Scheda film
Regia e Soggetto: Daniele Vicari
Sceneggiatura: Daniele Vicari, Laura Paolucci, in collaborazione con Alessandro Bandinelli, Emanuele Scaringi
Fotografia: Gherardo Gossi
Montaggio: Benni Atria
Scenografie: Marta Maffucci
Costumi: Roberta e Francesca Vecchi
Musiche: Teho Teardo
Italia/Romania/Francia, 2012 – Drammatico/Storico – Durata: 120′
Cast: Claudio Santamaria, Jennifer Ulrich, Elio Germano, Davide Iacopini, Ralph Amoussou, Fabrizio Rongione, Renato Scarpa
Uscita: 13 aprile 2012
Distribuzione: Fandango
Diaz irae [quasi CONTRO]
19 luglio 2001. A Genova si riuniscono gli otto paesi più industrializzati del mondo, tra cui stranamente c’è anche il nostro, che stavolta figura come anfitrione dell’evento, (tristemente) noto come G8. Parallelamente nella stessa città si incontrano i partecipanti del “Genoa Social Forum”, aggregazione di movimenti, partiti e membri della società civile, uniti per contrastare la globalizzazione capitalista. Il G8 è fortemente contrastato lungo le strade del capoluogo ligure da numerosi manifestanti, la situazione è estremamente tesa ed il 20 luglio ci scappa pure il morto: il no-global Carlo Giuliani è ucciso da un colpo di pistola sparato dal carabiniere Mario Placanica, in seguito prosciolto poiché agì per legittima difesa. Le cose sembrano precipitare, sia i dimostranti che le forze dell’ordine sono esasperati, così la sera del 21 alcune centinaia di poliziotti e carabinieri – il numero esatto non fu mai chiarito – in cerca dei famigerati black block irrompe nelle scuole “Diaz”, “Pertini” e “Pascoli”, dove molti manifestanti avevano trovato un tetto per la notte, invadendo anche il media center. Il risultato sono violenze indicibili sui presenti, tutti innocenti, tra i quali alcuni giornalisti: arresti ed abusi che continuarono anche nella caserma di Bolzaneto, dove vennero tradotti molti dei fermati.
Lo scopo del film di Daniele Vicari, assolutamente doveroso, è quello di mostrare nella maniera più oggettiva possibile – ricorrendo pure ad immagini di repertorio girate all’epoca – gli eventi di circa dieci anni prima, una delle pagine più nere della nostra storia recentissima, raccontandoli attraverso le storie di Luca (Elio Germano), che scrive per la Gazzetta di Bologna e giunge sul posto per farsi un’idea pià chiara su quanto sta accadendo, Alma (Jennifer Ulrich), un’anarchica tedesca quasi pentita, Marco (Davide Iacopini), un organizzatore del Genoa Social Forum, Nick (Fabrizio Rongione), un manager che si interessa di economia solidale, giunto lì per seguire un seminario, Anselmo (Renato Scarpa), non più giovane militante della CGIL, Etienne (Ralph Amoussou), black block in prima linea, e Max (Claudio Santamaria), vicequestore aggiunto del primo reparto mobile di Roma.
Ma un’opera di finzione, si sa, non può di certo essere neutrale: già dal lancio di una bottiglia girato al contrario, che ritornerà più volte per segnare varie dimensioni temporali e i differenti punti di vista, il regista cerca di delineare il suo obiettivo. In sintesi è quello di trasmettere lo spaesamento dei dimostranti, in gran parte stranieri, ed anche delle forze dell’ordine, come bene riesce a rendere il personaggio del poliziotto interpretato da Claudio Santamaria. Il problema è che, in questo spaesamento, spesso si perde anche lo stesso regista, in mezzo ai molteplici scenari, ai tanti personaggi ed ai parziali stravolgimenti dell’ordine cronologico. Anche la decisione di alterare i nomi dei protagonisti, almeno sul fronte della polizia – ad esempio qui il prefetto Arnaldo La Barbera diventa, nell’interpretazione di Mattia Sbragia, Armando Carnera ed il vicequestore aggiunto Michelangelo Fournier diventa il Max di Santamaria – di fronte a fatti giudicati da più d’una sentenza di tribunale, è un ulteriore elemento che indebolisce il risultato finale, come anche la scarsa cura di certi dettagli, quando, per citarne uno, tra numerosi poliziotti interpretati da validi e noti attori (si pensi a Roja, Calabresi, Procoli, Franciosa), certe battute vengono buttate via, affidate invece a generici doppiati (male). Quasi che, ricordando che la realtà è sempre una cattiva sceneggiatura, il regista e gli sceneggiatori abbiano voluto edulcorare in qualche modo gli eventi, per prenderne le distanze, benché dalla violenza esibita in maniera quasi “pornografica” non sembrerebbe affatto. Come se questo livello, vistoso ma comunque superficiale, fosse sufficiente alla causa, senza cercare di indurre il pubblico ad altre riflessioni e solo instillando velatamente nella vicenda l’idea di decisioni prese ben più in alto. Il massacro avvenuto alla Diaz e le violenze presso la caserma di Bolzaneto – “macelleria messicana” o “notte cilena” a seconda delle definizioni – alla fine passano più per uno sfogo – deprecabilissimo – di poliziotti provati da tre giorni di scontri, che per qualcosa di maggiormente premeditato, come invece venne poi alla luce.
