Scheda film
Regia: Carlo Carlei
Soggetto: Tratto dall’omonima pièce teatrale di William Shakespeare
Sceneggiatura: Julian Fellows
Fotografia: David Tattersall
Art direction: Gianpaolo Rifino e Armando Savoia
Set decoration: Maurizio Leonardi e Christian Onori
Costume Design: Carlo Poggioli
Musiche: Abel Korzeniowky
GB/Italia/Svizzera, 2013 – Drammatico – Durata: 118′
Cast: Douglas Booth, Hailee Steinfeld, Ed Westwick, Christian Cooke, Paul Giamatti, Kodi Smit-Mcphee, Lesley Manville, Tomas Arana, Laura Morante, Damian Lewis, Natascha McElhone, Tom Wisdom, Stellan Skarsgård, Leon Vitali, Nathalie Rapti Gomez, Anton Alexander
Uscita: 12 febbraio 2015
Distribuzione: Good Films
Carlo Carlei, prodotto dalla Swarovski, ricopre di strass la sceneggiatura mummificata di Julian Fellows
Carlo Carlei resuscita con una produzione targata Swarovski, e tutti si chiedono, l’arrembaggio dei cristalli al cinema?
Merchandising o (non) merchandising, questo il problema. Camuffare tra broccati, gioielli, dolly e altri “bamboleggiamenti” televisivi una pellicola tratta a forza da noti impeti letterari e fare product placement. Non è più un dubbio amletico, bensì la prassi necessaria (?) di gran parte del cinema contemporaneao che nuota zavorrato ma vegeto nel cosiddetto “mainstream”. Ogni titolo deve “vendersi” certo, ma anche vendere: brand, nomi, industrie, altri titoli. E in questo percorso obbligato per evitare la nicchia indie o la vera clandestinità, ogni film baratta la propria possibile essenza, trasformando spesso le potenzialità artistiche in assenza, e votandosi alla cartellonistica pubblicitaria più smaccata. Tuttavia, la domanda fondante nel caso del film diretto da Carlei, sin dalla presentazione ufficiale al Festival Internazionale del Film di Roma del 2013, resta: che ci fa Romeo and Juliet al festival, frammisto agli altri più o meno onorabili fuori concorso “impegnati”? E soprattutto cui prodest? Al redivivo regista Carlei o alla Swarovski Entertainment?
O Romeo Romeo, ancora qui Romeo? Perché Romeo, in calza maglia sospirante e leziosa sotto il nostro balcone? A chi serviva, dopo 16 anni, una nuova trasposizione del capolavoro shakespeariano? Romeo and Juliet (GB 2013). Da Julian Fellows, sceneggiatore di Gosford Park e Downton Abbey, un plot pedissequo e annichilito, che non entra in circolo neppure nei sospiri di morte ingiusta. Cast superbo e zigomi ben illuminati, una manciata di pose fisse, ralenties al limite della parodia soffusa, qualche carrello che ri-accelera per destare dal coma vigile la platea, tessuti lussureggianti e borghi in realistica carta pesta delux per onorare l’originale abusato. Il pathos simbolico di un amore classico, purissimo, contrastato da pregiudizi sociali, le pretestuose faide politiche, i velleitarismi tradizionali infilzati dalla spada elastica del Bardo. Svaniti. Nella bruma di un’alba sbadigliante e di un montaggio televisivo che inghiotte i protagonisti e la pazienza degli spettatori imboccati da un’operazione inutile, sterile, viziata.
Nessuna rivisitazione musicale cyberpunk questa volta, nessuna piratesca deviazione, nessuna coreografia estetica che apra mutevoli interpretazioni, nessun vezzo registico post moderno che disincanti, nessuna pretesa attualizzante. La poesia dei versi sciolta nel candore british di una comedy sciatta, che non entra nella pelle. Né con gli ammiccamenti reiterati dell’altrove brava e accuratissima Juliet/Hailee Steinfeld (l’adolescente prodigiosa nominata all’Oscar per Il Grinta dei fratelli Coen); né con il nudo mezzo busto del palestrato ma ancora efebico Romeo di turno (il dickensiano Douglas Booth). Né con il sacrificio baldanzoso di un mono-espressivo Mercuzio, né con le smorfie di sfida del macho Tebaldo. Né con le battute argute del buon frate Giamatti che fornisce consigli saggi come pure veleni poco salvifici, né con il mento provocante e i tempi freddi e rabbiosi del bel Damian Lewis (Capuleti senior).
O mani, o meglio occhi pellegrini, pellegrinate altrove, la balconata è troppo inflazionata.
Voto: 4
Sarah Panatta