Il film narra, in modo romanzato, la storia del Conte di Rochester, che scandalizzò la buona società inglese della Restaurazione. Amico e confidente del re Carlo II, il monarca amante della bella vita che però mette “giudizio”, il Conte si dilettava a satireggiare i reali inglesi con il suo umorismo sovversivo e l’esibizione delle sue prodezze erotiche.
Attrazione e repulsione fu quella tra il Re e il Conte; figure di transizione fra un regime sociale e la Restaurazione, che però porterà con se significative novità, e quindi essi stessi condannati a provare sentimenti contrastanti perché protagonisti di un mondo intriso nella dissoluzione, ma dove emerge, in qualche modo, l’esigenza di un’inversione di rotta.
La cosa interessante, a proposito di libertini, è che in questo periodo viene proposta al cinema una nuova versione di “Casanova”, che non ha nulla a che vedere con la figura del Conte di Rochester, e la cui analisi psicoanalitica è stata oggetto di approfondimento di molti, anche al cinema, con Fellini per esempio. Rimando ad un grande filosofo come Soren Kierkegaard, che ha analizzato “Don Giovanni” e “Faust”, ulteriori specifiche su questi argomenti. Forse il Conte è più comune alla figura del “Don Giovanni”, ma non saprei dire adesso con esattezza, anche se ai tempi dell’università mi occupai dello studio di queste figure, che sono degli archetipi nella cultura occidentale.
Rimanendo più sul contingente, il Conte di Rochester si può definire una figura “maledetta”, votata all’autodistruzione. E’ però in un certo senso un campione di morale, che in tempi immorali, odia la vita e prova piacere solo nel concedersi a vizi che non gli danno vera gioia e pienezza, quindi se la vita vera è piena di corruzione, di apparenze e di ipocrisia, allora perché non concedersi al godimento sfrenato e al piacere del teatro, perché nella realtà del teatro tutto è vivo, ideale e “pieno”, e di contro tutto è finto rispetto alla realtà “vera”. Ciò non spiega ogni cosa, il conte è egli stesso un uomo inquieto e complesso, che nel disagio vive una vita di godimento per sfuggire alla depressione, alla noia, al “vuoto”. E’ “bruciando” che prova emozioni.
Il film ha una fotografia volutamente scarna, “ambientale”, leggermente sottoesposta e sgranata per fare entrare lo spettatore più in sintonia con una Londra fangosa, corrotta e rubiconda, piena di olezzo e di cosce.
Il protagonista, un bravo Johnny Depp, ci ricorda a inizio film che non vuole piacerci, ma in realtà il suo carisma e le sue tipicità espressive hanno la meglio, e lo spettatore finisce per considerarlo il solito “mattatore”, anche se sensibile al nuovo cinema ed ai nuovi autori. Le sue scelte dei film in cui partecipare fanno parte di quel cinema “emersion underground” che tanti meritati consensi riceve, e si spera presto anche quello “total underground”…
Merita un vero apprezzamento il dialogo che c’è tra il Conte e l’attrice di teatro per la quale lui proverà l’amore vero e ad intravedere quello per la vita; mi riferisco al loro primo approccio, quello che hanno quando lui le spiega il perché vuole aiutarla ad apprendere a recitare bene, e lei, irosa, ci spiega le ragioni della sua scelta di battere i palcoscenici ed i suoi dubbi.
Le frasi:
1)…ci sono persone che eccellono nel teatro, nel sesso e nel bere, le tre cose più in voga, ma nessuno nell’insieme delle tre è più bravo di me (sintetizzata).
2) Ho svuotato bottiglie e “riempito” fanciulle…


Gino Pitaro
                               newfilm@interfree.it

Film a bassissimo costo basato sulla vera vita dissoluta del poeta scandaloso John Wilmot, conte di Rochester, licenzioso intellettuale alla corte di re Carlo II d’Inghilterra, in piena epoca seicentesca. Wilmot, magistralmente interpretato da Johnny Depp, si lascia andare, in una Londra coperta di fango e sterco, a tutte le sfaccettature del libertinismo più sfrenato per l’epoca e non solo, in perenne conflitto con l’ammirazione del Re, che lo ama e lo odia, e in guerra con se stesso, l’altro sesso e il teatro, proprio nell’epoca della grande popolarità del teatro inglese e delle prime donne attrici. Morirà giovanissimo, il conte di Rochester, divorato e sfigurato dalla sifilide, macerandosi nel consuntivo di una vita forse sprecata o forse solamente vissuta da uomo libero.
Il film del debuttante Dunmore è una vera sorpresa: non fosse altro perchè girato quasi tutto a lume di candela, imitando la luce tipica dell’epoca, con una pellicola sgranata e smunta, e potenti angolazioni incerte e veriste della macchina da presa. Depp domina la scena in maniera fin troppo debordante, in un ruolo perfetto per lui e forse desiderabile per qualsiasi attore, percorrendo le atmosfere rarefatte del film con passo ora leggero, ora scandalosamente deciso, ora volutamente claudicante. Antagonista è un Malkovich ingrassato nel ruolo del Re, misterioso e raffinato e, soprattutto, meritevole di aver prodotto il film.
La regia è protagonista come in pochi altri film, concentrata a mantenere l’atmosfera nonostante una sceneggiatura difficile e il poco tempo e denaro a disposizione. Certo tutt’altro che un film facile: il pericolo che la lentezza si trasformi in noia è dietro l’angolo, ma il punto di ottimo non è mai scavalcato, mai superato e alla fine rimane solo il gusto di un film diverso in tutto: fotografia, montaggio, musiche, scene, recitazione. Notevolissimi trucco e costumi, lontani dalla rappresentazione perfetta delle crinoline, e, anzi, fondamentalmente caratterizzati dal barocchismo lurido di parrucche e bustini in un’epoca dove l’acqua e l’igiene non appartenevano alla vita comune.
Fortemente consigliata quindi la visione di questa opera prima in costume: una serata alla scoperta di un cinema un pò diverso dal solito. Memorabile l’attacco del film…aspettate qualche minuto prima di addentare i pop-corn…
VOTO: 8,5


Andrea W. Castellanza
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