Regia: Olivier Megaton
Sceneggiatura: Norman Spinrad, Robert Conrath, Alain Berliner, Olivier Megaton
Musiche Originali: Nicolas Bigialo
Fotografia: Denis Rouden
Scenografia: Hervé Leblanc
Suono: Pascal Armant, Alexandre Widmer, François Grouslt
Montaggio : Yann Hervé
Interpreti : Jean-Marc Barr, Asia Argento, Frances Barber, Andrew Tiernan, Alexandra Negrao, Edouard Montoute, Vernon Dobtcheff, Johan Leysen, Jean-Christophe Bouvet, Carlo Brandt, François Levantal

Recensione n.1

Tratto dal romanzo di Maurice Dantec, Red Siren racconta la storia della dodicenne Alice che denuncia all’ispettrice Anita Staro (Asia Argento) un omicidio commesso dalla madre Eva ai danni della nurse, con tanto di prove documentali riportate su DVD. Anita, identificandosi con la bambina sottoposta a ogni sorta di violenza fisica e morale dalla madre, prende a cuore il caso, sfidando persino l’opposizione del proprio capo che teme il potere non solo economico di Eva. La madre infatti è una donna potente e pericolosa, perché psicotica ma anche perché gode di appoggi politici oltre che essere la titolare di un immenso patrimonio finanziario. Alice riesce a sfuggire momentaneamente alla caccia dei killer assoldati da Eva trovando temporaneo rifugio nell’auto di Hugo (Jean-Marc Barr).
E da questo punto in poi il film ricalca, come citazione dichiarata, “Léon” di Luc Besson. Hugo è infatti un killer senza scrupoli, che ha “lavorato” per Liberty Bell, un’organizzazione antifascista che ha assunto però le sembianze di una setta mediatica. Dalle cruente scene iniziali si passa al tema del viaggio di Hugo e Alice alla ricerca del padre di lei, Travis (Johan Leysen), che si è ritirato sotto falso nome in Portogallo. Poche immagini di vacanza a ridosso della costa e poi l’inferno riesploderà…
Il principale difetto del film è la sua assoluta infondatezza ontologica: perché un film così? E, soprattutto, a chi giova? Non funziona né a livello di poetica né di estetica. La trama è una sorta di medley di film precedenti mal organizzato, tanto da apparire inverosimile e inconsistente. I personaggi sono fumettistici, non esiste alcun approfondimento psicologico, rimangono del tutto oscure le motivazioni profonde che li spingono ad agire. Uno per tutti: Eva, la madre. Dal racconto del padre, all’inizio il matrimonio aveva funzionato. Poi, Eva aveva iniziato a guadagnare sempre di più e a essere attratta dal potere in sé. A quel punto aveva incominciato a filmare orge che organizzava nella propria casa. Dalle orge all’amore per la violenza, il passo era stato breve. Ma cos’è un bigino mal scritto sulle principali perversioni sessuali esistenti?
L’unica tematica, se è lecito utilizzare questo termine, è la violenza. Neppure sesso e violenza, solo violenza. Ma, anche qui, il discorso non regge. Invece di spaventare o inorridire, le scene sono talvolta così esagerate da suscitare l’ilarità del pubblico, come quando i “cattivi” sfondano con una sorta di bazooka la porta dell’hotel in cui si nascondono i “buoni”. La scena è risibile oltre che inverosimile: chi mai utilizzerebbe armi pesanti, da conflitto nella foresta amazzonica, nel corridoio di un albergo? Cercavano, forse, di non dare nell’occhio?
Ma è soprattutto la totale assenza di bellezza e gusto a decretare l’inutilità della pellicola. La regia è comica, gli attori recitano malino o malissimo, a seconda dei casi, dialoghi che devono necessariamente essere didascalici ed esplicativi, il commento musicale è pericolosamente sopra le righe. Olivier Megaton proviene dal mondo dei videoclip e lo evidenzia con questo film, un omaggio a Luc Besson, che ricorda ma che è ben lungi dall’eguagliare. Che cosa ci racconta Megaton? Nella dedica di apertura cita Huxley, sostenendo che la Terra è forse l’Inferno di qualche altro pianeta. Vola alto, ma non conoscendo la meta. E tanto meno l’estetica. Un film consigliato agli amanti del trash, sia pure involontario.

