Scheda film
Regia: Scott Speer
Soggetto: basato su personaggi di Duane Adler
Sceneggiatura: Amanda Brody
Fotografia: Crash (Karsten Gopinath)
Montaggio: Matt Friedman, Avi Youabian
Scenografie: Carlos Menéndez
Costumi: Rebecca Hofherr
Musiche: Aaron Zigman
USA, 2012 – Musicale – Durata: 99′
Cast: Kathryn McCormick, Ryan Guzman, Cleopatra Coleman, Misha Gabriel Hamilton, Michael ‘Xeno’ Langebeck, Stephen Boss, Claudio Pinto
Uscita: 4 ottobre 2012
Distribuzione: M2 Pictures
Facciamoci sentire!
Squadra che vince non si cambia, almeno non si dovrebbe quando i risultati hanno dato e continuano a dare ragione alle scelte via via prese da chi è responsabile in prima persona del progetto, qualsiasi esso sia. Farlo, al contrario, significa prendersi tutti i rischi del caso, compreso un possibile fallimento su più fronti. Restringendo il campo al cinema, il made in Hollywood misura da sempre il successo di un film sulla base del rapporto tra gradimento del pubblico e incasso al box office. Un brand vincente e di gran successo come quello di Step Up, giunto al quarto appuntamento con più di 500 milioni di dollari complessivi all’attivo, è infatti legato a una formula rimasta invariata nei sequel, quest’ultimi soggetti però a cambiamenti continui davanti e dietro la macchina da presa, spostamenti di location e personaggi sempre nuovi ad animare le storie di volta in volta portate sul grande schermo. A mantenere la continuità produttiva, creativa e drammaturgica, ci pensano sempre gli stessi produttori, coreografi e personaggi con relativi interpreti ricorrenti che con camei vari fanno puntualmente la loro comparsa, come nel caso di Adam G. Sevani o Mari Koda, alias Muso e Kido. A mutare, invece, sono gli scenari che nella quadrilogia ha visto transitare gli eventi da Baltimora a New York, per approdare in Step Up Revolution nell’assolata e sensuale Miami, alla pari dei due protagonisti stavolta affidati agli esordienti Kathryn McCormick e Ryan Guzman. Esordiente è anche il regista Scott Speer che, dopo una prolifica carriera nel campo dei commercials (spot e videoclip), prende il testimone da Anne Fletcher e John M. Chu.
Tradotto in parole povere non si è fatto altro che preservare l’anima e gli elementi chiave del serie, rinnovandola con ingredienti nuovi inseriti in ciascun episodio. Alla lunga ciò si sta dimostrando utile alla causa sul versante dell’originalità dei plot (personaggi, location e coreografie sempre diverse), ma allo stesso tempo un’analisi degli script evidenzia una ripetitività piuttosto evidente nella tipologia, nella struttura e nello stile del racconto, estendibile anche a cloni o analoghe pellicole apparse nelle sale prima e dopo, che con la serie di Step Up condividono una serie di elementi, vedi il genere o i generi di appartenenza e la loro commistione. In tal senso, Step Up Revolution rispecchia in tutto e per tutto la strategia impostata sin dal 2006 dai creatori, affidando ancora una volta allo schermo un dance movie colorato di rosa, che lascia ampio spazio alla dinamica amorosa tra i due protagonisti, ma anche alle argomentazioni tipiche quali l’amicizia, la rivalità, il confronto/scontro generazionale, la differenza di classe sociale, la difesa degli affetti cari, l’inseguimento dei sogni, la felicità e la delusione per non averli fatti diventare realtà. Nella pellicola diretta da Speer, il menù servito le suddette tematiche le presenta tutte, nessuna esclusa, peccato che siano messe al servizio di una carestia di idee che si estende dalla narrazione all’impianto dialogico. D’accordo far leva su cliché e schemi collaudati per soddisfare l’immaginario comune al fine di non deludere le attese dei fruitori, ma assistere alla stessa minestra, per di più riscaldata male, da sei anni a questa parte inizia a irretire.
In Step Up Revolution siamo al seguito di Emily, figlia di un attivissimo uomo d’affari, che si trasferisce a Miami con la speranza di diventare una ballerina professionista, ma si innamora di Sean, un ragazzo a capo di un gruppo di ballerini che inscena elaboratissimi flash mobs per la città. La crew, chiamata the MOB, punta a vincere un torneo di ballo che mette in palio un’opportunità di sponsor, ma il padre di Emily è interessato a comprare lo storico quartiere dove essi si esibiscono. Emily, insieme a Sean e ai MOB, deciderà di organizzare una protesta fatta di sola danza, nella quale metterà in gioco i propri sogni lottando per una buona causa.
Basta leggere la sinossi e confrontarla con quelle dei capitoli precedenti per rendersi immediatamente conto della ripetitività di una storia che insiste imperterrita nel calare i Romeo e Giulietta di turno in un contesto danzeresco hip hop, incastonando l’intreccio sentimentale tra una coreografia e l’altra, riducendo così l’amore della coppia a una mera pezza di appoggio utile solo a portare avanti la narrazione. Inutile dire a questo punto che il meglio che la pellicola riesce a esprimere è offerto dalle scene di ballo, alcune delle quali di grande impatto visivo come ad esempio quella iniziale tra il traffico di Ocean Drive, il flash mob nella galleria d’arte e quello nella hall della multinazionale, dove la stereoscopia contribuisce ad alimentare il tasso spettacolare della fruizione. A far storcere il naso da questo punto di vista è però il mancato aumento di energia e complessità nei numeri di ballo rispetto ai film precedenti, che invece di aumentare in maniera esponenziale a nostro avviso ha fatto registrare un passo indietro se si ripensa alle coreografie viste in Step Up 3D.
Voto: *½
Francesco Del Grosso
Alcuni materiali del film: