Scheda film

Regia: Nikolaj Arcel
Soggetto: Bodil Steensen-Leth dal romanzo “Prinsesse af blodet”
Sceneggiatura: Nikolaj Arcel, Rasmus Heisterberg
Fotografia: Rasmus Videbaek
Montaggio: Mikkel E.G. Nielsen, Kasper Leick
Scenografia: Niels Sejer
Costumi: Manon Rasmussen
Musiche: Gabriel Yared, Cyrille Aufort
Danimarca/Svezia/Repubblica Ceca, 2013 – Drammatico – Durata: 137′
Cast: Mads Mikkelsen, Mikkel Følsgaard, Alicia Vikander, Trine Dyrholm, David Dencik, Thomas Gabrielsson, Cyron Melville, Bent Mejding, Harriet Walter
Uscita: 29 agosto 2013
Distribuzione: Academy2

Sale: 31

A Royal Affair del danese Nikolaj Arcel si svincola celermente dalle artificiose dinamiche del melodramma in costume, per mettere in scena, con l’accattivante pretesto di dipingere un eterogeneo triangolo affettivo e sentimentale, uno scontro di ideologie: quello tra gli ideali dell’ Illuminismo, che si affermarono in Europa nella seconda metà del XVIII secolo, e le lugubri forze della reazione. Tratto da un romanzo di Bodil Steensen-Leth, basato su eventi che ebbero luogo tra il 1766 e il 1772, ben prima della Rivoluzione francese, il film ricostruisce il periodo storico durante il quale Johann Friedrich Struensee, un medico tedesco figlio di un pastore protestante, assunse di fatto il ruolo di reggente del regno di Danimarca, con l’avallo del re Cristiano VII. Un lasso di tempo di 16 mesi, in cui Struensee promulgò una serie di leggi all’epoca considerate sovversive, quali l’abolizione della censura, della tortura e del commercio degli schiavi nelle colonie, l’accesso libero all’università, la costruzione di orfanotrofi e l’imposizione di tasse fondiarie alla classe nobiliare.
Ispirato dalle idee rivoluzionarie di Rousseau, Diderot, D’Holbach e Montesquieu, Struensee rimase però vittima del proprio idealistico zelo riformatore, destino comune a tutti i precursori. Il suo materialismo e il suo ateismo gli attirarono l’odio della Chiesa, le incessanti riforme gli guadagnarono l’avversione dei nobili, il fatto di essere uno straniero e la chiaccherata relazione adulterina con la Regina gli procurarono il disprezzo del popolo e gli strali astiosi dei libellisti. La matrigna di Cristiano, Juliana Maria, con l’appoggio della Chiesa, dell’esercito e della nobiltà, lo rovesciò con un colpo di stato e lo fece decapitare e squartare sulla pubblica piazza. L’”Affair”, come si vede, è dunque più politico che sentimentale, anche nei momenti in cui le due cose si intrecciano più strettamente.
La vicenda è narrata in flashback dalla regina Caroline Matilda, di cui il film assume il punto di vista. Figlia del principe di Galles, Caroline fu costretta a sposare il cugino Cristiano attraverso un matrimonio combinato. Il Re danese era però debole di mente, soggetto a improvvisi scatti d’ira e manipolato dal Consiglio dei Ministri, che lo considerava al massimo un utile idiota; inoltre detestava Caroline, cui preferiva la compagnia dei suoi cani e delle prostitute dei bordelli di Copenhagen. Dei