerà. Porca miseria quanta retorica a piene mani! Per poco non mi addormento nel scriverla, figuriamoci a leggerla ‘sta frase!

DA TENERE: DA TENERE: Difficile scegliere: bellissima e non scontata colonna sonora, attori azzeccatissimi, dialoghi mai banali, ecc. ecc. Fate un po’ voi.

DA BUTTARE: Il fatto che in mezzo a tanto ciarpame (c’è forse qualche film degno di nota in giro in questo periodo?) pochi si filino questo gioiellino.

NOTA DI MERITO: Due su tutte. Philip Seymour Hoffman, sempre splendido in ogni interpretazione (qui è un po’ lo Jedi della situazione, il vero fulcro del film) e la solare, sbarazzina, intrigante e splendida biondina (figlia di Goldie Hawn) Kate Hudson. Da qui in avanti la sua carriera sarà una passeggiata.
NOTA DI MERITO: Due su tutte. Philip Seymour Hoffman, sempre splendido in ogni interpretazione (qui è un po’ lo Jedi della situazione, il vero fulcro del film) e la solare, sbarazzina, intrigante e splendida biondina (figlia di Goldie Hawn) Kate Hudson. Da qui in avanti la sua carriera sarà una passeggiata.

NOTA DI DEMERITO: Mmm… ma sì, forse una piccolissima sforbiciata avrebbe giovato alla pellicola. Ma in fondo ci sono film che durano molto meno che annoiano mooolto di più.

SITO: http://www.almost-famous.com/

Ben, aspirante Supergiovane.

Recensione n.4

Chi è il vero protagonista di “Almost Famous”? E’ lo sguardo di un quindicenne che, spacciandosi per un giornalista professionista, passa dalle pagine del giornalino scolastico a quelle di Creeme, fino ad essere addirittura chiamato dal prestigiosissimo Rolling Stones Magazine: qualche cartella per 1.000 dollari nel 1973. Sembra solo un sogno, e invece è accaduto davvero al regista e sceneggiatore, Cameron Crowe, l’acclamato autore di “Jerry Maguire”.

William è un ragazzino con talento che non riesce a rapportarsi con i suoi coetanei. La passione per la musica e per la scrittura lo catapultano finalmente in un altro mondo, al di fuori della realtà. Segue in tour gli Stillwater, un gruppo emergente dal quale per la prima volta viene capito, considerato e soprattutto trattato come se fosse, ma sa di non esserlo, un ‘fico’. Non si monta la testa, ‘non si droga’(come raccomanda l’originale caricatura della madre anni Settanta tra emancipazione e tradizionalismo), ma è affascinato dalle dinamiche che si sviluppano attorno e soprattutto all’interno della band. La sua personalità è così appena abbozzata ma sono i suoi occhi perspicaci, ingenui e fiduciosi a descrivere quell’ambiente che i fans vedono solo dal di fuori, dal mondo reale. Non vengono messi in gioco temi di così profonda importanza, ma solo una strana questione legata alla responsabilità. Così Russel, l’unico vero genio del gruppo (Brad Pitt ne aveva rifiutato la parte), chiama quella forza che lo spinge a restare con i suoi compagni e anche con sua moglie, nonostante il significativo legame che lo stringe con una ‘groopie’, la bella e giovane attrice emergente Kate Hudson (figlia di Goldie Hawn). E’ un simpatico idolo in crisi per il giovane reporter, che saprà anche metterlo in discussione. Il chitarrista poi si sfoga quando, allucinato dagli acidi, si innalza a ‘dio dorato’ in cerca della verità. Una verità scomoda ma nuovamente urlata a più voci in un tragicomico atterraggio di emergenza. E’ una band che continuerà a viaggiare su quattro ruote, non sulle ali di un aereo. Cosa succederà non è dato saperlo mentre frenetico è lo scorrere finale degli accadimenti. L’articolo si guadagna la prima pagina del Rolling Stones e la verità dei fatti, così ben trascritti dall’esordiente cronista e critico musicale, è riconosciuta anche da Russel. Questi ultimi fotogrammi sono raccontati dalla musica che emerge su tutto. Forse era lei la vera protagonista di “Almost Famous”, uno fra i tanti film statunitensi superficiali, ma sorretti da efficaci interpretazioni e, soprattutto, da un impeccabile ritmo narrativo.

Cinzia Bovio