Mariella Minna

Recensione n.2

“Chi sei tu?” – “Questo non ha alcuna importanza!”
“Te lo prometto!” – “Prometto!!?? Non conosco questa parola!”
“Mi piacciono le donne che sanno tenere testa agli uomini”
“Non mi sentivo cosi’ libera da anni”
“Abbiamo individuato il vecchio capanno dove vivevano”
“Sono solo molto stanco”
“Ci sta pescando uno a uno come pesci in un barile”
“Ci sara’ piu’ sangue del previsto”
Non e’ un estratto dal “Manuale del luogo comune”, ma sono alcuni dialoghi del film di Olivier Megaton, che fa della piu’ becera banalita’ la sua fonte ispiratrice. Il cinema francese conferma una sempre piu’ pericolosa tendenza al saccheggio (da altri film, da altre storie, da un immaginario ormai vecchio e datato) a fini sensazionalistici. Una “grandeur” che si ferma al perimetro del cinema e dimostra abilita’ tecnica ma non sostanza. La truce storia mescola thriller (una bambina braccata da psicopatici), strane coppie (il duro dal cuore di panna con la piccola in fuga), horror (la cattiva di turno che adora gli snuff-movie) e politica (solo un accenno tra il Medio Oriente e la ex-Yugoslavia per colorire la vicenda). A incollare le varie sequenze, un tappeto di esplosioni in Dolby Surround di evidente gratuita’. Il film non parte neanche male, con l’unica situazione originale: una bambina accusa la propria madre di essere una spietata assassina e non vuole saperne di tornare a casa. Lo spunto non trova pero’ nella sceneggiatura adeguati sviluppi e si riduce a una ridicola accia all’uomo in cui gli eventi si affiancano piu’ per inerzia che per l gica. Ma il regista sembra unicamente concentrato sulla resa visiva. Il gusto per la composizione dell’immagine non gli manca (la derivazionee’, tanto per cambiare, il videoclip), ma non basta filmare con perizia tecnica, montaggio serrato e musica fascinosa, esplosioni, sparatorie e massacri per fare un film. Non c’e’ traccia di un’atmosfera in cui far muovere i personaggi, ma, soprattutto, non ci sono personaggi da far muovere. I protagonisti sono infatti macchiette da avanspettacolo a psicologia zero, con caratteri scolpiti nella roccia. Le poche varianti, soprattutto nel finale a mezze tinte, risultano forzate. Sembra di muoversi tra le pagine di un fumetto, con personaggi che si chiamano “Kasinopolis” o “Eva Kristensen” e gruppi rivoluzionari come “Liberty Bells” (Sigh!), ma mancano al regista visionarieta’, ironia e piglio personale. Il rimescolo di “Leon”, “Tesis”, “Nameless” e “Nido di vespe” (gia’ a sua volta clone) produce infatti un anonimo pasticcio senza anima, un contenitore vuoto. Gli interpreti sono tutti al minimo sindacale, chi completamente assente (la giovane Alexandra Negrao) e chi sprofondato nella caricatura (lamadre Frances Barber che ha la faccia e il trucco giusti, ma per Crudelia Demon). La verace e di solito stonata Asia Argento, privata da una doppiatrice a dizione perfetta del suo caciare in romanesco, pare, oltre che fuori parte, anche completamente spaesata. Il solo che si distingue nel guazzabuglio e’ Jean-Marc Barr, che perlomeno hale phisique dell’eroe solitario e malinconico. In cotanta mestizia,un’unica consolazione: la sala completamente deserta nel giorno a prezzo scontato. Per chi si accontenta.

Luca Baroncini