Oscar 2005 per il miglior corto di animazione, Ryan di Chris Landreth ha sbaragliato i concorrenti nei diversi festival internazionali, presentandosi come un vero e proprio esperimento nei linguaggi cinematografici e della computer grafica.
Non a caso la pellicola è incentrata sulla vita, complessa ma innovativa, di Ryan Larkin uno dei più promettenti giovani artisti della scena canadese degli anni ’60, ora afflitto da gravi problemi di alcolismo che lo hanno condannato a una vita nomade nelle strade di Montreal.
Il corto è un perfetto ibrido tra un film d’animazione e un documentario che attraverso una ipotetica intervista con Ryan e le persone che lo hanno conosciuto, cerca di ripercorrere la discesa verso l’inferno dell’artista.
Fin qui, vi starete chiedendo, cose c’è di strano in questa pellicola? Bhe!!! Vi basti sapere che tutti i protagonisti del film sono stati creati con la computer grafica che ha prodotto delle vere e proprie figure ibride che si scompongono, come molecole all’aria, per manifestare il disagio e il contrasto psicologico dei personaggi esprimendo ciò che lo stesso regista ha definito “realismo psicologico”.
Un opera lodevole che non solo si pone come uno strumento interessante per scoprire il mondo della computer grafica canadese ma soprattutto per vedere da vicino quanto il cinema sia un filtro della società in cui si inserisce, una società sempre più tecnologica anche nei sentimenti.
Valentina Castellani