nobili esiliati proposero Johann Struensee come medico di Corte, e il dottore, anonimo pamphlettista, libertino e “libero pensatore”, si guadagnò subito la simpatia e l’affetto del Re, di cui divenne il medico personale. In seguito Strensuee, che condivise con la Regina la fede negli ideali dell’Illuminismo, divenne il suo amante all’insaputa di Cristiano, il quale ebbe tanta fiducia in lui da sciogliere il Consiglio e conferirgli pieni poteri nella gestione degli affari di stato.
Nikolaj Arcel sostiene questa complessa intelaiatura sulle spalle dei suoi tre protagonisti, tre “outsider” estranei al proprio tempo e destinati a soccombere come tutti gli outsider, ma non prima di aver squarciato le tenebre dell’ignoranza e dell’asservimento con una fulgida vampata, che in questo caso corrispose con quella dell’”Ấge des lumières”. Struensee fu un visionario in anticipo sui tempi, un utopista lacerato tra l’affetto sincero che provava per Cristiano, l’amore per Caroline e l’imperativo di riformare una società oscurantista; Cristiano fu un re che si ribellò al proprio ruolo trovando rifugio nella malattia mentale, completamente soggiogato da Struensee, nei cui confronti ebbe un atteggiamento ambivalente; Caroline trovò nel medico un antidoto all’infelicità che il matrimonio le aveva procurato, ma fu costretta ad allontanarsi da lui quando scoprì di aspettare un figlio. Tre irregolari che furono una bomba a orologeria nel cuore della rigida monarchia danese. La determinazione suicida di Struensee, la follia di Cristiano, la sfida alle convenzioni lanciata da Caroline, che non si preoccupò di tenere segreta la sua relazione e destò scandalo indossando abiti maschili, costituirono una provocazione che non potè essere ignorata.
Grazie al distanziamento emotivo perseguito tenacemente dal regista, come si è detto, l’intreccio tra i tumultuosi accadimenti storici e i turbamenti del cuore e dello spirito, risulta fluido e conseguenziale. L’abbassamento della temperatura emozionale è ottenuto potenziando la distanza dagli eventi rappresentati, sia attraverso il naturale distacco temporale, che mediante il meccanismo del flashback, attraverso il quale si ricompone la memoria di una Caroline in esilio.
Inarrivabile come sempre l’interpretazione di Mads Mikkelsen, uno Struensee impositivo ma roso dai dubbi, e prova straordinaria di Mikkel Følsgaard, premiato alla Berlinale 2012 come Miglior Attore, nel ruolo del tormentato Cristiano VII; più opaca, invece, Alicia Vikander nella parte di Caroline. Prodotto da Zentropa e candidato sia agli Oscar 2012 che ai Golden Globe, A Royal Affair può vantare al suo attivo anche la luminosa fotografia di Rasmus Videbaek, il quale si è ispirato alla pittura settecentesca prima dell’alluvione Romantica, in particolare a Thomas Gainsborough. Ci rammenta inoltre nella chiusa finale che, pure se Struensee muore per troppa coerenza, il popolo è sempre pronto ad additare come capro espiatorio il bersaglio designato dal potere. 

