Attori: Mark Wahlberg (Charlie Croker), Charlize Theron (Stella Bridger), Edward Norton (Steve Frezelli), Donald Sutherland (John Bridger);
Regia: F. Gary Gray; Soggetto: Troy Kennedy-Martin; Sceneggiatura: Donna Powers, Wayne Powers; Fotografia, Wally Pfister; Musiche, John Powell; Montaggio, Christopher Rouse; Scenografia, Charles Wood; Costumi, Mark Bridges

Charlie Crocker è il leader di una banda di rapinatori che con mezzi ultra-sofisticati porta a termine a Venezia un colpo da 35 milioni di dollari in lingotti d’oro. La gioia però dura poco: uno dei componenti, Steve, tradisce tutti e si impossessa del bottino, uccidendo John, il veterano del gruppo. Spinto da desiderio di vendetta, Charlie convince Stella, la figlia del defunto John, a dare la caccia al traditore per recuperare il maltolto…

Recensione n.1

Un gruppo di ladri capitanati da Donald Sutherland e Mark Wahlberg, eseguono perfettamente un colpo a Venezia, per poi essere incastrati (e derubati) dal complice “cattivo” Edward Norton. La trama, piuttosto semplice, non è riscattata da nessun altro elemento in questo noioso film d’azione, che si trova a metà strada fra Fast and furious ed Ocean’s eleven. La bella C. Theron è decisamente fiacca, persino un grande attore come Edward Norton sembra non provare alcun divertimento ad interpretare il suo perfido personaggio. Ai più (purtroppo) The italian job piacerà per gli inseguimenti mozzafiato e per qualche battuta sterile, inserita qua e là. Il peggio è che tutto questo crea nello spettatore un’apatia che lo rende insensibile, apatia che colpisce anche il cinema, oramai cavia priva di qualsiasi amor proprio: non si piange, non ci si emoziona, tutto è talmente stereotipato da renderci stregoni in grado di prevedere il futuro. L’happy end è scontato; la novità potrebbe risvegliarci dal nostro sonno eterno (quasi matrixiano!). La prima vittima di questo “divertente” sacrificio è il cinema; a noi spettatori basta un inseguimento automobilistico con due o tre belle macchine per essere felici e dimenticarci del resto.

Andrea Fontana

Recensione n.2

Faticoso. Molto faticoso da vedere questo lavoro di Gary Gray, libero remake di Un colpo all’Italiana, soprattutto nella prima ora di proiezione.
A parte il raffinato inizio a Venezia e la gradevole fuga in motoscafo, il film si incaglia da subito nella pesantezza terrificante della sceneggiatura. Nessuno pretende di disquisire sul senso della vita in un film d’azione, ma l’infantilità dei dialoghi è così deprimente da far pensare che il film sia stato scritto con l’affanno di arrivare alle spettacolari scene d’inseguimento.
Peggio ancora se si insiste lungo il percorso su sequenze dal registro emotivo per tentare di attribuire una superficiale valenza psicologica ai protagonisti.
Si scopre allora una leggerezza a tal punto fastidiosa da vanificare qualsiasi tentativo di fornire un aspetto sensuale al film.
Gary Gray si impegna infatti con dolci movimenti di macchina e dissolvenze che simulano il trapasso tra un ambiente e l’altro, si avvale di una colonna sonora ammaliatrice, e soprattutto ha la fortuna di poter dirigere la bellezza senza fiato di Charlize Theron.
Tutto inutile se però gli attori dicono e pensano frasi vuote, raffiche di “botta e risposta” fuori dal tempo e dalla realtà, chili di segatura spacciata per caviale.
In un tale contesto, il povero Edward Norton appare suo malgrado la caricatura del mostro sacro che, giovanissimo, è già, ispirando la stessa tenerezza di Robert De Niro che fa il mafioso in Terapia e Pallottole. La sua uscita di scena nell’epilogo assume le caratteristiche di una farsa, la vetta di una sceneggiatura da pelle d’oca. Il film si aggrappa allora a quella comicità, anche questa un po’ ammuffita (ma meglio che niente) e a tratti grottesca, che comincia a farsi largo nella sua seconda metà, quando cioè si delinea quella che sarà la parte più interessante: l’inseguimento stradale.
Strizzando l’occhio ai numerosi spot della Mini Cooper che ci vengono offerti, qui il film sembra finalmente ingranare dopo aver riscaldato il motore in folle per più di un ora e mezza.
Gli occhi gioiscono (e sorridono) di fronte a mini-bolidi che viaggiano in metropolitana, saltano su pedane e curvano a 150 Km/h (il confronto con l’inseguimento in autostrada di Matrix Reloaded volge a favore di The Italian Job: meno denso di effetti speciali, ma anche meno ridondante), la moltiplicazione dei punti di vista sulla stessa scena (espediente tipicamente hollywoodiano) amplifica il ritmo, e il salvabile viene così salvato.
Curioso come i due Blockbuster del momento, Charlie’s Angels 2 e, appunto, The Italian Job, guardino nella stessa direzione ma a due maestri diversi, nel campo della spettacolarizzazione. Se il primo è evidentemente figlio di Matrix, l’altro si ispira, puntando sulla potenza visiva delle sue auto, al successo di Fast and Furious.
Resta, al di là di tutto, un’indigeribilità di fondo, una piattezza di intenti, da costringere a temere il già annunciato sequel: The Brasilian Job.

Francesco Rivelli