Pur se Vicari non cade nell’errore fatale di Carlo A. Bachschmidt che con Black block, lavoro prodotto sempre da Fandango e probabilmente propedeutico a quest’opera, fornì esclusivamente il punto di vista dei manifestanti, ma offre qui a tutte le parti uguale e sufficiente spazio, realizza comunque un film più incompiuto che incompleto, che rischia di essere soltanto un lungo campionario di violenze quasi più insensate – se possibile – di quelle realmente accadute. Vittima della sua stessa essenza, Diaz servirà senz’altro a non dimenticare – che in questo paese è già qualcosa – ma a niente più.
Voto: * * *
Paolo Dallimonti
#IMG#20 luglio 2001 … [PRO!]
20 luglio 2001. In un torrido pomeriggio edizioni speciali dei telegiornali annunciano la morte di Carlo Giuliani, ventitreenne ucciso da un carabiniere durante l’assalto ad una camionetta. In quei giorni un importante avvenimento ha segnato l’Italia, scuotendola politicamente, facendo aprire brevemente gli occhi su un fervente movimento di oltre 300mila persone, provenienti da ogni parte del mondo, che invade Genova, sede del G8, allo slogan di “un mondo diverso è possibile”. Sotto la cadenza di passi decisi, la città vacilla snervando la falsa armonia di un summit che, facendo il gioco delle multinazionali, annienta i diritti dei singoli.
Un racconto scarno, minimalista, seppur traboccante di pathos, che evita i sensazionalismi non ammettendo giri di parole. Solo i fatti contano e i fatti sono proprio quelli raccolti minuziosamente negli atti giudiziari, nelle inchieste, nelle testimonianze, nei libri fuoriusciti dalla notte della tremenda “macelleria messicana”. È il 21 luglio, è passato un giorno dalla morte di Carlo, e al calar della sera, la polizia spalleggiata da carabinieri e Digos, fa irruzione nella scuola Diaz, una delle strutture adibite a dormitorio che accoglie i manifestanti. Ciò che ne esce è un quadro destabilizzante in cui niente è fuori posto, nulla affidato alla pura immaginazione perché cronaca scrupolosa degli accadimenti, una pellicola di altissimo valore cinematografico ma soprattutto civile, una rivelazione per quanto riguarda lo stesso Vicari che non si era mai spinto tanto lontano. Fitta materia creata attraverso contrasti sincopati, rallenty funzionali a riavvolgere il filo della narrazione per riprenderlo da più punti di vista, ritmi serrati. Una guerra vista coerentemente attraverso lo sguardo di chi l’ha fatta e di chi l’ha subita, nella dilatazione di spasmi di dolore che si prolungano divenendo infiniti, traducendo crudeltà gratuite che si sarebbero riscoperte poi solo a Guantànamo.
È lotta, sangue, ingiustizia è “la più grande sospensione dei diritti democratici in un paese occidentale dopo la Seconda Guerra Mondiale”, citando Amnesty International.
E tutto si ferma quando chiudi gli occhi anestetizzato dai colpi del manganello, dopo aver alzato le mani al cielo nel segno di una resa (ma da quale lotta?), sorpreso nell’attesa di un nuovo giorno per esprimere il diritto di affermare i tuoi diritti: il diritto di dissentire.
Di chi sono le colpe? Cosa c’era prima e cosa ci sarà dopo? A Vicari non interessa, vuole solo raccontare il momento, le fasi di quei giorni, il trascendere di una furia umana che ha nuovamente infangato l’integrità del nostro Governo, delle forze dell’ordine che invece di proteggere e tutelare i cittadini si sono rese fautrici di barbarie. A cosa serve, qual’è l’effetto? Forse solo a ricordarci chi siamo e cosa non dovremmo mai essere, non dimenticando, nonostante le prescrizioni processuali e provvedimenti mai presi. Tutto questo non ci viene spiegato con parole ma nella maniera più diretta possibile, facendocelo sentire come un violento pugno nello stomaco. Allo scorrere dei titoli di coda si alternano incredulità, sgomento, smarrimento perché sappiamo bene che non è fiction ma un dramma che ci portiamo dentro. Vorremmo piangere, sprofondiamo in un pesante silenzio, proprio come quando, 11 anni fa, guardammo il corpo esanime di Carlo, riverso sull’asfalto in una pozza di sangue.
Voto: * * *
Chiara Nucera