Uno scrittore fallito assume l’incarico di guardiano invernale dell’Overlook Hotel, dove anni prima fu commessa una strage. Sprofonderà nella pazzia e tenterà, invano, di ripetere l’evento ai danni dei suoi familiari. Kubrick prende il romanzo omonimo di Stephen King (distribuito in Italia inizialmente col titolo Una splendida festa di morte) e ne amplia il discorso: il male è insito nella natura umana e qualsiasi relazione può essere distrutta da esso; che sia per gelosia (Lolita), per presunzione (Barry Lyndon) o per solitudine il male esiste e può prendere chiunque. E quando tutto sembra essere finito per il meglio, ecco che il Male riappare nella sua solita forma (questo è il senso dell’ultima ambigua inquadratura che ricaccia lo spettatore nell’incubo da cui era appena uscito). Un horror originalmente a luce accesa (quella degli enormi neon dell’albergo o della neve accecante) in cui l’elemento fantastico diventa corpo ed essenza reali, Shining riflette principalmente sul fatto che il Male è esistito e esisterà sempre. Tra le molte scene memorabili quella del bambino sul triciclo lungo i corridoi dell’albergo (girata per la prima volta con la steadycam, che coniuga stabilità e mobilità della ripresa) dove la tensione nasce dall’assenza di musica e dall’alternarsi del rumore che il triciclo fa sul  pavimento di legno e del silenzio quando è sul tappeto e quella, verso la fine, dell’inseguimento del figlio da parte del padre nel labirinto ghiacciato: due geniali invenzioni di Kubrick (nel libro non c’erano). Quella di Jack Nicholson (doppiato molto bene da Giannini, elogiato tramite un telegramma da Kubrick in persona) è una delle più belle interpretazioni mai viste sullo schermo, e nel 1980 non vinse l’Oscar (battuto dal De Niro di Toro scatenato, bravissimo certo ma non come Jack); ma anche la Duvall, nello stesso anno di Popeye del suo mentore Altman, è straordinaria e,  seguendo il metodo Kubrick (snervare l’attore affinché dia il suo meglio), rischiò seriamente l’esaurimento nervoso. La versione originale dura 142’ e contiene scene di dialogo stupidamente tagliate per l’Italia. La visione è da abbinare all’utilemaking of realizzato da una delle figlie di Kubrick.
RD VC