Recensione n.1

L’uomo ragno è il film più visto della storia del cinema. In Italia nel primo week end di programmazione ha incassato 6 milioni di euro.
Sì proprio così Sam Raimi, uno dei più talentuosi director americani, dopo aver rigenerato l’horror negli anni 80 (La casa), e averci regalato capolavori misconosciuti come Dark man e Soldi sporchi, si confronta con la legge del grande budget e ne esce vincitore. Spider man è forse la riproposizione più fedele di un fumetto al cinema e nello stesso tempo la pellicola meno cosapevole di appartenere al regno fumettistico. In lungometraggi precedenti come il buon Dick Tracy , o i Batman di Tim Burton, si cercava un interpretazione personale e un punto di vista autoriale, a volte supponente (Dick Tracy) che relegava la comunicazione del fumetto ai colori ipercromatici, alle maschere o al ritmo spezzato della vicenda. Raimi ha inserito le strip dell’uomo ragno nella realtà dell’odierna New York e ha generato un mondo plausibile debitore dei due ìpadri artisticiî (fumetto-cinema) nella stessa maniera. La distanza fra pagina disegnata e fotogramma si annulla. Il regista seguendo precisamente lo strip ha contagiato la pellicola con un entusiasmo adolescenziale, stordendo lo spettatore con le mirabolanti acrobazie delle scene di azione, ma anche con la sua ironia. La scena dell’incontro di catch, ha una energia che proviene dal grottesco mondo della casa.

La pellicola è suddivisa nettamente in due: una prima parte introduttiva da classico romanzo di formazione e una seconda parte spettacolare. Il cast azzeccatissimo utilizza le facce vergini dei bravi Tobey Maguire e Kirsten Dunst.. La visione del potere (ìQuesto è il mio dono, e la mia maledizioneî) è poi complessa, unita alla responsabilità, alla diversità. Raimi sembra voler rendere accessibile ai più il mondo malinconico dell’eroe suo malgrado, disegnato nel melodrammatico Dark man. Il peso della maschera è forte, il ragazzo è derubarto della propria giovinezza, dei propri affetti, in nome di un bene superiore. L’amore ritorna ad ardere se non vissuto, il melÚ prende il posto del facile lieto fine. La distanza fra la maschera e l’attore è annullata, la presa di coscienza della propria natura è anche una dura rinuncia al vivere quotidiano.
Attraverso inquadrature sghembe che ricordano i disegni Marvel, un ritmo veloce e preciso che sciorina dialoghi essenziali, il regista porta con successo a termine il suo compito, si concede di inserire personaggi complessi sia positivi che negativi ( le distanze fra i due estremi sono qui davvero minime). Tira stoccate al mondo della comuniocazione che innalza e distrugge con facilità e velocità aberrante i suoi miti. Rinuncia all’amore comune e stucchevole da blockbuster americano proponendoci un personaggio di donna vera con tutti i suoi limiti, si prende il lusso intrattenendo con le acrobazie della macchina da presa di inserire il germe della poetica d’autore nell’oliata macchina produttiva spettacolare holliwoodiana. Accontenta così lo spettro più ampio di pubblico possibile. In fondo, ad un prodotto industriale come questo, chiedere qualcosa in più di così è davvero difficile.

Paolo Bronzetti

Recensione n.2

Dopo il terribile, quanto a demenza, trailer di “Scooby-Doo”, finalmente si spengono le luci in sala e la musica fiabesca di Danny Elfman accompagna un incrocio di ragnatele su cui scorrono i titoli di testa. Sono seduto all’esterno di una fila centrale e, improvvisamente, percepisco una presenza alla mia destra, nel corridoio centrale. Mi volto e faccio quasi un salto sulla sedia: uno pseudo “Spider-man” mi sta fissando, con una sorta di retino da pesca pendente dalle mani. E’ sicuramente il maggior colpo di scena della serata, che spiega anche uno degli elementi determinanti per il successo del film: il marketing. Dietro ai centodieci milioni di dollari del primo week-end americano, si cela infatti un’invasione mediatica con pochi precedenti. La febbre per l’Uomo Ragno e’ stata preparata a dovere, creando una vera e propria urgenza di non perdere l’evento. Anche in Italia, non a caso, record per il debutto (ma il cattivo tempo ha aiutato), con incassi superiori ad ogni altro blockbuster di stagione. Certo, se dietro al luccichio di trailer, manifesti ed articoli su ogni giornale, non ci fosse un buon film, il traino del marketing esaurirebbe presto il suo effetto. Invece Sam Raimi ha fatto centro. La difficile trasposizione cinematografica di uno dei piu’ amati super-eroi della Marvel funziona e regala due ore di azione e divertimento non sacrificate totalmente agli effetti speciali. Buona parte del merito va sicuramente a Stan Lee, cratore di un personaggio umano e vulnerabile che, prima di essere morso da un ragno radioattivo, e’ il tipico timido ed introverso a disagio con l’arrogante sfacciataggine del mondo. La scoperta dei superpoteri, di cui acquisisce graduale consapevolezza, lo portera’ ad una rivincita nei confronti dell’umanita’ che non lo capisce, ma gli affetti resteranno sempre la sua personale “criptonite”. Nella prima parte (la piu’ riuscita) Sam Raimi, grazie anche ad una attenta sceneggiatura di David Koepp, racconta la nascita del super-eroe senza la fretta di mostrare tutto e subito, calando Peter Parker in un contesto per nulla immaginario. Niente stilizzazioni, ma una New York poco fumettistica e molto reale, con le casette del Queens affiancate inesorabilmente l’una all’altra ed una riconoscibile Manhattan.

