Recensione n.1

Comincia come una commedia sociale e sfocia nel thriller il film del poco prolifico regista francese Jacques Audiard. Ed occasioni per spiazzare lo spettatore, o comunque impedirgli di adagiarsi nella prevedibilità, non mancano anche nel rapporto tra i due originali protagonisti. Carla, una perfetta Emmanuelle Devos, e’ la segretaria di uno studio che vede scivolarsi le giornate addosso tra fotocopie e stress; e’ sorda e solo attraverso un apparecchio acustico riesce a connettersi con voci e suoni da cui, a volte, preferisce volontariamente straniarsi (molto efficaci, al riguardo, le soggettive sonore). Paul, a cui dà vita un Vincent Cassell attento alle sfumature del suo personaggio, ha appena scontato due anni di carcere e cerca un lavoro e una riabilitazione sociale. Come di frequente accade al cinema, l’incontro di due solitudini provoca scintille, ma a strada sarà lunga e irta di difficoltà. Il rapporto tra i due comincia infatti all’insegna del reciproco sfruttamento: Carla può sfoggiare un uomo da mostrare alle amiche e si serve dell’abilità al furto di Paul. Paul trova un letto e qualcuno che si occupi di lui e, soprattutto, una complice preziosa per i suoi piani. A legarli e’ quindi ciò che entrambi cercano di dimenticare, la parte che vorrebbero nascondere: la prigione e la sordità. La cosa che piu’ colpisce del film e’ proprio la caratterizzazione dei personaggi. Siamo spesso abituati a vedere l’handicap trattato con pietà o durezza, per sdrammatizzare o scuotere, mentre la sceneggiatura, a cui ha collaborato lo stesso Audiard, rende il personaggio di Carla assolutamente “normale”: non bello, non particolarmente simpatico, con insicurezze e ambizioni che in un lavoro impiegatizio non e’ insolito riscontrare. D’altro canto Paul non e’ il tipico ladro dal cuore d’oro: le difficoltà della vita lo hanno reso ruvido e conserva una certa sfrontatezza rispettando una sua etica di comportamento.
E’ quindi interessante come il loro incontro non sia un colpo di fulmine e non produca una immediata empatia, ma diventi occasione per ottenere qualcosa dall’altro, una sorta di rivalsa, vero e proprio bisogno primario di entrambi. Saranno il tempo e la forzata complicità a sciogliere le loro corazze. Non solo i protagonisti si trovano nel corso della narrazione a ribaltare i loro ruoli, ma tutti i personaggi, anche quelli minori, arrivano ad una svolta in cui chi aveva il potere lo perde, chi sembrava innocuo si rivela un omicida, chi era ricco perde tutto. Peccato che la virata thriller, pur se ben orchestrata, trasformi i protagonisti in invincibili eroi, privandoli di quella normalità che permetteva coinvolgimento e immedesimazione. Tutta la parte finale, infatti, procede meccanicamente verso una soluzione alquanto improbabile in cui il “genere” prende il sopravvento. Una scelta dettata forse dalla volontà del regista di andare incontro alle presunte esigenze del pubblico che, però, appesantisce la narrazione ridimensionando l’originalità dell’interessante spunto iniziale.

Luca Baroncini

Recensione n.2

Carla è bruttina, sfigata, mezza sorda e i superiori in ufficio la trattano come una pezza da piedi (ma non le manca l’ambizione, tutt’altro). Paul è appena uscito di galera e non vuole saperne di darsi una regolata, anche perchè deve un sacco di soldi a un oscuro gestore di night club. Un giorno Paul viene assegnato assistente a Carla, e di li` in poi inizia una curiosa serie di scambi di favori: Paul diventa l’angelo custode di Carla, riscuotendo i suoi crediti in maniera non sempre pulita, Carla – grazie alla sua abilita` di leggere le labbra altrui – lo salva dalla rovina e anzi, diviene sua complice in un furto che li portera` verso il Radioso Futuro.
“Sur mes levres” inizia come un film esistenziale e promette di andare avanti alla peggior maniera di Soldini; invece ad un certo punto vira verso il thriller e si conclude con una trovata parecchio ingegnosa, preparata in qualche modo proprio dalla disabilità di Carla. Il che trasforma un noioso esercizio di stile in un film quantomeno interessante.
Vincent Cassel e Emmanuelle Davos sono grandi e la sceneggiatura regge bene quasi tutta; non mi è piaciuta però la volontà continua del regista di farci percepire la tristezza di lei: inserti di masturbazione, lacrime, sguardi sospesi e via dicendo. Come non c’è bisogno della handheld camera, che invece è permanente sebbene non ossessionante come nei film Dogma. è una scelta espressiva che mi sfugge: precarietà? insicurezza? da qualche tempo a questa parte quando vedo immagini mosse mi viene il latte alle ginocchia.
Nota di merito al sonoro, che ci proietta nella testa di Carla mentre accende e spegne l’apparecchio acustico, talvolta per proteggersi dal rumore, talvolta per staccarsi da un mondo che le vuole male. Nota di demerito invece alle musiche invadenti e patetiche, e a qualche ralenti decisamente di troppo. Insomma, è un film degno (forse) di una visione ma non di piu`. Peccato.

Claudio Castellini