Scheda film
Regia: Brady Corbet
Soggetto e Sceneggiatura: Brady Corbet e Mona Fastvold
Fotografia: Lol Crawley
Montaggio: Dávid Jancsó
Scenografie: Judy Becker
Costumi: Kate Forbes
Musiche: Daniel Blumberg
Suono: Szabolcs Gáspár
USA/G.B./Canada, 2024 – Drammatico – Durata: 214′
Cast:
Adrien Brody, Felicity Jones, Guy Pearce, Joe Alwyn, Raffey Cassidy, Stacy Martin, Isaach de Bankolé
Uscita in sala: 6 febbraio 2025
Distribuzione: Universal Pictures
Mai dire mausoleo!
Vita, morte (interiore) e miracoli di László Toth (Adrien Brody), visionario architetto ebreo di origini ungheresi, emigrato nell’immediato dopoguerra alla volta degli Stati Uniti d’America. Sedotto dal ricco imprenditore Harrison Van Buren (Guy Pearce) a costruire un monumentale mausoleo su una immensa collina di sua proprietà, l’uomo, insieme alla moglie Erzsébet (Felicity Jones), fatta tornare dall’Europa, anche lei sopravvissuta alla follia nazista, si troverà affrontare i momenti più alti e più bassi della propria vita e carriera…
Film monumentale, proprio come l’opera che Toth (il quale condivide il nome con l’australiano che prese a martellate la Pietà di Michelangelo nel 1972) si appresta a realizzare, fin dal formato. Il regista Brady Corbet infatti realizza una pellicola di oltre tre ore e mezza, girata in 70m e nel desueto “VistaVision”, che, come The hateful eight di Quentin Tarantino, prevede anche un intermezzo di 15 minuti conteggiati sullo schermo, con tanto di rarefatto accompagnamento musicale. Un omaggio al periodo cinematografico in cui la storia è ambientata, che va dalla fine degli anni quaranta all’inizio dei sessanta, e a titoli come Il gigante, tanto per citarne uno, e girato tra l’Italia e l’Ungheria.
L’immensa interpretazione di Adrien Brody, che qui sembra non essere mai uscito dal ruolo di Wladyslaw Szpilman di The pianist di Roman Polanski – si colga l’assonanza – regge interamente il peso, enorme, gigantesco di un film colossal(e), a tratti eccessivo.
The brutalis, ennesima critica al sogno americano, è eccessivo come il divario tra il ricco, incolto e razzista Harrison Lee Van Buren Sr. e il colto, caduto in disgrazia e umile László Toth; come alcune accelerazioni nell’ultima parte del film, imperdonabili in un’opera di quasi quattro ore di durata; come lo scandalo nel finale, troppo pretestuoso per risultare credibile.
Neanche la rediviva Felicity Jones, la cui presenza sul grande schermo si era rarefatta dopo aver saturato le produzioni anglo-statunitensi nella prima metà degli anni dieci, riesce a sorreggere un tale peso: anzi, dalla sua comparsa in scena, il film viene permeato da un senso di ridicolo involontario che lo accompagna sino alla fine.
Al pari dell’architettura di cui racconta, The brutalist, vincitore del Leone d’Argento e di altri premi collaterali all’81^ Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia, è un film massiccio che vuole farsi forte della propria possanza, ma si ferma purtroppo solo alla confezione esteriore, pur godendo di notevoli interpretazioni e dalla fotografia “antica” di Lol Crawley, mentre la materia raccontata rimane poca cosa, venendo a sua volta schiacciata da così tanta imponenza.
Voto: 6 e ½
Paolo Dallimonti