Scheda film
Regia: Sergio Stivaletti
Soggetto: Antonio Lusci e Segio Stivaletti
Sceneggiatura: Antonio Lusci, Segio Stivaletti e Antonio Tentori
Fotografia: Francesco Ciccone
Montaggio: Alfredo Orlandi e Crescenzo Mazza
Scenografie: Sergio Stivaletti e Tonino Di Giovanni
Costumi: Francesco Bureca
Musiche: Maurizio Abeni
Suono: Davide Gaudenzi e Giuseppe Manfrè
Italia, 2018 – Thriller/Horror – Durata: 116′
Cast: Riccardo De Filippis. Romina Mondello, Virgilio Olivari, Ginni Franco, Romuald Klos, Rosario Petix, Luis Molteni
Uscita: 7 giugno 2018
Distribuzione: Apoclaypsis srl
Can che non abbia… morde!
Con un tempismo degno di Roger Corman e dell’Asylum, che vogliamo immaginare in parte casuale, a tre settimane dall’uscita in sala del (più) blasonato Dogman, fresco di Palma d’oro in quel di Cannes a Marcello Fonte per l’interpretazione maschile, ecco arrivare nei cinema il 7 giugno Rabbia furiosa – Er Canaro di Sergio Stivaletti.
Il progetto, già lungamente annunciato (il regista lo presentò in lavorazione a fine 2017 al Fantafestival di Roma), se riuscirà a sfruttare l’onda lunga del “concorrente” autoriale sarà comunque un bene ed un vanto.
La storia di Pietro De Negri e Giancarlo Ricci resta per Stivaletti come anche per Garrone solo un’ispirazione, trasponendo la vicenda dalla Magliana al Mandrione e dalla fine degli anni ottanta ai giorni nostri.
Fabio (Riccardo De Filippis) è appena uscito di prigione dove ha scontato una condanna di otto mesi al posto dell’amico Claudio (Virgilio Olivari). Tra i due esiste da sempre un rapporto ambiguo, quasi malato. Claudio è un violento e Fabio non riesce a dire di no all'”amico”, che un giorno si dimostra fraterno, mentre l’altro si presenta come il peggiore dei carnefici. Finché un giorno, complici una ferita infetta, che probabilmente contamina Fabio con la Rabbia, e una nuova droga in circolazione cui ha accesso, attuerà la sua terribile vendetta…
Rabbia furiosa parte con le migliori intenzioni: le musiche di Maurizio Abeni accompagnano il ritorno a casa di Fabio con un suadente fischio che rievoca in parte le vicende de Er più e i fattacci narrati da Americo Giuliani ed in parte il western leoniano/morriconiano, inquadrando già bene la vicenda.
I problemi emergono quando il film pare assumere una deriva fantastica, sia per la Rabbia, intesa come “malattia virale letale” evocata dalla prima didascalia, descritta nella sua versione più estrema e grave come “Rabbia furiosa”, da cui il titolo della pellicola, sia per la nuova droga color verde Hulk, quasi una citazione dei filtri del Dr. Herbert West del Re-Animator di Stuart Gordon, immessa sul mercato dal villain Ranieri (un ritrovato Giovanni Lombardo Radice), che Fabio avrà a disposizione e che gli darà la forza necessaria per vendicarsi di Claudio.
E peggio ancora quando il film prosegue senza volersi fermare, arrivando ad una durata di quasi due ore. Parliamoci chiaro: pur con tutte le riserve del caso, è comunque più facile girare un film come Dogman, giocato in sottrazione e mirando alla semplicità, pur se rimane un’opera complessa, che realizzarne uno che voglia coniugare e conciliare l’horror splatter con la cronaca o con l’approfondimento psicologico dei personaggi o comunque con un racconto “vero”. Insomma, i grandi horror come The Texas Chainsaw massacre e A nightmare on Elm street qualcuno li ha già girati.
L’elemento fantastico se da una parte vorrebbe sorreggere la storia la mina invece in maniera deleteria, allungando ulteriormente il brodo e vanificando gli intenti, anche perché perfettamente inutile. Non si può raccontare un prologo di un’ora e mezza e poi lasciare allo splatter l’ultimo quarto d’ora. Sarebbe stato più comprensibile, sufficiente ed efficace un’ora di introduzione, con qualche accenno granguignolesco per gli appassionati nelle varie malefatte di Claudio, per poi regalarci il bagno di sangue finale.
La vicenda del Canaro della Magliana, che l’uscita di Dogman ha riaperto poiché la madre di Ricci ha chiesto nuove indagini sostenendo che De Negri si sia solo addossato delle colpe non sue, ma che il figlio sia stato giustiziato da altri – proprio come in un primo momento i negozianti del quartiere pensano di fare nel film di Garrone – ha già in sé tutti i canoni di una appassionante tragedia: la vittima consapevole che poi diventa quasi inconsapevolmente carnefice non andava aiutata con nessun’altra invenzione narrativa, a meno di non voler stravolgere i fatti e farne una surreale versione “zombi”, che però Stivaletti non ha voluto osare.
Anche se i paragoni non sono la cosa migliore in questi casi, in Dogman c’è una scena bellissima quando verso la fine Marcello è in immersione sott’acqua con la figlia e deve riemergere poiché ha un attacco di claustrofobia e gli manca l’aria: non gli era mai capitato, ma ora la misura è colma ed attuerà la sua vendetta. È questo quel che manca a Rabbia furiosa: perché cercare in altri elementi pure discutibili quello che già è presente in nuce nella vicenda d’ispirazione?
Il terzo film da regista di Sergio Stivaletti è così un’opera sbilanciata, con ambizioni mal riposte e mal investite, che percorre diverse strade senza imboccare quella giusta, perdendone pure qualcuna per strada, ma che viene riscattato almeno in parte dalle intepretazioni degli attori: se De Filippis si mantiene in piedi, pur tenendo gli occhi troppo sgranati per essere una vittima credibile, Olivari appare molto cresciuto e distante anni luce da quel Bloodline in cui l’avevamo conosciuto ed in cui non certo eccelleva, mentre la Mondello resta perfettamente in bilico tra gli altri due personaggi, splendido oggetto del contendere. Un’occasione sprecata.
Voto: 6
Paolo Dallimonti