Scheda film
Regia: Paolo Genovese
Soggetto e sceneggiatura: Paolo Genovese, Gualtiero Rosella e Pietro Calderoni
Fotografia: Fabrizio Lucci
Montaggio: Consuelo Catucci
Scenografia: Chiara Balducci
Costumi: Alessandro Lai
Musiche: Maurizio Filardo
Italia, 2015 – Commedia – Durata: 119’
Cast: Liz Solari, Raoul Bova, Pietro Sermonti, Giulia Nichelini, Emilio Solfrizzi, Sergio Rubini, Neri Marcorè, Sabrina Impacciatore, Nino Frassica, Dino Abbrescia, Paolo Sassanelli
Uscita: 22 gennaio 2015
Distribuzione: 01 Distribution
Dalle stelle alle stalle
Per la sua nuova fatica dietro la macchina da presa dopo Tutta colpa di Freud, Paolo Genovese sceglie di prendere alla lettera il celeberrimo detto popolare “dalle stelle alle stalle”, portando nelle sale l’ennesima commedia che gravita intorno ai dualismi nord-sud, città-campagna, modernità-tradizione. Dualismi, questi, con i quali la cinematografia nostrana si confronta dalla notte dei tempi e dai quali non riesce a staccarsi, molto probabilmente perché nel Paese dove viviamo simili antitesi sono stampate nel dna socio-economico-culturale. Il tutto non può di conseguenza che andare a riflettersi in espressioni artistiche come il cinema, a maggior ragione se si tratta di commedie destinate a platee su larga scala. E così, dopo una serie di tentativi più o meno recenti che hanno dato buoni frutti (Benvenuti al Sud e La nostra terra), ci troviamo a fare i conti con un’opera che racchiude in sé il seme della mediocrità.
In Sei mai stata sulla luna? siamo al seguito dello snob di turno, in questo caso una lei con la puzza sotto il naso, tale Guia, trentenne elegante e sofisticata stylist in carriera, dipendente di una prestigiosa rivista internazionale di moda, che suo malgrado viene catapultata in un sperduto paesino della Puglia (nel salentino) per raccogliere in eredità una masseria. Lì si imbatterà nella fauna locale, in un cugino autistico e soprattutto in Renzo, un affascinante contadino per di più vedovo e con figlio a carico che le farà capire che l’unica cosa che le manca è l’amore, quello vero. Ma sempre a proposito di detti popolari “non è tutto oro ciò che luccica” e per questo prendiamo in prestito un motto del Giulio Verme di Italiano Medio: “per trovare l’oro bisogna mettere le mani nella merda”; e di letame nelle stalle della masseria ce n’è in abbondanza. Così dalle passerelle della moda milanese e parigina, locali di lusso, spider e jet privati, la protagonista se la dovrà vedere con le non poche difficoltà burocratiche e prima di tutto umane legate al posto, perché dietro quelle stesse difficoltà si cela qualcosa di più, ossia un bisogno di riconoscere una parte di sé che a lungo si è cercato di seppellire.
Il risultato è neanche a dirlo un nuovo percorso personale di riscoperta della propria identità più o meno negata o volutamente dimenticata, che porta una persona a rivedere posizioni, idee e pregiudizi nei confronti di questo o quello, come accadrà a Guia e come è accaduto prima di lei ai protagonisti di Benvenuti al Sud e La nostra terra. Dunque, niente di nuovo sul fronte drammaturgico, ma ancora peggio nessuno spunto personale per dare, a una tipologia di plot ormai logoro, altri motivi di interesse che non siano quelli della risata a buon mercato o il mostrare a chi non le conoscesse le bellezze e le tradizioni del folklore meridionale, in particolare della Puglia, quest’ultima terra dove i produttori nostrani sembrano avere trovato l’oro grazie all’Apulia Film Commission. Il problema grande è che si ride a singhiozzo e la Puglia è diventata la Terra Promessa, mostrata dal cinema italiano in lungo e in largo (in arrivo nei prossimi mesi una valanga di pellicole).
Da parte sua, Genovese continua a insistere sulla coralità che, se nel dittico di Immaturi aveva funzionato grazie alle intuizioni di scrittura e al buon disegno dei singoli personaggi, qui genera un cortocircuito drammaturgico che fa crollare l’intera architettura del racconto. Lo script è il risultato di uno squilibrio delle one line e di un macchinoso, quanto ingarbugliato, sviluppo della vicenda. Si assiste a un’evidente spaccatura in due macroblocchi narrativi (la storia d’amore tra Guia e Renzo da una parte, le vicissitudini di Guia nel suo paese di origine) che non riescono a coesistere, con una costellazione di sottotracce (la ricerca dell’amore perfetto di Mara, il tentativo di dimenticare di Carola, il dualismo gastronomico tra Felice e Delfo, la ricerca d’affetto di Pino e via dicendo) a destabilizzare ulteriormente i già instabili equilibri.
Voto: 4
Francesco Del Grosso