Scheda film
Regia: Ariel Vromen
Soggetto: tratto dal romanzo “The Iceman. The true story of a cold blooded killer” di Anthony Bruno e dal documentario The Iceman tapes: conversations of James Thebaut with a killer
Sceneggiatura: Morgan Land, Ariel Vromen
Montaggio: Danny Rafic
Scenografia: Nathan Amondson
Fotografia: Bobby Bukowsky
Musiche: Haim Mazar
USA, 2012 – Biografico/Thriller – Durata: 106′
Cast: Michael Shannon, Winona Ryder, James Franco, Ray Liotta, Chris Evans, David Schwimmer
Uscita: 5 febbraio 2015
Distribuzione: Barter Multimedia
“Se qualcuno vuole un morto, io non faccio domande”. Michael Shannon killer “di ghiaccio”
My son, my son, what have ye done…
Figlio orfano. Di se stesso, e del proprio passato rinnegato eppure espiato in un conto alla rovescia perenne con la propria rabbia. Figlio estraneo. Discendente di immigrazione sfruttata ed educata (d)alla violenza. Figlio di ghiaccio. Senza pentimento. Non una lacrima di disperazione trova rifugio tra le allarmate fonde pieghe del suo sguardo.
Serial killer figlio di una nazione nutrita da crimine e mazzette e stuccata da belle facciate. Family man, duplicatore di pellicole porno, quindi mercenario e sicario. Un lavoratore, colletto bianco, come tanti. Richard Kuklinski, assassino efferato e pulito, padre amorevole e protettivo, marito sacralmente devoto e omicida a contratto. Ariel Vromen, israeliano pasciuto dal ventre dell’accademia losangelina e autore di alcuni cortometraggi e del thriller Danika, tenta la svolta decisiva con il biopic pulp The iceman, in sala dal 5 febbraio.
Monumentale e discreto, ineccepibile nel ruolo di Richard Kuklinski, lo spigoloso gigante Michael Shannon. Esploso come protagonista, per il “grande” pubblico, nelle vesti wasp schizofreniche e preveggenti dell’operaio di periferia in Take shelter (USA 2011), scritto e diretto da Jeff Nichols, e nelle inamidate stoffe dello sbirro potente, doppio e laido nella serie cult Boardwalk Empire. Hollywoodianamente adibito a caratteri border line, abituato ad armeggiarsi con le ire, gli scarti e i ripiegamenti di personaggi criptici, furibondi, melliflui, ingombranti ed ambigui, Shannon è la ragione e l’essenza di un film che si limiterebbe a scansionare ed ordinare con eleganza assonnata i files di una cronaca già vista letta spulciata.
Il reclutamento mafioso, il matrimonio con la bella, ingenua e unica fanciulla mai amata, la costruzione automatica e stabile di una doppia vita insospettabile (sicario ma anche agente di cambio), la crescita di due figlie adorate, la scalata verso uno status quo sociale accettabile e rispettato, gli screzi con la cosca, il tradimento, il sodalizio con un collega psicopatico e solitario, la soffiata, l’arresto, il mancato pentimento. Tutto scandito da improvvise impercettibili fughe dalla realtà, dritte in una memoria corrosa dal desiderio di riscatto, vendetta, morte. Pazzo o savio? Semplicemente un ottimo “esecutore”, un impiegato efficiente per affari troppo sporchi per i cortili spazzati dal progresso wasp? Un mostro inglobato e ignorato dalla società? Una creatura normale, con le sue inclinazioni, i suoi timori e la sua “freddezza”?
Vromen e compagnia studiano la figura/caso clinico nazionale/vip nero. Scelgono un linguaggio classico, piano, uniforme, che incastra e incassa senza sussulti i pochi colpi di scena, e traducono il romanzo di un killer impassibile. In parte tracciando la parabola “a sangue freddo” già descritta nel libro di Anthony Bruno e in parte aspirando il carisma di Kuklinski dall’intervista che gli strappò James Thebaut. Declinare in oltre 100 minuti di scarno thriller biografico la vera storia di uno dei sicari più celebri d’America. Materia abusata, certo, ma inevitabilmente pulsante nella nazione simbolo delle contraddizioni intestine continuamente materializzate da eversioni “improvvise”, killer, stragi, attentati, scandali finanziari, sessuali, politici.
Forte del magnetismo di Shannon, Vromen non cerca affondi psicologici o volate visionarie, non vuole scarnificare membra e sinapsi dei suoi personaggi. Non vuole erigere Kuklinski a simbolo, non vuole sublimare messaggi “altri”. Infatti non cerca angoli d’ombra, non cerca linee di taglio. La materia del suo narrare resta compatta, monocorde, ovattata, appunto, pulita.
Come Kuklinski, Vromen innesta carne e voci di corpi scottanti nel camion frigo di un’operazione senza sangue.
Senza pentimento. Un lavoro, come un altro.
Voto: 6 e ½
Sarah Panatta