Voto: 7

Nicola Picchi

 #IMG#Amore, follia e morte

Basta sfogliare i libri di storia, anche quelli impalpabilmente virtuali oggi a disposizione, per scoprire la storia di Re Christian VII di Danimarca, della sua sposa Caroline Mathilde, sorella di Giorgio III, e del medico di corte Johann Friedrich Struensee, che ebbe un ruolo rilevante nella gestione della politica e nel menage affettivo-famigliare. Basta poco per sapere che il sovrano era folle o almeno mentalmente instabile e quindi facilmente incline a cadere in balia di chiunque bramasse il potere, fossero la sua matrigna Juliane Marie, il consigliere Ove Hǿegh-Guldberg o il suo medico preferito; che la consorte fosse insoddisfatta e perciò pronta a scivolare tra le braccia di chiunque l’avesse insidiata; che il dottore tedesco fosse un illuminista, autore di scritti proibiti e deciso a trasformare, appena ne ebbe l’occasione, un paese oscurantista in uno progressista. Serve ancora meno per rendersi conto del modo in cui andarono le cose: di come nacque la passione tra la sovrana e Johann e di come quest’ultimo finì male, decapitato e perfino squartato sulla pubblica piazza, in nome di una veloce ed autoritaria restaurazione.
Un vero e proprio “Royal Affair”, andato in scena nella seconda meta del XVIII secolo, dove Affair ha il doppio senso di “affare di stato” come anche di relazione sentimentale, al quale si potrebbe aggiungere quanto curiosamente in italiano la parola “reale”, traduzione letterale di “Royal”, abbia il duplice significato di “vero”, storicamente, e di legato alla corona.
Un triangolo sentimentale tra amore, follia e morte, elementi incarnati rispettivamente da Caroline Mathilde, da Christian e da Johann, sui quali si tendono le agghiaccianti trame del potere, che non fa sconti a nessuno.
Il regista Nikolaj Arcel mette in scena un sontuoso dramma in costume, aiutato dalla fotografia quasi sempre in interni di Rasmus Videbæk, che alterna la luce filtrata dalle finestre ai fiochi lumi dell’epoca, dalla certosina ricostruzione scenografica di Niels Sejer e dagli abiti perfetti di Manon Rasmussen, ma soprattutto dalle interpretazioni del terzetto di attori protagonisti: Mikkel Boe Følsgaard dona alla follia di re Christian tratti fanciulleschi e la perfetta definizione di un animo assolutamente imperfetto, rendendocelo a tratti degno di compassione ed a tratti inquietante; la bellissima Alicia Vikander regala alla sua Caroline Mathilde la fragilità ed al tempo stesso la determinazione di una donna certamente avanti rispetto ai tempi in cui visse; l’affascinante ed ormai famosissimo Mads Mikkelsen offre al suo dr. Struensee le armi del seduttore, non malefico, bensì spinto dai propri ideali illuministi e votato perciò a cercare di lasciare questo mondo migliore di come l’avesse trovato.
L’attualità e l’universalità di Royal affair risiede proprio nel mostrare come, allora e sempre, il potere (e la brama di esso) si insinui come un cancro anche in quelli che potrebbero essere gli affetti più puri, lacerandoli dall’esterno ed incancrenendoli fino alla morte, senza rispetto per niente né nessuno. Così Struensee, spinto a corte dal nobile decaduto Rantzau, viene poi insidiato e deposto dal diabolico duo composto da Juliane Marie e Guldberg che indurrà il conte in disgrazia a tradirlo, mentre il proprio regno alle spalle del sovrano, ridotto da tutti a mero fantoccio, lo proverà profondamente, senza però minarlo fino in fondo, lasciandogli intatto il suo animo nobile, pur conducendolo al patibolo; nessuno infine si curerà di Caroline Mathilde, alla quale strapperanno senza ritegno il suo vero amore ed i figli, ma che, dopo la propria morte, cercherà vendetta e giustizia per via epistolare presso questi ultimi.
Arcel è molto abile, oltre che nella costruzione di un racconto avvincente ed appassionante, più di qualsiasi narratore romantico, nel cogliere le sfumature, come ad esempio nella scena in cui scocca la scintilla amorosa tra i due amanti, sottolineando la banalità del colpo di fulmine con una ripresa in ralenti che va inaspettatamente ad incastonarsi nel caotico ballo di corte, ballo nel quale quasi tutti portano simbolicamente delle maschere, ulteriore indice della doppiezza che regnava a corte.
Royal affair, narrato in prima persona dalla protagonista femminile che sta redigendo un memoriale per i figli Frederik, avuto da Christian, prossimo illuminato regnante, e Louise Augusta, avuta invece da Johann, potrebbe essere rapidamente liquidato da occhi miopi come un banale dramma televisivo. È invece tutt’altro: un ricco ed affascinante spettacolo in cui viene raccontato un amore che cercò in tutti i modi di sopravvivere all’arroganza del potere più bieco, nel mondo pre-illuminista dominato dalla follia e dalla morte.
Ultima, dolente nota per il doppiaggio italiano che, pur ben condotto, ha inasprito inspiegabilmente ed ingiustamente la pronuncia del cognome Struensee – ascoltate l’originale per la controprova – inasprendone la “u” e la “esse” altrimenti dolci, con un effetto comico involontario ed assolutamente non richiesto. 

Voto: 8

Paolo Dallimonti