Scheda film
Titolo originale: Selma
Regia: Ava DuVernay

Sceneggiatura: Paul Webb
Fotografia: Bradford Young
Montaggio: Spencer Averick
Scenografie: Mark Friedberg
Costumi: Ruth E. Carter
Musiche: Jason Moran
Gran Bretagna/USA, 2014 – Drammatico – Durata: 127′
Cast: David Oyelowo, Tom Wilkinson, Cuba Gooding Jr., Alessandro Nivola, Carmen Ejogo, Lorraine Toussaint, Tim Roth, Oprah Winfrey, Tessa Thompson, Giovanni Ribisi.
Uscita: 12 Febbraio 2015
Distribuzione: Notorius Pictures

Passo dopo passo
La prima cosa da fare per avvicinarsi nel migliore dei modi alla visione di un film come Selma è quello di sgomberare il più presto possibile dalla mente l’idea di trovarsi al cospetto di un classico biopic. In caso contrario ci saremmo confrontati con la prima biografia cinematografica dedicata a Martin Luther King Jr., ma quella che Ava DuVernay ha trasferito sul grande schermo, grazie alla sceneggiatura di Paul Webb, non può e non deve essere considerata tale. Il perché è facilmente intuibile sin dalla lettura del plot che focalizza il baricentro drammaturgico sulla storica marcia nel cuore dell’Alabama, da Selma a Montgomery, che il reverendo di Atlanta fece nella primavera del 1965 alla testa di un “esercito” di manifestanti pacifisti, con l’obiettivo di ottenere l’imprescindibile diritto al voto per tutti i cittadini di colore.

In tal senso, il titolo è già di per sé una dichiarazione d’intenti per un’opera che racconta solo un frammento importante dell’esistenza di MLK, passando attraverso uno script che circoscrive il racconto a un arco temporale di un anno scarso, che va dalla consegna del Nobel per la pace nel 1964 al discorso tenuto nei mesi successivi davanti al Campidoglio di Montgomery. Dunque, anche se la componente biografica è presente in maniera piuttosto evidente, tuttavia il definire Selma un biopic al 100% ci sembra troppo affrettato e approssimativo, così come accaduto in precedenza con un’operazione analoga come Grace di Monaco, anch’essa definita erroneamente da molti addetti ai lavori un ritratto, quando invece il regista Olivier Dahan si è limitato a romanzare un biennio (ossia il 1961-1962) della vita della celebre attrice statunitense. Raccontare una fase o una parentesi esistenziale di una persona non significa raccontarne l’intera vita. La terza prova dietro la macchina da presa della regista afroamericana, dopo i pregevoli I Will Follow e Middle of Nowhere, è più precisamente un dramma, chiamato a rievocare un episodio storico chiave del Novecento, simbolo della battaglia per i diritti civili in un’America ancora schiava ideologicamente della segregazione e delle leggi razziali.

Chiarito questo, viene però da chiedersi come mai nessuno sino a questo momento, in primis in quel di Hollywood, non abbia pensato di omaggiare con una pellicola una delle personalità più influenti della Storia contemporanea, quando ogni anno, a tutte le latitudini, vengono realizzati ritratti dedicati ai peggiori esempi di feccia umana che hanno popolato e continuano a popolare la Terra. Salvo qualche sporadica e fulminea apparizione (il tv movie Negro Go Home), infatti, MLK è inspiegabilmente una delle figure, tra quelle meritevoli di attenzioni, meno cinematograficamente documentate del passato a stelle e strisce. Il primo grande merito della DuVernay sta proprio nell’aver colmato, seppur in parte, tale mancanza con un film avvincente e di ammirevole impegno civile e robusta drammaticità. Una pellicola intensa che canalizza ma non manipola le emozioni sino ad abusarne, miracolosamente scampata a qualsiasi tentazione di agiografia, a differenza di quanto accaduto in Malcolm X o in The Butler. Lì sono state le performance sontuose di Denzel Washington e Forest Whitaker a incantare lo spettatore, alla pari di quelle offerte dietro la macchina da presa da Spike Lee e Lee Daniels, direttori d’orchestra che hanno saputo con gli strumenti a disposizione fare fronte ai limiti palesati dalle rispettive sceneggiature, piene zeppe di passaggi elegiaci, omissioni strumentali, manierismi e astuzie oratorie. In Selma, al contrario, l’agiografia cede il posto a un disegno caratteriale a tuttotondo del protagonista, nel quale trovano ampio spazio le diverse sfumature dell’essere umano, comprese le angosce, le paure e le debolezze. Sta qui il segreto del film, ossia nell’onestà di aver mostrato le diverse facce dell’uomo.

La DuVernay è come i suoi colleghi bravissima a orchestrare gli attori (due su tutti David Oyelowo nei panni di MLK e Tom Wilkinson in quelli del Presidente Johnson) e le maestranze, dando origine a un ensemble di grande eleganza formale e qualità interpretativa, che non a caso si è guadagnato una meritata candidatura come miglior film all’87esima edizione degli Oscar (oltre a una nomination per la miglior canzone andata a “Glory” di John Legend feat. Common, che si è già portata a casa un Golden Globe). Il risultato è alle volte prolisso, con cali e digressioni che vanno di pari passo con picchi drammaturgici di straordinaria potenza emotiva (il pestaggio notturno tra le vie di Selma o gli scontri con la polizia sull’Edmund Pettus Bridge). Il tutto crea un equilibrio tra ciò che funziona e ciò che non funziona.

Voto: 7 e ½

Vito Casale