Recensione n.1

Gli abitanti di un’utopia futuristica, credono che sono gli unici sopravvissuti di una contaminazione globale e, che, oltre “all’Isola”, la loro residenza sotterranea, è l’ultimo luogo rimanente nella natura privo di agenti patogeni. La ripopolazione dell’Isola, viene conceduta solamente ai vincitori della lotteria che risiedono nel’utopia. Lincoln Six Echo (Ewan McGregor), aspetta da tre anni di vincere la lotteria e, nel frattempo, incomincia a mettere in questione il suo ambiente e la sua esistenza. La sua natura inquisitiva e la sua ricerca insoddisfacente delle risposte, ha allarmato il capo della Comunità, il Dott. Merrick (Sean Bean). Lincoln Six Echo e la sua amica, Jordan Two Delta (Scarlett Johansson), quindi scappano dall’utopia in cerca di risposte. Il film introduce premesse interessanti, unite da attuali temi di controversia dal punto di vista soggettivo dei protagonisti, fra cui: il trapianto embrionale della cellula formativa, l’aborto, la clonazione, ed il diritto di vivere in liberta’. L’Isola non offre una dichiarazione sulla posizione dei temi ma lascia al pubblico raggiungere le proprie conclusioni. ‘The Island’ è la prima collaborazione del direttore Michael Bay col produttore Steven Spielberg invece di Jerry Brukheimer. Invece del suo tradizionale inizio con scene d’azione, Michael Bay mostra verso la meta’ del film, il suo talento tecnico per l’uso abbondante di effetti speciali viscerali, acrobazie pericolose, ed inseguimenti vari che sono a volte implausibili ma divertenti. La fotografia fenomenale di Mauro Fiore, accoppiata con la colonna sonora ben-mescolata di Nigel Phelps, accentuano le scene d’azione. Il rendimento credibile del cast influenza le emozioni e la compassione del pubblico. Ad un certo punto, Ewan McGregor svolge il ruolo di due personaggi diversi, uno con un accento americano che lotta contro quello col accento scozzese. Starkweather (Michael Clarke Duncan) rende una prestazione commovente lottando per la sua vita mentre viene trascinato contro la sua volontà. McCord (Steve Buscemi) è un amico di fiducia di Lincoln Six Echo che gli fornisce informazioni importanti. Albert Laurent (Djimon Hounsou, che con Charlize Theron, era il primo attore Africano nominato per un Oscar) ha una presenza dominante e viene assunto per catturare Lincoln Six Echo e Jordan Two Delta. ‘The Island’ rappresenta il lavoro più significativo e ben-equilibrato del direttore Michael Bay. Il sogetto provocante ed il suspense del film e’ accoppiato con alcune scene divertenti, mantenendo vivo l’interesse del pubblico.

ESTER MOLAYEME
Los Angeles, CA

Recensione n.2

Confezione, emozioni e azione
Lincoln Six-Echo (Ewan McGregor) è un abitante di un utopica e reclusa comunità che vive verso la metà del secolo XXI. Come tutti gli abitanti della sorvegliatissima struttura, Lincoln spera di essere scelto per andare sull’Isola, l’ultimo paradiso incontaminato rimasto sulla Terra. Ma presto scopre che tutto la sua vita è una bugia. Lui e tutti gli altri abitanti della sigillata struttura sono in realtà dei cloni di esseri umani creati con l’unico scopo di provvedere organi sani per le loro controparti originali. Scoperto che ormai gli resta poco tempo prima di essere prelevato per compiere il suo scopo, Lincoln decide di fuggire insieme a Jordan Two-Delta (Scarlett Johansson) una bella ragazza che abita nella struttura. Inseguiti senza pietà dalle forze del misterioso istituto che una volta era la loro casa, Lincoln e Jordan ingaggiano una corsa contro il tempo per incontrare i loro “originali”.

Torna mister “panoramica mozzafiato”, alias Michael Bay, con un nuovo e spettacolare kolossal. Torna forte del suo eccezionale, iperbolico talento visivo (Bay è stato uno dei più premiati autori di spot) sostenuto anche questa volta dall’ennesimo budget faraonico: ben 122 milioni di dollari. “The island” è un film che unisce le spiccate doti del regista californiano per le scene d’azione con un’ambientazione fantascientifica: un crossover che pende decisamente sul versante dell’action, soprattutto nella seconda parte in cui la componente avveniristica è limitata ad alcuni gadget iper-tencologici.
Dal punto di vista tecnico “The island” conferma le qualità formali raggiunte dalle precedenti pellicole del regista (anche se non raggiunge il livello dei 40 minuti dell’attacco di “Pearl Harbor”). La fotografia è una delle qualità che hanno reso famoso il cinema di Bay: patinata come in uno spot e perfetta in ogni condizione di ripresa. La messa in scena è come al consueto prodiga di dettagli e scenari accattivanti, mentre il montaggio delle scene d’azione è il più serrato e coinvolgente che si possa chiedere.
A parte il solido background tecnico-espressivo a cui ci ha abituato Bay, ci sono almeno due novità rispetto alle precedenti prove: l’assenza dai crediti di Jerry Bruckheimer, e il tentativo di dare più spessore alla storia. L’assenza del produttore Bruckheimer che finora aveva affiancato Bay in tutte le sue imprese si traduce in un minore dispiego di mezzi. Intendiamoci, “The island” rimane una produzione coi fiocchi, ma segna un decisivo passo indietro rispetto a “Pearl Harbor” (che nonostante gli incassi da capogiro ha faticato a rientrare dei costi). Questa considerazione sommata alla mancanza di uno sceneggiatore del calibro di Randall Wallace in grado di assicurare alla pomposità delle immagini il sostegno di un respiro autenticamente epico (“Pearl Harbour”), hanno probabilmente contribuito ad accentuare i tentativi di Alex Turner, Roberto Orci e Caspian Tredwell-Owen in direzione dell’approfondimento psicologico e drammatico del racconto. Da questo punto di vista tuttavia il film di Bay non convince fino in fondo. Da una parte, emerge il tentativo di dotare la storia di uno spessore drammatico: l’alienazione del contesto iniziale rimanda direttamente a pellicole come “L’uomo che fuggi dal futuro” e “The Truman show”, dall’altra, il tono del racconto rimane in bilico tra l’ironico e il drammatico contribuendo non poco a compromettere l’atmosfera.

