Scheda film
Regia: Marco Tullio Giordana
Soggetto e Sceneggiatura: Marco Tullio Giordana, Sandro Petraglia, Stefano Rulli
Fotografia: Roberto Forza
Montaggio: Francesca Calvelli
Scenografie: Giancarlo Basili
Costumi: Francesca Livia Sartori
Musiche: Franco Piersanti
Italia/Francia, 2012 – Drammatico/Storico – Durata: 130′
Cast: Valerio Mastandrea, Pierfrancesco Favino, Michela Cescon, Laura Chiatti, Fabrizio Gifuni, Luigi Lo Cascio, Giorgio Colangeli
Uscita: 30 marzo 2012
Distribuzione: 01 Distribution
“Io so. Ma non ho le prove…”
È il 1969, in Italia si sta concludendo l’autunno caldo delle manifestazioni, delle caserme e delle fabbriche in rivolta. Ad un paio d’anni dal colpo di stato in Grecia ed in un clima ad un passo dalla guerra civile, nei mesi precedenti sono già scoppiate bombe, messe dai gruppi di estrema destra, ma finite su conto della sinistra e degli anarchici. Il 12 dicembre, alle ore 16.37 un potentissimo ordigno (forse due, come illustrerà poi il film) deflagra nella sede milanese della Banca Nazionale dell’Agricoltura in piazza Fontana, lasciando sul campo numerosi feriti e quattordici morti, che diventeranno poi diciassette. Delle indagini si occupa il commissario Luigi Calabresi (Valerio Mastandrea) che, come tutta la questura di Milano, segue la pista anarchica ed individua tra i sospetti Pietro Valpreda (Stefano Scandaletti) ed interroga il ferroviere Giuseppe Pinelli (Pierfrancesco Favino). Si tratta però di una verità a buon mercato, basata su poche prove, mentre differenti ipotesi cominciano a delinearsi, con altri e più illustri sospetti, tracciando scenari golpisti e facendo calare sul fatto di sangue la sinistra ombra di quella che anni dopo fu identificata come “strategia della tensione” e di cui questo fu l’inizio.
Rifacendosi al titolo di uno “Scritto corsaro” di Pier Paolo Pasolini, in cui lo scrittore friulano affermava di sapere, tra l’altro, i mandanti della strage, ma di non averne le prove, e strutturato in capitoli, come appunto un romanzo, il film di Marco Tullio Giordana dopo quarantadue anni – non è mai troppo tardi! – si occupa di una delle ferite più laceranti della nostra storia recente, soprattutto perché fu il primo episodio di quindici anni di terrorismo che violentarono il paese.
Ricostruendo fatti complessissimi in poco più di due ore, con un enorme numero di personaggi che fa molta attenzione a non farci perdere di vista, attraverso veloci sottolineature, il regista cerca di rimanere il più obiettivo possibile per quasi tutta la durata, per poi sfoderare la sua ipotesi nel prefinale, nel dialogo tra Calabresi e D’Amato (Giorgio Colangeli), prendendola in prestito dal libro ispiratore “Il segreto di Piazza Fontana” di Paolo Cucchiarelli, che presenta la possibilità di due bombe ed accenna all’inizio della strategia della tensione, ma lasciandola anche passare per una specie di sogno del commissario. Il film viene pubblicizzato con la frase di lancio “La verità esiste”, verità che, ben sappiamo, non può certo risiedere in un film, soprattutto per un fatto come questo. Ma Giordana cerca almeno di dare la sua versione, in particolare per le giovani generazioni o per chi, come chi scrive, all’epoca non era ancora nato. E cerca anche di insistere sull’umanità dei personaggi della vicenda, descrivendo le personalità di Calabresi e Pinelli, mostrandoli anche nelle rispettive case ed in confidenza tra di loro (provando così ad allontanare dopo anni il pesante sospetto della responsabilità del commissario nella morte dell’anarchico), come nella bellissima scena in cui si scambiano due libri nel negozio del tanto sospettato e nominato Feltrinelli. E da piazza Fontana traccia un sottile filo, che continua a srotolare nelle didascalie finali e che condurrà almeno fino a dieci anni dopo, con il sequestro e l’omicidio di quell’Aldo Moro (Fabrizio Gifuni), qua fortemente profetico (forse troppo) e dolente, facendo scorgere lo scheletro di trame che hanno costantemente minacciato la democrazia nel nostro paese.
E riesce nell’impresa anche grazie alla coralità di un cast magnifico, che riunisce il meglio del nostro cinema – impossibile citarli tutti – come in quei rari film politici che si giravano proprio negli anni raccontati, quando si fondavano all’uopo cooperative che duravano lo spazio di un mattino, ma che hanno certo aiutato a sopravvivere in quel clima di odio, di sospetto e di complotto.
Voto: * * *½
Paolo Dallimonti
A Milano, venerdì 12 dicembre del 1969…
A Milano, venerdì 12 dicembre del 1969 alle ore 16.37, a poche centinaia di metri da Piazza del Duomo, nella vicina Piazza Fontana, un ordigno esplode distruggendo la Banca Nazionale dell’Agricoltura, affollata da persone dedite alle ultime operazioni bancarie in previsione delle feste imminenti. Luigi Calabresi commissario della questura di Milano, destinato all’indagine, batte immediatamente la pista anarchica che lo porterà al circolo ponte della Ghisolfa gestito dal ferroviere Giuseppe Pinelli….
La strage di Piazza Fontana rivista ricollocando ogni tassello al proprio posto a iniziare dalla progettazione della strage per concludersi con l’omicidio calabresi il tutto intervallandolo con il suicidio – omicidio di Giuseppe Pinelli. La pellicola è liberamente ispirata al romanzo di Paolo Cucchiarelli cui Giordana aggiunge una prova di documentazione durata per ben otto anni. Assieme a lui ancora una volta i fidati Petraglia e Rulli con i quali il regista, originario di Milano, ha firmato nel 2003 La Meglio Gioventù ricavando però questa volta una ricostruzione storicamente perfetta della fine dei ’60, ricostruzione permessa anche da un gruppo di attori, fra i migliori presenti sul panorama nazionale, capaci di dare una marcia in più a una pellicola che fa rimanere incollati alla poltrona, grazie anche alle doti trasformistiche di tutti i presenti, su tutti l’anarchico Pinelli interpretato da un Favino che si è completamente dimenticato del suo spiccato accento romano, divenendo un proletario milanese, e Fabrizio Gifuni nel non facile ruolo di Aldo Moro cui dona la medesima compassata lentezza e un accento pugliese appena accennato. Un’opera coraggiosa che ricostruisce, ma senza giudicare, che permette di riscoprire, ma senza aggiungere intrecci inspiegabili. Un’opera che, per quanto osteggiata dai parenti delle vittime, non ultimo il giornalista Mario Calabresi, figlio del commissario Luigi, riesce a riportare a galla una delle prime pagine difficili della nostra penisola.
Voto: * * * *
Ciro Andreotti