Il primo volo tra i grattacieli, permette allo spettatore, grazie ai prodigi della tecnica e ad una fantasiosa regia, di volare insieme all’Uomo Ragno appesi ad una prodigiosa ragnatela organica. La seconda parte affianca all’eroe positivo il necessario alter-ego. Contrariamente alla maggior parte dei film sui supereroi, in cui il cattivo diventa il personaggio piu’ affascinante e perno del racconto (pensiamo al Joker o al Pinguin di “Batman”), il cupo e scisso Green Goblin e’ la parte meno riuscita del film. Nonostante il carisma di Willem Dafoe, infatti, la sua evoluzione negativa non convince ed appare un po’ frettolosa la sua contrapposizione a Spider-Man, come risulta tutto sommato grossolana (e troppo cartoon dato il contesto reale) la tuta verde corazzata abbinata al mascherone da Mazinga. Tra i personaggi meno riusciti anche gli zii del protagonista, forse credibili nel fumetto, ma assolutamente inconsistenti e quasi caricaturali nel film, poco verosimil anche per una puntata di “Casa Vianello”. Ma veniamo al protagonista: Tobey Maguire si rivela una scelta perfetta. Generalmente un supereroe si descrive con superlativi assoluti: il piu’ forte, il piu’ bello, il piu’ alto, mentre Tobey Maguire incarna l’icona del ragazzo qualunque, supereore piu’ per caso che per vocazione.
Inoltre e’ un bravo attore, come aveva dimostrato nel sottovalutato “Tempesta di ghiaccio”, molto espressivo nella sua apparente staticita’. La graziosa Kirsten Dunst, alias Mary Jane, ha le phisique del ruolo, ma i suoi intensi primi piani non sempre trasudano spontaneita’. Tra le scene a rischio trash, i dialoghi diurni tra l’Uomo Ragno e Mary Jane in piena Manhattan: senza le ombre della notte a proteggere il mito, ci troviamo davanti ad un tappetto in ridicola calzamaglia che parla senza nemmeno aprire la bocca. Sam Raimi si conferma dunque un registainteressante, capace di attraversare i generi cinematografici conservando uno stile inventivo e perso ale. Caratteristiche che si riscontrano anche in “Spider-Man”, dove il suo estro artigianale e’ stato sicuramente trattenuto, ma non si e’ totalmente piegato alle esigenze di battere cassa.

