Paese: USA
Regia: E. Elias Merhige
Soggetto: Zak Penn
Sceneggiatura: Zak Penn, Billy Ray
Montaggio: John Gilroy Fotografia: Michael Chapman
Scenografia: Ida Random Musica: Clint Mansell
Interpreti: Aaron Eckhart (Thomas Mackelway), Carrie-Anne Moss (Fran Kulok), Ben Kingsley (Benjamin O’Ryan), Julian Reyes (Agente di polizia), Frank Collison (Piper), Kevin Chamberlin (Harold Speck)
Produzione: Gaye Hirsch, E. Elias Merhige, Paula Wagner
Distribuzione: Columbia Tristar Durata: 99 min.

L’agente FBI Thomas Mackelway viene trasferito nella sperduta Albuquerque. Appena giunto nella nuova sede si trova ad affrontare il difficile caso di una serie di violenti omicidi compiuti da una mente squilibrata che sembra conoscerlo e sfidarlo. L’inevitabile coinvolgimento nella vicenda lo porterà a una scoperta sconvolgente…
“TENTARE STRADE NUOVE NON NUOCE. MA NON BASTA”
È ancora possibile raccontare qualche cosa di nuovo in un thriller in cui il protagonista è, o sembra essere, l’ennesimo serial killer? E. Elias Merhige (già regista de “L’ombra del vampiro”) prova a cambiare la prospettiva e rincorre l’originalità, ma il risultato lascia più spaesati che convinti. Il che non sarebbe neanche un male se gli apprezzabili sforzi per esporre un punto di vista singolare non stridessero con l’ordinarietà dell’impianto narrativo e di alcune soluzioni visive. Sono soprattutto i personaggi a non godere di alcun fascino: il poliziotto dal passato burrascoso (Aaron Eckhart, in perenne sovra-eccitazione), l’ex-compagna e collega puramente esornativa (senza la tuta in latex, cucitale addosso dai fratelli Wachowski, Carrie-Anne Moss è un’anomina maschera di spigoli e occhiaie) e l’omicida seriale in delirio di semi-onnipotenza (Ben Kingsley, molto meglio lui del personaggio). Non aiutano sogni, visioni, e premonizioni, flashback ed ellissi narrative. Il copione, infatti, osa parecchio e lo scioglimento della vicenda solletica la curiosità, ma i dettagli si susseguono senza consentire allo spettatore di aderire al gioco: piombano all’improvviso, anticipati solo dal didascalico commento sonoro, e incuranti della logica. Tanti tasselli banalotti (segni sui corpi delle vittime, intuizioni immotivate, disegni rivelatori, palpebre tagliate per arrivare a citare ancora una volta “L’occhio che uccide”, un passato che inevitabilmente ritorna, una provincia americana tutt’altro che rassicurante) incapaci di fornire sufficiente mordente al quadro d’insieme. Complice una messa in scena mai casuale ma debordante, che in più di un’occasione si perde tra echi clipparoli (Merhige ha diretto alcuni video di Marylin Manson), ritmo eccessivamente lasco e scelte non particolarmente fantasiose, come il look virato, sgranato e intermittente delle troppe percezioni sensoriali che appesantiscono il racconto. Meglio la suggestione del retrogusto sull’impatto dell’immediatezza, ma di inquietudine, coinvolgimento e brividi non se ne parla. Il che, per un film che si àncora al “genere” per poi divagare senza incisività, non è certo un punto a favore!
VOTO: 5

Luca Baroncini de Gli Spietati