Una giornata lavorativa di tre venditori di lubrificanti industriali, alla ricerca del grande colpo con un cliente rinomato. Questa è la semplice trama. Il film però si sviluppa principalmente in base ai dialoghi fittissimi, continui, con soli tre personaggi in scena, che discutono di religione, di affari, di donne, della vita. E’ un diesel che pompa piano piano sempre più benzina, un accumulo viscerale di tensioni, incomprensioni, litigi, senza, prima del catartico finale, una luce che possa illuminare un quadro di pessimismo inalterabile, luce che non si trova certamente nella frase ripetuta insistentemente da Phil (Danny De Vito): “tutto finirà bene”.
Così, i tre affaristi, di cui due (Spacey e De Vito) grandi amici da tempo ed espertissimi del mestiere, e l’altro (Facinelli) novellino e puritano, trascorreranno l’intera giornata alla ricerca del Nulla che potrà cambiargli la vita, quell’essenza tanto invocata che non potrà mai essere il fiuto economico, lo stile, la vita capitalistica ossessionata dal Dio Denaro, che racchiude la sua morale nel personaggio di Phil, uomo oramai depresso dinanzi al fallimento, alla tabula rasa, di quello che egli chiama “missione”, quel qualcosa che spinge ogni uomo a vivere ancora, che lascia aperti spiragli di speranza, che non domerà mai le capacità individuali, ma che di fronte alla consapevolezza da parte umana della sua inesistenza, porta all’estrema conseguenza di una vita che scorre falsamente, che non perdona gli sbagli, che arresta il volere di ogni persona. Un rispecchiamento ridondante dell’essere umano odierno, che tolta ogni veste da piccolo borghesuccio nasconde un enorme paradosso, sfogato, per l’incapacità di eliminarlo, nell’odio verso l’Altro, nel narcisismo, nel pessimismo o nella fede evanescente, libertà soggettiva di credere per non accettare il fatto di vivere e morire qui sulla Terra senza un perchè.
Non che tutto quadri alla perfezione: Bob (Facinelli) è una figura troppo stereotipata, e infatti le sequenze più intense si raggiungono quando in scena ci sono gli altri due protagonisti; la messinscena regge bene il ritmo ma non si distacca dall’origine teatrale, influendo sulla narrazione che ne risente pesantemente, reggendosi su dialoghi brillanti e di grande impatto, ma che comunque da soli non ne fanno un capolavoro. L’esercizio virtuosistico di recitazione è anche abbastanza scontato, d’altronde per tutto il film sullo schermo ci saranno solo tre volti, perciò era indispensabile scegliere tre attori di grande carisma, come Spacey e De Vito, cosa non riuscita con Peter Facinelli, che con la sua faccia da angioletto, sicuramente adatta al suo Bob, non restituisce un’altrettanta sicurezza attoriale, surclassato dal vigore dei due mostri sacri di Hollywood. Il contesto efficace ne fa un grandissimo film, ma avrebbe potuto avere un’ulteriore qualità con dei ritocchi quà e là, e magari con delle musiche migliori.
Godibilissimo.
Andrea D’Emilio