Luca Baroncini

Recensione n.3

Che dire di Spiderman? Come per ogni personaggio nato e affer matosi fuori dal cinema, nascono sempre grandi aspettative prima dell’uscita del film, che spesso, in modo più o meno massiccio, vengono soddisfatte con l’uso degli effetti speciali. In questi casi si richiede infatti di riprodurre sulla pellicola quel mondo fantastico che rimane intrappolato tra le statiche pagine dei fumetti e che cartoni animati o telefilm precedenti non hanno saputo rendere se non in modo obsoleto. Effetti speciali, quindi, questa è la parola d’ordine con la quale si entra in sala per Spiderman. Tuttavia all’uscita si rivelerà una parola d’ordine inaspettatamente impropria. Sì perché non è con questi che il film vuole stupire, nonostante vengano utilizzati con dovizia, bensì con una scrittura cinematografica assai più dinamica di quanto ci si potesse aspettare. In questo senso la musica viene spesso chiamata a valorizzare il tono delle scene, la cinepresa rimane stretta sul primo piano, pronta a zoomare al minimo accento narrativo, con frequenti accelerazioni e altrettanti preziosi slow-motion, mentre il montaggio segue precise direttive volte a spalmare un’alta attenzione su tutto l’arco delle due ore. In generale, l’effetto che ne viene creato è di un ritmo costante e molto elevato, ma perfettamente sostenibile, che rende interessante non solo le scene in cui l’eroe scende in campo, ma anche quelle potenzialmente noiose perché topos già largamente sfruttati, come quelle dello “sfigato” preso in giro a scuola dal “bullo” di turno.
Tutto ciò, con i tempi che corrono, rischia di essere anche una piacevole novità. Quanto all’Uomo Ragno, lo vediamo saltare tra il traffico di New York e i suoi palazzi con accelerazioni d’immagine che non si prendono troppo sul serio, mentre non ci si sofferma un gran che nel celebrarlo, puntando invece a costruire scene che motivino i risvolti successivi della trama. C’ è scarsa estasi immaginativa in questo “Ragno Umano”, un quasi nullo abbandono alla magia dell’eroe, in favore di un più razionale coinvolgimento cinematografico e una fedele aderenza ai dettagli del fumetto. Non si pretende l’epica del Signore degli Anelli o di Star Wars (che non appartiene a Spiderman), ma di certo quel fascino che aleggia per esempio nel Batman di Tim Burton e in Blade, anche se in quest’ultimo con una qualità più modesta E, sia ben chiaro, non è una questione di scenari e nemmeno di rendere l’eroe per forza infallibile.
Spiderman, anzi, è giustamente rappresentato con tutte le indecisioni e le difficoltà che lo avvicinano più a un uomo che a un mito. Questo è l’unico elemento che riesce a rendere in qualche modo la magia dell’Uomo Ragno, perché per il resto egli sembra splendere sotto il sole di New York con un alone che sa di “ordinario”, anche quando compie delle imprese colossali di salvataggio. Sam Raimi si presenta infatti come un ottimo confezionatore di scene, ma sembra molto spesso convincersi di stare rappresentando un semplice fumetto e, di conseguenza, non chiude gli occhi, non si lascia andare all’incantesimo, non osa atmosfere dal sapore più eroico per paura di cadere in chissà quale retorica o addirittura nel ridicolo. Buona allora l’organizzazione della trama, buona la tecnica cinematografica, non umilianti i dialoghi, perfetta auto-ironia e infine grande ritmo per grandi imprese. Si esce contenti, perché ci si è divertiti e perfino appassionati, ma chissà se stanotte sogneremo…

Francesco Rivelli

Recensione n.4

A quanti credono che il “fantastico” possa manifestarsi nel momento presente, fondendosi con impressioni di vita reale, non si illudano di trovare nei fotogrammi di “Spiderman”, e tantomeno nell’interpretazione di Tobey Maguire, l’incarnazione di un “super eroe”. Infatti, Peter Parker non è l’atletico, prestante laureando in Scienze prodotto dell’immaginario sociale americano, ma un esile, talvolta esilarante giovane alle prese con un mondo “tutto da scoprire”. Un mondo, una dimensione che trae azioni, cromatismi e personaggi dalla fantasia, senza alcuna intenzione di “legittimare” il fumetto, e soprattutto distante dal voler riprodurre una doppia, parallela realtà a ciò che gli uomini denotano come “presente”. Questo grado di consapevolezza diventa il punto forza del regista, Sam Raimi che cerca nello spettatore un “complice”, un fruitore cosciente in grado di condividere i propri trucchi cinematografici.

Raimi guida il suo pubblico verso un registro filmico tutt’altro che univoco: se da un lato gioca sull’esagerazione dei movimenti, attraverso l’accellerazione dei gesti di “Spiderman”, sullo sfondo di una city carica di grattacieli ed eventi shock, dando risalto agli aspetti comici di una “natura fittizia” piena di spiriti maligni, dall’altro tende ad “alludere” lo spettatore. Tessuta la “fabula cinematografica” mediante l’ausilio di effetti e mezzi tecnici, dapprima Raimi suggerisce al pubblico, ormai paralizzato sulla poltrona davanti allo schermo, di non prendere troppo sul serio la realtà virtuale che osserva, poi dona a questa “seconda dimensione in celluloide” una parziale “possibilità”. Probabilità generata dallo sceneggiatore, rettasi sulle parole del copione e sancita dai discorsi diretti degli attori non protagonisti. Infatti, il direttore del giornale trattando di fotografie scandalistiche parla del “bikini di Julia Roberts”, quando l’amato e compianto zio di Peter in precedenza, aveva ammonito il giovane nipote troppo sicuro delle proprie capacità, a non credersi una sorta di “Superman!”

Per il resto, la pellicola rappresenta una sorta di “non compiuto”, di amicizie, sentimenti e situazioni lasciate a metà: dipanate, sospese nel tempo che impiegherà Raimi a girare il prossimo episodio di Spiderman.

Zoe Martoni