Bay dimostra di essere molto più a suo agio quando il racconto volge in direzione dell’action movie. Tutta la seconda parte della pellicola è ricca di inseguimenti catastrofici, riprese aeree e ritmo da cardiopalmo. In questo contesto narrativo quello che conta è inchiodare lo spettatore alla poltrona, e il regista losangelino è un mago nello sfruttare lo spazio per imprimere alle immagini incessanti accelerazioni. È qui che può dare libero sfogo alla sua capacità di sfruttare la panoramica per caricare il racconto di pathos e trasformare l’esperienza visiva in un folle viaggio sulle montagne russe delle emozioni. Negli ultimi venti minuti il ritmo torna a calare, l’attenzione si focalizza sul racconto e anche le invenzioni visive lasciano il posto allo scioglimento della vicenda (prima di una splendida scena finale).
In questo genere di pellicole sono assicurati gli effetti speciali, e anche “The island” non è da meno. La computer grafica rende più spettacolari scenari e inseguimenti. Messi da parte ovviamente tutti gli effetti speciali gore, rimangono tuttavia un paio di scene che faranno sobbalzare sulla sedia (quella iniziale dell’incubo acquatico in particolare). Il talento di Bay nel coinvolgere gli spettatori non si discute, le emozioni sono assicurate, il ritmo rimane buono per almeno due terzi del film, e anche se la storia non è delle più incisive, è un film che si lascia guardare. VOTO: 6 ½

Massimiliano Troni (vedi http://xoomer.virgilio.it/profondocinema/)

Recensione n.3

La trama bieca e futuristica poteva portare a qualcosa di imperdibile ed affascinante, ma l’aggettivo che riassumerebbe l’intera pellicola è: rintronante. Stucchevoli e perfettamente inquadrati nelle scenografie robotiche, assillano i colori e i riff senza sangue della colonna sonora. I due cloni, splendidi e sorpresi dalla crudeltà dello scopo della loro esistenza, fuggono a perdifiato senza mai fermarsi, senza evolvere, secondo l’attitudine tutta americana e “”bayana di gettare un’idea e condirla di orpelli inutili, snaturandone l’essenza, e soprattutto di non dare abbastanza tempo perchè lo spettatore di multisala comprenda ciò che sta accadendo. L’intrigante deformazione di Lincoln 6 Echo, il cui cervello di prodotto è inficiato da continue aggressioni di coscienza, è intrigante: coltivato come una sorta di ectoplasma ma dotato di un corpo, quello del duttile Mac Gregor, il contenitore d’organi è fiorito in un essere umano disturbato da continui ricordi del suo sponsor, ovvero, dell’originale che ha dato vita alla copia. Vive sotto terra con centinaia di simili, illusi da una falsa notizia di contaminazione e preposti alla coltivazione e alla sostituzione d’organi senza saperlo. Ma l’idea e i caratteri, anche “umani”, si rivelano nel corso dello script proprio comedelle copie sbiadite di un altro e di un altrove che non viene mai mostrato. qualche psicologismo e nessuna psicologia, passaggi troppo bruschi dall’ingenuità bambinesca di questi ignari schiavi a una piena coscienza di sè. La compagna di Echo è un’improbabile Johannson in attonita versione fèmme fatale, e il suo personaggio è ottusamente legato alle esecitazioni militaresche e al premio ginnastica che potrebbe concretizzarsi in una fantomatica isola. Eppure la perfetta balilla si convince repentinamente della scoperta dell’amico, e lo segue in una mirabolanza superomistica, scoprendo il mondo con un’ingenuità che si rivela subito fittizia. Il loro stesso rapporto evolve in una patinata scena di sesso alla harmony, tra due esseri che fino a poco prima sembravano preadolescenti impacciati che scoprono il mondo di violenza e istinti di cui erano stati privati, e che invece con scioltezza inusitata si ritrovano ad ostentare consapevolezza e frasi fatte nel “durante”. Seguono troppe persone morte e troppe catastrofi perchè Lincoln 6 echo possa davvero rimanere illeso, eppure non si teme neppure per un attimo per la sua vita. Gradevole lo stratagemma di dubbio che il clone insinua nel poliziotto che deve catturarlo, e che invece colpisce il disgustoso originale, e la sovrapposizione metafilmica che l’amica 2 Delta subisce quando si ritrova di fronte alla pubblicità girata realmente dall’attrice del film. Per il resto, un’occasione sprecata dallo strillone professionista, ma pur sempre strillone, di Hollywood anni ‘0: Michael Bay.
voto: 4,5

Chiara F